sabato 13 aprile 2019

Quando il male diventò relativo

Papa Ratzinger, che Magris dice nelle stesse ore (“Tempo curvo a Krems”) “sempre a disagio e imbranato nel suo abito bianco”, pubblica sul “Corriere della sera”, d’accordo il segretario di Stato vaticano Parolin e lo stesso papa Francesco, un testo sulla diffusione dell pedofilia nella chiesa, preparato per la riunione sullo stesso tema a fine febbraio, convocata dal papa, tra i presidenti delle conferenze episcopali. La cosa è stata subito annegata nella lettura politica: Ratzinger ha lanciato un siluro al papa. Ed è un male. 
Non è un novità, Ratzinger silura Francesco sia che parli sia che non parli. Ora anche su un argomento non politico – non divisivo - come la pedofilia. È la tara dei media che si vogliono impegnati, vaticanisti compresi: superficiali e complottisti. Non sanno dire altro - è la sindrome Pd,  ex Dc. Un altro giornalismo quanto avrebbe scoperto e raccontato sulla scia del papa emerito? Perché dice molto che non si sapeva, e lo spiega anche.
Ratzinger è sempre quello, che lamenta il lassismo e il relativismo. Ma dice anche cose. Che negli anni 1960 il giusnaturalismo fu abbandonato, il riferimento tradizionale per definire la teologia morale cattolica, a favore della Sacra Scrittura: “Nella lotta ingaggiata dal Concilio per una nuova compren­sione della Rivelazione, l’opzione giusnaturalistica venne quasi comple­tamente abbandonata e si esigette una teologia morale completamente fondata sulla Bibbia”. Si affermò cioè “la tesi per cui la morale dovesse essere definita soltanto in base agli scopi dell’agire umano”. Per cui non ci sono più “azioni che sempre e in ogni circostanza vanno considerate malvage”.
Tra queste quelle sessuali. Che diventarono dominanti nei seminari. “In diversi seminari si formarono club omosessuali che agivano più o meno apertamente e che chiaramente trasformarono il clima nei seminari. In un seminario nella Germania meridionale i candidati al sacerdozio e i candidati all’ufficio laicale di referente pastorale vivevano in­sieme. Durante i pasti comuni, i seminaristi stavano insieme ai referenti pastorali coniugati, in parte accompagnati da moglie e figlio e in qualche caso dalle loro fidanzate. Il clima nel seminario non poteva aiutare la formazione sacerdotale”.
Questo avveniva specialmente negli Stati Uniti. Roma ne fu informata. Una Visita pastorale fu disposta, ma portò poche informazioni. Una seconda Visita fu effettuata, e la cosa cominciò a emergere. Ma non c’era una procedura o un criterio per intervenire, etc. - la storia recente.
Quanto è vero dell’analisi di Ratzinger? Senza andare lontano, nelle stesse ore in cui il suo testo  veniva recapitato al “Corriere della sera”, il settimanale “La Lettura” dello stesso quotidiano raccoglieva a Firenze parole quasi identiche dal politologo francese Olivier Roy, più noto come islamista. Roy, protestante di nascita, ricorda a Marco Ventura come venne alla politica, nel 1968, sull’assioma “l’individuo che desidera è il fondatore dei valori e della morale”. In sintesi: “La nostra rivoluzione era la fine dell’ipocrisia dell’ordine morale. Lottavamo contro la borghesia che si finge cristiana e fa abortire clandestinamente le domestiche…”, Roy va avanti con questi argomenti da polemista, non pentito né critico. Ma preciso sulle cose del movimento: “Lo slogan era: «Il desiderio per tutti». Anche per i bambini. Era forte la tendenza alla pedofilia”. Cohn-Bendit, si può aggiungere, leader del Sessantotto a Parigi, poi maestro d’asilo autogestito a Francoforte, nel 1978 già scriveva delle memorie, in cui non ricorda nulla, se non le seghe che s’era fatte fare dai bambini.
Non è tutto. Roy, giovane protestante incuriosito dalla reazione dei cattolici (“i coetanei cattolici li capivamo poco: c’è la pillola e lasciate ancora che si controlli cosa fate a letto?”), ancora più meravigliato assiste a quella che chiama “l’auto-secolarizzazione”: “I preti si tolgono l’abito, la messa non è più in latino, non c’è più l’inferno… Si traducono i valori religiosi in valori laici: la dignità, la libertà, la vita. Nasce la teologia della liberazione: non si può cercare la salvezza personale se la società non è stata prima liberata”.  

Il tempo della vecchiaia come prigione

“Forse il Danubio nei pressi di Krems era l’Oceano che stringe in cerchio il mondo, acque che scorrono e nello stesso istante ritornano, rive che si rispecchiano sempre nelle sue onde”. A Krems si origina l’epifania del “vecchione di Svevo”, che incanala “nel ricordo il conto lasciato aperto, anzi neanche acceso, mezzo secolo prima, perché nel presente la luce della vita è offuscata dall’angoscia di vivere”.
Cinque racconti sulla vecchiaia, tema malinconico. Che però Magris orchestra vivace, miglior narratore breve, da “Illlazioni su una sciabola” in qua, che romanziere. Colorati dalla riflessione sul tempo, a Krems, a Trieste, a Lu Monferrato, che è un altro concetto di tempo, elusivo (“straziante”). Questo attorno a un tema più semplice e robusto, gli amori giovanili, di un’altra gioventù, per la bella del liceo. Non detti, non provati, devoti. Un esercizio personale agli incanti della vita – la ragazza è “il segno del futuro”. Racconti felici alla fine e non tristi, benché febbrili – si naviga nella vecchiaia come dentro le cataratte nel fiume.
Per i germanisti poi, si sa, tra Nietzsche e Ibsen, e il “geniale e talora pomposo professore di Jena”, Hegel, è anche più dura: “Tanti annunci della fine della civiltà – dopo la quale non c’era stato alcun nuovo inizio”. Il papa tedesco è di qualche conforto: “Vita eterna, dunque? Sì, ma qui e ora” – detto e scritto “da uno che chiamano Sua Santità”, benché “a disagio e imbranato nel suo abito bianco”. Si naviga male per principio: “Eterno dileguare, eterno essere” - “tutto sommato meglio stare al Caffè che nella Storia”. 
Con una curiosa, per un triestino, avversione al mare. Tanto più curiosa per accompagnarsi la lettura alla storia del minatore abruzzese ultranovantenne che ogni giorno si fa sessanta km in macchina per respirare col mare sulla spiaggia di Giulianova, “un regalo di Dio”. Le proprie prigioni sono le più afflittive.  
Claudio Magris, Tempo curvo a Krems, Garzanti, pp. 91, ril. € 15

venerdì 12 aprile 2019

Problemi di base sportivi - 482

spock


Fa le leggi un Parlamento in cui la maggioranza dei parlamentari di maggioranza è al primo impiego?

Perché le compagnie telefoniche hanno centralini telefonici inefficienti: non sanno usare il telefono?

Non ci sono più “padre” e “madre”, non li vogliamo, ma ci sono “marito” e “moglie”: chi sono?

Il contributo di solidarietà a chi, alle casse mutue?

Quante volte Christine Lagarde ha detto che il sistema bancario tedesco si deve rafforzare?

E quello francese?

Si gioca con quattro attaccanti per perdere?

Si gioca con quattro attaccanti per produrre fuorigioco – sedici del Napoli con l’Arsenal?

spock@antiit.eu

Il Rinascimento gay

Il Rinascimento è fiorentino, Firenze è “bucaiola”, il Rinascimento è “bucaiolo”. Il sillogismo è inattaccabile. Per settecento pagine anche noioso. Ma, a parte la fissa sodomitica, questo Fernandez, l’autore di Porporino, il traduttore di Penna e Pasolini, ora accademico di Francia, è molto altro. Un viaggio nel Cinquecento, secolo in Italia pieno di sorprese. Una esumazione di molta arte trascurata o dimenticata. Un excursus raffinato e documentato nella cultura italiana all’epoca – con un solo errore forse: Berni che dileggia, tra i tanti, anche Tasso. Tanto più apprezzabile oggi, nella cancellazione che la stessa Italia sta facendo di se stessa.
Una rivendicazione di Pontormo e Bronzino pittori. Nell’insieme del primo Cinquecento. Di uno spicchio di esso, a Firenze dopo la restaurazione dei Medici. Un tempo e un luogo in cui l’interesse principale, politico e di strada, era l’arte, tra invidie e congreghe di artisti, all’ombra di Leonardo morto e di Michelangelo romano. Tra gli artefici manuali della “cosa mentale” per la quale Michelangelo da lontano protestava presso il duca Cosimo, che all’artista desse statuto autonomo, fuori dall’artigianato.
Una rappresentazione di Firenze gay, al riparo dalle tante leggi contro la sodomia. Cosimo duca e poi granduca dei Medici, figlio di Giovanni dalle Bande Nere e di Maria Salviati, personaggi esimi, oscurati. La duchessa Eleonora de Toledo, altrove celebrata, ridotta qui a piccola spagnola bigotta, e pondeuse, ovaiola – ma la volta della sua cappella privata non inalbera stupefacenti frontali amschili, dipinti dallo stessso Bronzino? Non si fanno più figli a Firenze, Cosimo deve provare vari programmi demografici. “Romanzo fiorentino” è il sottotitolo, da intendersi  alla lettera, e nel sottinteso che fa il fiorentino un “bucaiolo”.
Il filo conduttore è il rapporto di Bronzino con Pontormo, che da apprendista lo ha iniziato alla sodomia, fino alla vecchiaia e morte del maestro. Un modello che Bronzino ripete con Alessandro Allori. Con Benvenuto Cellini di contorno, che anche lui non si fa mancare il Bronzino, ma da sodomita professo di contorno, “Je suis Benvenuto Cellini”, usa dire alla Catherine Deneuve, anche dei vent’anni che passa con Francesco I in Francia.
Agnolo “Bronzino”, pittore poligrafo, di versi e prose, ha scritto una vita del Pontormo e sua propria, in cui l’autore s’imbatte spulciando tra gli scaffali di una libreria antiquaria specializzata in libri d’arte, a Firenze, a Borgo Ognissanti. Una mattina, dopo il ricostituente cappuccino servito nel bar adiacente da due poderose lesbiche. Un colpo di fulmine per Fernandez: “Uno dei due pittori italiani del Rinascimento che amo di più raccontava la vita dell’altro e, per contraccolpo, la sua”. Facendo giustizia delle “malevolenze e calunnie di Giorgio Vasari”, storico dell’arte “leale nella più parte dei suoi giudizi, salvo su Jacopo Pontormo, di cui ha compromesso la reputazione con un verdetto perfido”.
Del resto, la fissa di Fernandez è storicamente vera. Non ci sono belle donne nei quadri e tra le statue di Firenze all’epoca d’oro – donne e non madonne. La Judith di Donatello non è il solo fallimento di questo scultore? la Notte e l’Aurora di Michelangelo donnone (hommasses) da far paura?, può riflettere a un certo punto Alessandro, “Sandro” per il maestro-amante Bronzino, Allori: “Né la mia Galatea, inqualificabile schifo, né la Venere che lui stesso (Bronzino) ha dipinto su un cartone di Michelangelo, né le Bagnanti o le Veneri di Giambologna possono smentire la sua asserzione che il corpo femminile è indegno di fornire un soggetto all’artista”. Non è vero, ma è l’argomento del sodomita Bronzino.  Che Fernandez può sostanziare con la constatazione: i veneziani fanno gli uomini sempre vestiti, le donne nude, mentre i fiorentini, al contrario, denudano gli uomini
Un monumento a Firenze. Lungo, noioso, specie per la parte erotica, che è il filo conduttore, ossessiva senza essere immaginativa. Forse per rispetto alla storia, all’aneddotica. Il cardinale patriarca di Venezia scaglia le prostitute seminude per le strade per sviare i veneziani dalla sodomia - “la vuole importata recentemente dalla Turchia” - e avviarli a un programma di incremento demografico urgent. Bronzino, novello Candido nella psedo-memoria, se lo fanno senza che lui se ne accorga, sia Pontormo che Cellini. Pontormo disegna, a pietra nera, a sangugina, il Bronzino quattordicenne, nudo, muscoloso,”con la prima e la sola erezione mai tentata in arte”, che ejacula, “il glande all’altezza dell’ombelico” – e sogna che il ragazzo, fra un paio d’anni, faccia a lui “il servizio”. Con lunghe serie, ripetute, di sinonimi del pene: il “coso”, in italiano, per non dire il cazzo, la “coda”, che in francese è il pene, e così via. “Turchificare” è il ritornello, goloso, con qualche neologismo – o è idioletto, di genere? - che il Petit Robert non registra, p.es. papaouter.
O forse in omaggio alla poetica: che “la letteratura è impotente a rendere conto dei progressi della seduzione erotica altrimenti che con cliché (a meno che non accetti di mostrarsi molto grossolana)”. Allusiva quindi più che narrativa, giudicando “l’ellissi più suggestiva e attraente che la minuzia descrittiva”. Ma di fantasia cruda, come è delle storie gay, qui centrata sullo sverginamento. Di Bronzino, di Alessandro Allori e, al culmine, di Pierino da Vinci. Con cui la relazione s’incanaglia, dopo lo sverginamento, mentre lui s’inferma e muore come la Traviata.
È una fissa – è scritto, si legge, come tale. Non ci sono donne, nemmeno una – Bianca Capello ci fa la figura della escort. Rosso Fiorentino, Parmigianino, nessuno sfugge agli amori tra uomini.  Botticelli pure, che poi si è “coperto” col nudo di Venere sulle acque, “per farsi perdonare tante vergini androgine, e tanti ragazzi e angeli ancora più equivoci”. Anche, un po’, Donatello: fa statue di cui s’indovinano i corpi, sotto lo scudo o l’armatura, corpi maschi. E un uso estensivo della “Cipolla”, il poema che Bronzino venne scrivendo a lungo, con “code”, anche qui, attorno al “bell’anello” al centro della cosa. Non c’è Leonardo, Pierino da Vinci è però suo nipote, l’amore amato per sempre da Bronzino, amasio di Luca Marini, l’ingegnere del duca Cosimo. E ci sono naturalmente gli “Ignudi” della Cappella Sistina, la ventina di giovanotti che non c’entrano nulla con la Bibbia, muscolosi e nudi, con vistose “code”, unico indumento la fascetta, che era il marchio degli eroti al tempo di Platone. Alcuni di essi si appoggiano col bracco a una montagna di glandi. Tutti bianchi eccetto il più palestrato, che è bruno, Paolo di Pietro, “il giovane maestro palombaro che Michelangelo ha follemente amato: si assentava dal cantiere – quante volte Giulio II gliene fece rimprovero! – per andare a prendere con lui  bagni di sole al bordo del Tevere, in un posto dove si nuota e ci si asciuga nudi”, etc. .
É tuttavia un grande lavoro, appassionato. Documentato, preciso. Un’opera colossale di ricostruzione delle arti, la pittura e la scultura, nel loro farsi anche pratico: i committenti, le loro ragioni, la visione dell’artista, i problemi etici e pratici di trasposizione del soggetto, i riferimenti allora necessari alla tradizione classica (mitica) e confessionale, dei testi sacri fin nelle loro sfumature, o significati riposti, la realizzazione, con mezzi e mezzucci, l’accettazione, l’utilizzo. Fatti per lo più trascurati dalle storie, che persò sono quelli che consentono la produzione artistica: . La committenza, l’iconologia, il mercato.
C’è pure la “processione” per la prima edizione delle “Vite” di Vasari, da palazzo Vecchio allo stampatore e ritorno, con la copia portata in alto su un manto di raso. Il vanaglorioso pittore di palazzo Vecchio, che si incaricherà nel “Supplemento” di “assassinare il coro di San Lorenzo”, il capolavoro del Pontormo, l’opera con cui il duca Cosimo puntava a strappare a Roma, nella chiesa di famiglia, il primato delle arti – di cui il fiorentino Michelangelo aveva insignito la città dei papi. Non era difficile: il Cinquecento italiano è una miniera d’oro a cielo aperto – al confronto con l’Italia oggi, poi, che vive di cialtronesche influencer, ritoccate al photoshop - ma bisognava dedicarvisi. Fernandez lo ha fatto.
Un indice dei quadri, disegni, affreschi, con rinvio alle pagine, agevola la lettura.
Dominique Fernandez, La société du mystère, Livre de poche, pp. 684 € 8,90

giovedì 11 aprile 2019

Ombre - 458

Il termine per la Brexit viene spostato al 31 ottobre? Si farà la Brexit come Halloween, una mascherata. Non male, un pizzico di vivacità in Europa.

L’ultimo sindaco Pd di Roma, Marino, è stato assolto. Era stato accusato di malversazione, dopo essere stato dileggiato per la proprietà di una Panda rossa, da Raggi, Frongia e De Vito. Gli ultimi due dei quali sono sotto processo, con imputazioni un po’ più pesanti.

Raggi, Frongia e De Vito si erano basati nella loro campagna contro Marino sulla “documentazione” fornita dei fratelli Marra. Che invece se la passano ancora peggio con la giustizia, penale e amministrativa.

Non va giù al Pd che il suo ultimo sindaco a Roma, Marino, sia stato assolto. Si affannano oggi a dirlo come minimo un incapace. Uno che aveva conteso prima a Bersani e poi a Renzi la palma d segretario del partito. Si dice voglia di dissoluzione ma forse è solo cattiveria. Voglia di dissoluzione per cattiveria.

Sono 11.801 le lobbies accreditate a Bruxelles, che determinano le scelte della Commissione – il conteggio esatto lo fanno Gabanelli e Offeddu su “Corriere della sera”. Più delle lobbies a Washington , dove sono nate e sono state per prima legali. Spendono un miliardo e mezzo l’anno.

Ma fra le lobbies italiane a Bruxelles, che sono 841, la più attiva è  Altroconsumo, che è una Ong: spende cinque milioni l’anno – Enel ne spende due, Eni ancora meno, 1,2, la Confindustria 0,9.

Il braccio attaccato al corpo fa rigore. Spintoni a due mani non fanno nemmeno una punizione. L’arbitro Rizzoli, che dirige gli arbitri, non ha mai giocato? La giustizia, certo, non può essere migliore nel calcio.

Scandalo insistente e molte pagine sulla pallonata di un milanista che colpisce in area il braccio  di uno juventino attaccato al corpo, e l’arbitro decreta non rigore. Rizzoli, capo degli arbitri, annuncia in tv severe punizioni per l’arbitro. Poi ad Amsterdam è negato un rigore evidente, e l’espulsione di un olandese, per lo strattone insistito a uno juventino che sta per fare gol, e niente: silenzio.  In una partita che tutti vedono, su Rai Uno. Si capisce che i media non hanno credibilità. Anche fra gli antijuventini.

Si moltiplicano negli Usa i delatori o informatori – whistle-blowers - contro Trump, dopo che le elezioni di novembre hanno dato la maggioranza ai Democratici alla Camera dei Rappresentanti.  Considerati eroici e protetti. Erano whistle-blowers di Raggi durante la sindacatura Marino i fratelli Marra. Che poi sono stati i primi a profittare – male - della sindacatura Raggi.

L’Onu manda in Libia il suo segretario generale Gutierres, che s’inclina col sorriso umile di chi cerca benevolenza al generalone Haftar, uno che vuole fare Gheddafi senza Gheddafi. Che lo fa fotografare piegato e vedere al mondo in rete. Chi è questo Gutierres? Che cos’è l’Onu?

Haftar, il Gheddafi senza fantasia, è stato armato dalla Francia, sia pure via Arabia Saudita. Che invece aveva voluto la guerra contro il Gheddafi vero, adducendo diritti umani, diritti civili, e altre ipocrisie. Per metterci uno finto? Un generale pieno solo di se stesso, quindi più servizievole?
Il lungo dopoguerra di pace non ha cambiato la storia, non quella europea. La pace è stata solo indotta dalla Bomba, dalla guerra fredda.

Nella testimonianza di una Raggi dirigente comunale dell’Urbanistica, una “avvicinabile”, si conferma che la corruzione si tratta a Roma a pranzo e a cena. Non a tu per tu, come sono obbligati  a fare i mafiosi, senza testimoni. Ma in gruppo, in convivio.

Di Maio accusa Salvini di trescare col “partito nazista” tedesco Afd. Che non è nazista. Ed è quello con cui Di Maio fa gruppo a Bruxelles. Si direbbe che è un sogno. Ma Di Maio e Salvini sono vice-presidenti del consiglio.

Il matrimonio s’addice alla plebe

Una volgarizazione, l’originale è in latino, per i pochi che anora lo praticavano a Venezia, dove il trattatello - è un  trattato - fu scritto e pubblicato. In originale “Quaestio lepidissima an uxor sit ducenda”, un “problema frivolo”. Cui ovviamente il monsignore risponde sì, ma di fatto no.
Vecchio tema di oratoria epitalamica, in occasione di nozze, e scherzosa. Passato da Giovenale a San Gerolamo e agli umanisti. Ma con punte polemiche, che Della Casa non risparmia, prendendole da Platone, ma anche da Terenzio, Tibullo, Virgilio, Orazio. Cioè dall’antifemminsmo dei femministi, per quanto anti di maniera.
Un dialogo-monologo, con qualche arrière-pensée probabile, essendo il costume di Firenze già nel Cinquecento alquanto gay.  Si conclude grave con la morale-spiegazione che gli uomini su cui grava il compito del governo debbono lasciare alla plebe il compito di mettere su famiglia, con moglie e figli – la demografia deve correre, Firenze era a corto di gioventù: i Medici ritornati dopo la Repubblica s’ingegnavano a politiche demografiche. Ma fin lì il monsignore del galateo viene svolgendo la topica antifemminile, da Platone eccetera – argutamente lo riconosce.
Quaestio lepidissima, an uxor sìt ducenda, se ammogliarsi o nofu nel Cinquecento esercitazione fortunata, sugli exempla anti­coniugali della Bibbia, specie dei Proverbi, e sulla traccia delle freccette velenose surrettiziamente incuneate dal Petrarca: “La donna, anche se, cosa rara, di costumi mitissimi, per la sua sola presenza è un’ombra nociva”, eccetera. L’antica questione classica diventa per gli umanisti un tema quasi obbligato, per delimitare il loro spazio, della élite, rispetto a quello dei comuni mortali. Con una ten­denza netta, osservava Rinuccini: “Gli umanisti nulla sentono, ma ispezzato il santo matrimonio vivono mattamente”. La donna è classicamente Pandora, vaso di tutti i mali (ma nei boccacceschi travagli Pandora è un uomo, il primo da Prometeo tratto dal fango).


L’opera è stata esumata e tradotta in italiano da Enrico Ugo Paoli nel 1944, a Firenze appena liberata - la guerra non interrompeva gli studi umanistici, che oggi si abbandonano dunque per qualcosa di più osucro o grave della guerra. È stata scritta da Della Casa a Venezia, nunzio di Paolo III Farnese dal 1544 fino al 1551: fiorentino ma in carriera con i Farnese, era stato nominato da Paolo III arcivescovo di Benevento e nunzio apostolico a Venezia. Dove fece un figio, si illustrò nella vita mondana, nel palazzetto di servizio sul Canal Grande, introdusse il tribunale dell’Inquisizione, istruì i primi processi contro i Riformati, e compilò un Indice dei libri proibiti. Il garbo può essere inflessibile.
Giovanni Della Casa, Se s’abbia da prender moglie

mercoledì 10 aprile 2019

Gli affari del signor Giuseppe Piero Grillo

Grillo conclude il suo progetto per Roma Capitale chiudendo il centro storico. Per cacciare gli ultimi artigiani e il commercio tradizionale, di offerta qualificata. Per farne un gigantesco centro inerte alla Copenhagen, alla Stoccarda, per farci passeggiare le folle dei selfie e degli stracci. 
La Roma delle meraviglie Grillo riduce a un gigantesco suk, una mangiatoia alla Firenze, di pizze al taglio e bancarelle, una noiosissima e deprimente Porta Portese. A favore dei lupi della finanza – la sola voce che sente il comico – che cinquant’anni fa investirono nei bassi e i garage. Per affitti da sei milioni, al mese. E i fallimenti a catena per non pagare le tasse.
Cinquant’anni Roma, che aveva inventato le geniali isole pedonali, ha resistito alla carica di questi piccoli-grandi speculatori, alla cacciata di ogni ancoraggio antico, o tradizionale, o attivo, produttivo. Doveva arrivare il furbo nuovo del comico per spazzare via ogni identità. Dopo gli affari dei fratelli Marra, del superconsulente Lanzalone, del presidente De Vito, all’ombra di Raggi pulzella. 
E lo stadio dell’As Roma naturalmente, monumento imperituro al Comico del Nuovo – all’ombra dello studio Tonucci? Lodio di questuomo contro Roma è incomprensibile, se non per il fatturato.

Non ci sono più missioni


Padre Dall’Oglio si è consegnato ai suoi aguzzini, spiega Lorenzo Cremonesi sul “Corriere della sera”, basandosi sulle testimonianze di chi gli stava vicino sei anni fa. Li ha cercati, fino a importunarli. Voleva mettere il capo dell’Is, “al Baghdadi” , a contatto con Assad…. 
Quello di Dall’Oglio non è un caso personale. O solo in questo senso: i missionari in genere non presumono di sé, non così tanto quanto Dall’Oglio. Di più il caso è emblematico. Della cooperazione presuntuosa. Delle anime belle, che si pensano, inconsciamente, nel deserto, a parte loro. Ogni altro presumendo, inconsciamente certo, appena sceso dall’albero.
È emblematico anche del dialogo interreligioso che la chiesa vorrebbe imporre. Come se fosse in suo potere. E poi: imporre un dialogo?
Un gesuita che si voleva cerniera tra due fazioni islamiche in guerra sembra un’aberrazione e lo è.
Ci sono missionari, ma non ci sono più missioni. Non ci sono terre incognite, non ci sono anime vergini.

La vita di Dio


Si pubblicano solo libri sulla morte o l’inesistenza di Dio, vale la pena dunque riproporre un testo a favore, anche se a favore del figlio di Dio. Dopo l’edizione Quodlibet cinque anni, curate da Michele Ranchetti, l’operina si ripropone altrettanto appetente tradotta e introdotta da Carlo Carena, con l’originale francese.
“Il Verbo che esisteva dall’eternità, Dio in Dio” si manifesta con Cristo a coloro “solamente ai quali egli ha dato il potere di essere fatti figli di Dio”. Un testo sembrerebbe, da questo incipit, non per tutti. Per  quali però fu scritto, ed è. Anche se si rilegge con sopresa, per quanta dimestichezza uno abbia con i Vangeli.
Una sinossi affascinante della vita pubblica del Cristo, in 354 svelti punti. Pascal riprende, con Giansenio e Arnauld, il progetto di sant’Agostino, di collazionare i Vangeli, cronologicamente e tematicamente: questa vita di Gesù è quella dei Vangeli. Con l’esperienza personale della “scoperta di Dio” da parte dello stesso Pascal, da libertino convertito.
I Vangeli sono scanditi in unità di tempo e luogo. Per un’esposizione orale, come alla lavagna, o una rappresentazione teatrale, in armonia col gusto del tempo – una sacra rappresentazione, più raffinata, secca. Forse un copione per una delle “piccole scuole” gianseniste che gravitavano attorno a Port-Royal, cui Pascal fu addetto per qualche tempo? Il “Compendio”, scritto nel 1655, non fu stampato – solo molto dopo, a fine Ottocento.
Blaise Pascal, Compendio della vita di Gesù Cristo, La Vita Felice, pp. 157 € 12,50

martedì 9 aprile 2019

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (392)

Giuseppe Leuzzi

La provincia di Napoli, 3,2 milioni di persone, 1,1 milioni di famiglie, ha presentato 78.803 richieste di reddito di cittadinanza. La Lombardia, 10 milioni di persone, 4,3 milioni di famiglie, ne ha presentate 71.310.
È vero che il pil pro capite è in Lombardia a 37 mila euro, e a Napoli metropolitana la metà, ma il laurismo è più che un sospetto. Con la differenza che Lauro le scarpe le paga coi suoi soldi, mentre  Di Maio si fa forte delle casse, vuote, dello Stato.

C’è un business della pay tv  piratata. Che siccome si svolge tra Napoli e Barcellona, Fubini sul “Corriere della sera” addebita alla camorra. Sempre il crimine organizzato. Ma la camorra è violenza, questa è ingegnosità. Male indirizzata per mancanza di capitali.

Nord e Sud uniti nel male
Si ruba molto nelle banche a Nord: la Danske Bank e la Svedska Bank, in Danimarca e Svezia, hanno riciclato masse enormi di capitali russi, fuorilegge in patria, o contro le sanzioni occidentali per l’Ucraina. La banca danese per 230 miliardi di dollari.
Siamo vissuti nel lungo dopoguerra, settanta e passa anni, col romanticismo del “Kon-Tiki”, della traversata del Pacificio, dal Perù alla Polinesia, del norvegese Thor Heyerdahl a bordo di uno zatterone. Ma era una navigazione corsara, per la rapina di “migliaia di reperti”.  
Non c’è una divisione della virtù tra Nord e Sud. La divisione Nord-Sud non è buona e non è produttiva: è cattiva, nel senso che nasce male, in chiave di superiorità-inferiorità, ed è fra le tante generalizzazioni – di etnia, nazionalità, mentalità, perfino storiche – una che non spiega nulla.
Nel terzo settore “deviato”, quello che la utilizza la carità pubblica a fini di arricchimento, c’è il Nord uguale al Sud per il business dell’accoglienza – 35 euro al giorno per immigrato non sono gran cosa, ma evidentemente, sui grandi numeri, rendono: gli ex Cara erano in Sicilia e Calabria come in Veneto e Lombardia, profittevoli.
Il business più ricco è però settentrionale, quello degli affidi e le adozioni. Ora in declino dopo un periodo di fulgore vent’anni fa ma pur sempre attivo. Si “salvano” i minori dalle famiglie disgregate affidandoli a centri di Protezione. Ai quali i Comuni pagano rette giornaliere di 100 e anche 150 euro, al giorno. Centri creati e gestiti da ginecologhe e psicologhe che poi fanno anche da consulenti ai tribunali per l’affido. Tanta spregiudicatezza ancora al Sud non si vede.

La nostalgia non regge al ritorno
“Quanto alle radici o ai luoghi dell’infanzia”, conclude Sergio Givone cominciando il saggio di presentazione a Pavese, “Dialoghi con Leucò”, “solo chi sfugge alla loro fascinazione dopo esserci tornato può sperare in una sia pur improbabile salvezza”. Sua? Dei luoghi – ma i luoghi sono irredimibili, hanno vita propria?
Givone lo dice a proposito di un autore di cui “il vero, unico tema”, sostiene, è “quello, odisseico, del ritorno sui luoghi che da sempre sono i nostri e nei quali tuttavia non possiamo sostare dovendo invece lasciarli, allontanarci, fuggire”.
Il “mito moderno”, dice ancora il filosofo a proposito dei miti che lo scrittore intende far rivivere, è “il mito della riscoperta e del ritrovamento delle radici ancestrali all’interno di una società che va emancipandosi dal passato”. Due movimenti antitetici.

Calabria
Il Museo Archeologico di Reggio ha un’interessante mostra sull’oracolo di Dodona, “Dodonaios. L’oracolo di Zeus e la Magna Grecia”. Sull’oracolo e sui legami che intratteneva con le comunità della Magna Grecia. Una devozione che potrebbe tra l’altro avere legami, col culto di Polsi, della Madonna della Montagna al cuore dell’Aspromonte. Ma il Museo non ha un sito su cui informarsi. Dell’oracolo. Della durata della mostra. Del catalogo, ce ne sarà uno.
Ha un numero di telefono al quale risponde la Soprintendenza. Che non può passarvi il Museo perché “hanno problemi con la linea”. Provare per credere.

L’antropologa Patrizia Giancotti ha, parlando con Alessandro Cannavò (“L’antropologia globale della Calabria”, in “Buone notizie” del 26 marzo) l’“incompiuto calabrese”, per dire le case interminate senza tetto. Che più giusto sarebbe dire “incompiuto del mutuo”, e  dell’imprevidenza. Prima del mutuo, anni 1950, quando si costruiva a proprie spese, si cominciava e si finiva la casa, piccola o grande.
Il mutuo è sempre per i più molti soldi. E i progetti si sono allargati. Finendo col mutuo al primo piano, anche perché intanto il mutuo si comincia a pagare. Un capestro che prende il resto di ogni vita attiva, fino ai sessanta e anche oltre. 

Molto in Alvaro, soprattutto nei racconti, e non soltanto quelli di “Gente in Aspromonte”. è sulle origini. Ma di una terra innominabile, e anche irritante.  “Sebbene io non ricordi quasi più le passioni della mia terra, me n’è rimasta una solidarietà carnale”, professa in “Ritratto di Melusina”. Ma il suo Sud non è più che “turchino e stupito nel sole, vestito di scuro, calcinato dal vento, coi lunghi sguardi senza stupore della gente silenziosa, e con le voci gutturali della gente solitaria”. Sono per lui “meridionali” la sera, il volto, il silenzio. Ci sono santi “piccoli come meridionali”, l’“aria secca del paese meridionale”, perfino “una sofferenza di razza” in un ragazzo, per le rughe emergenti tra le narici e la bocca. E un “malessere della sera meridionale, così tarda a finire”.

“Il mare Jonio respira pesante, divora e scava la spiaggia, si arrotola come un tappeto mobile”: Corrado Alvaro era terragno ma il suo mare conosceva bene (“L’aquila di mare”, uno dei racconti di “L’amata alla finestra”). E in un certo senso antivedeva: “È un mare ancora vietato, che ha pochi pescatori, dove pochi approdano, un mare di transito” - per  mercanti di uomini, dalla Turchia alle coste calabresi.

Fu lasciata esposta alla “congiunta razzia della pirateria turca e barbaresca senza che la Spagna potesse salvarla da quel flagello” - Ernesto Pontieri, “Nei tempi grigi della storia d’Italia”. Senza che la  Spagna minimamente si occupasse di salvarla , per la verità.
Lo storico però aggiunge: “Fu piuttosto la Calabria a difendere sulla terraferma l’italiana integrità del dominio spagnolo”.

A difesa da turchi e barbareschi si costruirono trecento torri di avvistamento e difesa. Data da quei secoli, lunghi, di razzie la paura, l’insicurezza. Non l’apatia: l’incertezza.

A Lepanto un forte contingente di fanti calabresi fu apprezzato dalle cronache. Ottocento fanti che Sebastiano Venier, il vecchio comandante della flotta veneziana nella battaglia, dirà “bellissima gente, con molti gentilhuomini honorati”. Nella battaglia morirono, si calcola, trentamila turchi e cinquemila cristiani, seicento dei quali erano calabresi.

Un Marcantonio “Calabrese”, bottigliere del duca di Paliano Giovanni Carafa, si era incaricato di avvelenare Marcantonio Colonna, di cui Carafa aveva usurpato titolo e possedimenti, secondo gli atti del processo a carico dello stesso Carafa per l’assassinio della propria moglie Violante. Scoperto dal cameriere del Colonna e imprigionato, il Calabrese si era subito pentito, diventando uno dei testimoni d’accusa contro il suo padrone.

“Calaber.. malus”, diceva Cicerone. Però generoso: spende 300 e passa milioni l’anno per curarsi fuori regione, invece di farsi un ospedale, un buon ospedale, uno nuovo ogni anno - trecento milioni dovrebbero bastare.

Ma trecento è una cifra presunta, giacché l’azienda sanitaria della (ex) provincia di Reggio non fa il bilancio. Oltre che essere sotto processo per infiltrazioni mafiose.

Grillo va in Calabria col suol spettacolo “Insonnia” e si lamenta che ci sono poche domande per il reddito di cittadinanza: “Questa regione è strana, ha fatto meno domande di tutte per il reddito di cittadinanza. E allora non rompetemi, perché o lavorate in nero o siete tutti della ‘ndrangheta”. Applausi, deliri. È la sindrome Grande Fratello, Isola dei Famosi: basta il nome, la Calabria applaude.

Padovani e trevigiani, leghisti esimi e imperturbati, hanno fatto e fanno buoni affari a Rocca Imperiale e nel resto dell’Alto Jonio, comprando a poco e rivendendo. Senza bisogno nemmeno di lamentare le mafie, talmente gli va liscia. Al gioco semplice del “chi disprezza, compra”. Che è noto a tutti meno che ai calabresi?

I calabresi stupidi non sono – non possono, non sembrano. Forse troppo miti. Malgrado la fama sulfurea che i lombardo-veneti gli cuciono addosso. Ma ora, oltre che arricchirli, li votano anche.  

Esemplare di mitezza, in misura perfino esasperata-rante, è Vincenzo Mollica. Che, nato per caso in Emilia, era a tre mesi col padre in Canada, e a pochi anni è tornato in Calabria, a Motticello, una frazione di Bruzzano Zeffirio, il paese del padre. A Locri gli fu diagnosticata a sette anni la cecità che ora lo affligge. E a Locri fece il ginnasio e il liceo.

“La Calabria è un romanzo”, titolava il “Corriere della sera” il 24 luglio 1975 una recensione di Claudio Magris a Mario La Cava, al suo docuromanzo “I fatti di Casignana”. Ma era un complimento?


Boccaccio in Calabria
Boccaccio in Calabria, forse per sempre, è stata un’occasione mancata. Nella “Vita di Giovanni Boccaccio”, leggibile online, Giuseppe Bonghi racconta di una lettera del gennaio 1371 - da Napoli, dove si era recato “lasciando indignato”, scrive, “la patria Firenze” - di Boccaccio a Niccolò da Montefalcone, un amico di gioventù, del primo soggiorno napoletano, che era diventato monaco o abate del monastero Santo Stefano del Bosco in Calabria, fondato da san Bruno – la Certosa di Serra San Bruno. Una lettera in cui lamenta di essere stato abbandonato dall’amico perché “povero e i poveri non hanno amici”.
L’abate lo aveva invitato, vantandogli “l’amena solitudine dei boschi”, “l’abbondanza dei libri, i limpidi fonti, la santità del luogo e le cose confortevoli e l’abbondanza di ogni cosa e la benignità del clima”. Tanto da indurre in Boccaccio “non solo il desiderio di vedere” i luoghi ma anche una mezza idea di sistemarvisi, “se la necessità lo avesse richiesto”. Senonché poi l’amico si era eclissato. Siamo incostanti.

Dieci anni prima, nel 1360, Boccaccio aveva ospitato a Firenze Leonzio Pilato, un monaco basiliano di Seminara, dalla barba ispida, l’aspetto non rassicurante, scrive Vittore Branca, ma dotto in greco. Lo fece nominare lettore di greco allo Studio Fiorentino, dal 1360 al 1362. Lo spinse a tradurre Omero in latino, la prima traduzione di Omero, procurandogli un costoso codice dell’originale da Padova. Lui stesso prese lezioni a Leonzio, la prima fu il 18 ottobre 1360, per due anni – dopo due anni Pilato morirà, nel 1364. Per il suo proprio piacere, per il progetto che veniva eseguendo delle “Genealogiae deorum gentilium”, delle divinità non cristiane, e per far guadagnare Leonzio.

Il greco di Leonzio provocò critiche “abbastanza aspre” in città, dice Branca, perché risultava di nessuna utilità per il commercio.

Anche Petrarca, cui Boccaccio mandò la traduzione di Omero, ebbe da ridire. Non conosceva il greco, cioè l’originale, ma criticò la metrica latina. E anche l’aspetto di Pilato, che pure non aveva mai visto. A volte non c’è rimedio.

leuzzi@antiit.eu

Trump eroico, classico, tragico

Trump come una figura tragica, della tragedia classica: quello che impersona realtà profonde, ma finisce male nella storia. La traccia non è ironica, Hanson crede a ciò che dice.
Una lettura controcorrente, probabilmente unica nell’unanimità mediatica anti-Trump, che già per questo merita attenzione. Anche perché Hanson non è un polemista. Storico accademico, emerito delle università Stanford e California State, si dichiara in sintonia con Trump per molti aspetti, soprattutto sull’immigrazione, e sul razzismo. Ma ha il problema, anche lui, di spiegarsi lo “stile Trump”, e trova nei modelli classici la spiegazione.
Con Trump lo storico condivide l’ostilità all’immigrazione di massa illegale dall’America Latina: “Non possiamo e non dobbiamo permettere che sia sovvertita la cultura americana”. E ritiene che gli afro-americani che lamentano il razzismo, come l’ex presidente Obama, siano “i nuovi segregazionisti”. È schierato: i due punti di convergenza dice (in breve) nel libro e (con insistenza) nelle tante presentazioni che ne fa in rete.
Sull’“eroe” Trump parte con due riserve. “Cosa fa questi uomini e donne insieme tragici ed eroici è sapere che l’espressione naturale delle loro personalità può solo portare alla loro propria distruzione, o all’ostracismo da una civiltà in mutazione che loro tentino di proteggere”, è la prima. E subito dopo: “Nel senso tragico classico, Trump finirà probabilmente in due modi, entrambi non specialmente buoni: o successi spettacolari ma non riconosciuti seguiti dall’ostracismo… o, meno probabile, una presidenza senza rinnovo per l’imbarazzo dei suoi beneficiari”.
Che sembra mettere le mani avanti. Ma sono l’esito delle comparazioni, o precedenti, che lo storico  trova al presidente venuto dal nulla. “Eroico” nel senso classico, che non è quello comune: “Gli americani non sanno cosa la parola significa”, pensano che sia la felicità di fare ciò che si vuole, sia pure per generosità. No, l’eroe classico, Achille, l’Ajace di Sofocle, Antigone, è uno che può agire per insicurezza, per impazienza, può agire per tanti motivi che noi non diremmo eroici. Ciò che loro ci dicono è: vedo speciali capacità che ho, vedo un problema, voglio risolvere quel problema, e voglio risolverlo a tal punto che la reazione a quella soluzione possa non essere necessariamente buona per me”. .
“Classico” nel senso dei western classici, dai “Magnifici sette”, “Mezzogiorno di fuoco”, “Il cavaliere della valle solitaria”. Di Trump è stato detto: è John Wayne. Hanson lo vede diversamente: è Gary Cooper in “Mezzogiono di fuoco”, Alan Ladd “Cavaliere della valle solitaria”. L’outsider che si propone alla comunità per risolvere un problema che la comunità non sa affrontare, siano banditi o “cattle barrons”, ladri di bestiame. E la comunità accetta, anche se perplessa, perché sono rozzi o si presentano male, per metodi e modi.
Ma la chiave, insinua Hanson, è forse più semplice: l’uomo venuto dal nulla s’identifica con la comunità – non è un disperso, un fuggitivo, un evaso di galera. Ed è semplice, cioè autentico, simpatico o antipatico che sia, non paternalistico. “Quando Hillary Cliton andava al Sud, prendeva a parlare con un accento del Sud. Quando Obama si trova in una comunità povera, all’improvviso sembra che parli un patois nero. Quanto Trump ha incontrato gli stessi gruppi, ha usato la stessa cravatta, lo stesso vestito, lo stesso accento”.
Più autentico dei repubblicani impegnati. “Guardando a Trump in termini classici, il termine eironeia, ironia, è emerso”, spiega: “Come è potuto essere che il partito Repubblicano fosse suppostamente empatico, ma solo un milionario, un miliardario, manhattanite, ha preso a usare parole che non avevo mai sentito Romney o McCain o Paul Ryan dire? Ha cominciato a dire «nostro», «nostri». I nostri minatori”.
Ma più della prevenienza, sentita o di facciata che sia, ha contato nell’insorgenza Trump il linguaggio diretto. L’argomentazione qui è lunga, è la parte centrale del libro, ma dei problemi di questi anni Hanson spiega che Trump li ha trattati e li tratta in maniera non diversa o opposta all’opinione comune a Washington, prevalente. Che si tratti della Cina o dell’immigrazione, o degli impegni militari all’estero. “I militari, il corpo diplomatico, il mondo accademico”, tutti concordano che “la Cina è cresciuta militarmente, e pone problemi agli alleati degli Stati Uniti, e che il deficit commerciale è insostenibile”. Ma se lo dicono, rileva Hanson, come se lo avessero scoperto con Trump, mentre è quello che hanno sempre sostenuto, in privato.  Trump come un eroico tragico rivelatore.   
Victor Davis Hanson, The case for Trump, Basic Books, pp. 400  $ 18


lunedì 8 aprile 2019

Recessione (79)


La recessione dell’economia italiana potrebbe essere peggiore nell’anno del meno 0,2 per cento già ipotizzato – Ue.

Il reddito degli italiani (il pil reale pro capite) è ai livelli del 2000, e nettamente inferiore al picco precedente la crisi del 2008-2009 – Ocse.

Il tasso di occupazione è aumentato, ma di poco, e resta inferiore a quello della maggioranza dei paesi industrializzati – Ocse.

La qualità del lavoro è mediamente in calo. E la discrepanza tra le qualifiche e gli impieghi molto elevata – Ocse.

La disoccupazione comunque tornerà in aumento, passando quest’anno dal 10,6 al 12 per cento della forza lavoro.

La crescita della produttività in Italia – effetto degli investimenti – è stata debole o negativa nel corso degli ultimi venticinque anni.

Gli investimenti si sono ridotti da inizio 2019, e avranno quest’anno andamento negativo – più disinvestimenti che investimenti - (Ocse).

Cronache dell’altro mondo (31)


Il generale Pulaski, “figlio del celebre giurista Jozef Olaski” (wikipedia), il “padre della cavalleria americana” nella guerra d’indipendenza, che salvò George Washington dalla sicura cattura da parte degli inglesi, si vuole sia stato una donna. Non è vero ma ci prosperano in molti, sulle ossa esumate per questo vent’anni fa: antropologi, storici anatomopatologi, tv.
E la sessantenne che partorisce in vitro un figlio per il suo proprio figlio gay, per fargli un regalo?
Beh, questo è sportivo – animalesco ma sportivo.
Michael Wolff, che non ha rivelato niente di Trump, contro cui ha scritto un libro, è l’autore più ricco in America secondo “Forbes”, con 13 milioni di dollari vinti da giugno 2017 a giugno 2018 – dopo James Patterson, che però scrive alcuni gialli in un anno, e con un’ottantina di libri in edizione ha guadagnato 87 milioni.
Ora ci prova un giornalista sportivo, Rick Reilly, che in un libro spiega che Trump al golf sposta le palline per vincere.
Pete Buttigieg, che non ha fatto né dichiarato nulla, e concorre alle primarie Democratiche come sindaco di South Bend, cittadina dell’Indiana, è subito l’idolo dei media: è giovane e gay.
Una whistle- blower coraggiosa, Tricia Newbold, una delatrice, genere molto apprezzato negli Usa, segno di virtù civica, impiegata della sicurezza alla Casa Bianca, ha esposto alla Camera dei Rappresentanti due fatti chiave contro Trump. Uno è un nullaosta di sicurezza dato a Jared Kushner, il genero di Trump, cioè l’accesso ai documenti riservati dell’amministrazione – ma questo fatto è pubblico. L’altro è la sistemazione dei dossier segreti su uno scaffale che lei non può raggiungere senza una pedana (Newbold soffre di una forma di nanismo).

I menefreghisti della sinistra


C’era una volta ma non molto tempo fa, e fu perduta a opera degli stessi che ora la rimpiangono. Con lagne e accuse, anche recproche, mai una colpa, e nessuna idea di cosa è avvenuto e avviene. Per esempio a opera dei gruppi d’interesse dell’informazione legati alla speculazione e alla Dc del compromesso storico, compassionevole, molto, flessibile, pieghevole, un tappeto.
Una sinistra disfatta. Una ex sinistra, ma sempre piena di se stessa, si vede dalle presentazioni di queste “riflessioni” in rete, un must in ogni piega. Ma sicuro testimonial di una altrettanto vasta inconsistenza, cioè incapacità: la sinistra non si è perduta, è stata perduta da questi stessi.

“Errori, rimpianti e speranze nel racconto di Occhetto, Bertinotti, D’Alema e Bersani” è il sottotitolo. Ma gli errori sono quisquilie, processi mentali vecchia politica, io ho detto tu hai detto, io ho fatto tu hai fatto, Occhetto tradito da D’Alema e Veltroni, Veltroni contro D’Alema, Bertinotti contro tutti, Bersani che non si sa cosa ci sta a fare in mezzo. Dimenticando Prodi, la Dc, il compromesso storico. I gruppi d’interesse dell’informazione che li hanno sterilizzati prima ancora di cominciare a essere. Al laccio del loro stesso compromesso – andare verso il centro.Bisognerebbe introdurre anche in politica il concorso esterno in associazione. I nostri non sono nemmeno veri colpevoli, gente di panza: sono comprimari, la zona grigia. Andare verso il centro, la grande palude, gli è stato detto, e loro, come le pecorelle escon dal chiuso, a una, due, tre, si sono adeguati. Arrivando a confidare “l’Unità” e la sinistra ai vecchi giovani neofascisti. 

I testi del format tv condotto da Padellaro e Truzzi sulla piattaforma Loft. I racconti dei reduci raramente sono vispi. Questi addirittura vanno all’unisono - il messaggio è “Tutti contro Renzi!”. A gennaio. Del 2019. È il messaggio della piattaforma e degli intervistatori. E i quattro “leader” si conformano. O forse non gliene frega niente di niente. 

Antonio Padellaro-SilviaTruzzi, a cura di, C’era una volta la sinistra, Paper First, pp. 144 € 12


domenica 7 aprile 2019

Il terremoto perduto del Pd

Si celebra all’Aquila il terremoto con una composizione corale commissionata al maestro Piovani. Si celebra per modo dire: forse la memoria dei morti ma un nulla di fatto. Con una composizione commissionata dal Pd, che sarà stata la sola realizzazione dello stesso partito in dieci anni di amministrazione. Che ha dovuto poi cedere a un sindaco di Fratelli d’Italia.
Si celebra il suicidio di una cultura politica. Ma più propriamente l’agonia di una cultura vuota. Spenta dietro le candele in piazza del sindaco Cialente e gli ardori di Stefania Pezzopane. Sotto Berlusconi niente, viene da dire col noto titolo: sotto l’anti-berlusconismo, sotto le chiacchiere.
Le uniche realtà ricostruite in dieci anni sono quelle del mondo cattolico, diocesi e vicariato, con i generosi contributi di Russia, Germania, Francia et al. La gestione Pd ha perduto l’opportunità enorme offerta dal G 8, con gli impegni poi cospicui di Russia, Giappone, Germania, Francia, Canada. Non ha pensato nulla e non ha fatto nulla. 
Gli unici alloggi nuovi sono quelli provvisori delle New Town di Bertolaso. Contestate, irrise – la solerte Procura di Roma, allora Dem, ha pure tentato di mandarlo dentro con una storia di massaggi… Ma ben più solide e protettive degli accampamenti messi su dal Pd a Amatrice e dintorni. Dopo avere, per vendetta sull’Aquila?, disorganizzato la Protezione Civile.

Si dice: il terremoto. Ma la politica non è inevitabile: i delitti li fa pagare.

Si celebra all’Aquila il terremoto con una composizione corale commissionata al maestro Piovani. Si celebra per modo dire: forse la memoria dei morti ma un nulla di fatto. Con una composizione commissionata dal Pd, che sarà stata la sola realizzazione dello stesso partito in dieci anni di amministrazione. Che ha dovuto poi cedere a un sindaco di Fratelli d’Italia.
Si celebra il suicidio di una cultura politica. Ma più propriamente l’agonia di una cultura vuota. Spenta dietro le candele in piazza del sindaco Cialente e gli ardori di Stefania Pezzopane. Sotto Berlusconi niente, viene da dire col noto titolo: sotto l’anti-berlusconismo, sotto le chiacchiere.
Le uniche realtà ricostruite in dieci anni sono quelle del mondo cattolico, diocesi e vicariato, con i generosi contributi di Russia, Germania, Francia et al. La gestione Pd ha perduto l’opportunità enorme offerta dal G 8, con gli impegni poi cospicui di Russia, Germania, Francia, Canada. Non ha pensato nulla e non ha fatto nulla. 
Gli unici alloggi nuovi sono quelli provvisori delle New Town di Bertolaso. Contestate, irrise – la solerte Procura di Roma, allora Dem, ha pure tentato di mandarlo dentro con una storia di massaggi… Ma ben più solide e protettive degli accampamenti messi su dal Pd a Amatrice e dintorni.
Si dice: il terremoto. Ma la politica non è inevitabile.