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Atridi
– La classica Grecia ha un panteon
sanguinario. In esso, benché tutto crudelissimo, gli Atridi riescono perfino a
distinguersi, secondo Pavese perfido, per l’influsso di Artemide “arcadica e marina”.
Nel paragrafo a loro dedicato nei “Dialoghi con Leucò”, “In famglia”, Pavese fa
dire a Castore in stringente sintesi: “È una famiglia che in passato si
mangiavano fra di loro. Cominciando da Tantalo, che ha imbandito il figliolo…”.
O dal “sacrificio dell’atride Ifigenia, tentato dal padre”.
Entusiasta
– È “Dio in noi” nell’etimo greco
costruito da Madame de Staël. E da Lord Shaftesbury, il Sociable
Enthusiast
autore della “Lettera
sull'entusiasmo”, fautore della libertà di scherzo
sotto il titolo “Sensus
Communis”, nipote dell’omonimo Lord Cancelliere
feroce antipapista —, un Dio che non è tragico, non è ingiusto, non è
vendicativo, e si compiace della franchezza.
È anche il
fanatico – il settario. Monsignor Knox ha posto sotto il titolo “Enthusiasm”, “termine trito, peggiorativo,
normalmente malinteso”, il suo ponderoso studio sulle sette, quel fenomeno per
cui “un eccesso di carità” minaccia l’unità, quando una cricca, un’élite di uomini
e (più importanti) di donne cristiane si prefiggono di vivere una vita meno
mondana dei loro vicini, di essere più ricettivi all'indirizzo (sentito
personalmente, vi assicureranno) dello Spirito Santo”.
Lo studio di
Knox, che entusiasmò i prelati del Concilio Vaticano II, deriva da John Locke,
segretario del Lord Shaftesbury cancelliere: una lettura deviata del termine,
vicina al fanatismo. L’ambivalenza è riprodotta anche da Kant - di cui Herder
diceva che fu “lo Shaftesbury della Germania” - nel periodo in cui Kant
professava lo stile popolare, ma che nella sua anglofilia volle evidentemente
far posto anche a Locke.
Madame de Staël, che su questo tema conclude
la bibbia del romanticismo, “Della
Germania”,
la vede
dall’altro lato: “Il genio
e l’immaginazione hanno anch’essi
bisogno che si curi un po’ la loro felicità in questo mondo. L’entusiasmo ci
fa sentire l’interesse e la bellezza di ogni cosa. Inebria l’animo di felicità
e lo rafforza nella disgrazia. Gli scrittori senza entusiasmo non conoscono,
della carriera letteraria, che le critiche, le rivalità, le gelosie”. Con
qualche contraddizione: sarebbe un connotato tedesco — “l’entusiasmo (è) la
qualità veramente distintiva della lingua germanica” — portato dallo spirito
di sistema. E almeno una controindicazione: “Porta in generale alla tendenza
contemplativa che nuoce all’azione: i tedeschi ne sono una prova”.
Eroi
– “Hanno tutti avuto guai dalle donne”,
nota Pavese nei “Dialoghi con Leucò” (“Gli Argonauti”), ed è vero. Dall’“Iliade”
in qua, per non dire delle tragedie. E forse è il segreto di Penelope, della
qualche attrattiva che mantiene benché non per avvenenza o fascino: per essere paciosa,
non iraconda, non minacciosa.
Filippo
de Filippi – Chi era costui? Gertrude Bell lo cita come
persona conosciuta scrivendo all’amica Valentine Chirol il 6 febbraio 1913: “Ho
abbandonato il piano Asia Centrale e l’ho scritto a Filippi”. Georgina Howell,
in “A woman in Arabia”, un abbozzo di biografia di G. Bell, definisce De
Filippi così, con “Nature” e la “Encyclopedia Britannica: “Cavaliere Filippo de
Filippi, autore di molte pubblicazioni in italiano, inglese, tedesco, aveva
invitato Gertrude a unirsi a lui nella spedizione scientifica al Karakorum nel
1913-1914. Nel 1928 divenne segretario generale dell’International Geographical
Union”.
Il Dizionario degli italiani Treccani non
lo cita, benché De Filippi ne sia stato redattore, per la parte viaggi e
avventure. Il “cavaliere” c’è invece in wikipedia in inglese – molto accorciato
nella versione italiana. Fu medico, professore alle università di Bologna e
Genova, e poi geografo, altrettanto professionale e accademico, scalatore,
esploratore. Fu cavaliere nell’ordinamento inglese: a Londra aveva sposato nel
1901, a 32 anni, la poetessa Caroline Fitzgerald, e a Londra ritornò nel 1917,
a dirigere per due anni l’ufficio italiano di propaganda e informazione. Già famoso come scalatore alpino, nel 1897
aveva organizzato col duca degli Abruzzi una spedizione in Alaska, dove
scalarono per primi il Saint Elias. Nel 1903 aveva esplorato il Turkestan,
passando per il Caucaso. Scrisse di una spedizione, cui non aveva preso parte,
del duca degli Abruzzi sui monti Ruwenzori, alla frontiera tra Uganda e Congo.
Nel 1909 col duca degli Abruzzi esplorò la catena del Karakorum. La spedizione
cui di riferisce Gertrude Bell è del 1913-14, nell’Asia Centrale, Baltistan,
Ladakh e Xinjiang: De Flipi ne ricavò un’opera in 17 volumi, su tutti gli
aspetti della regione, etnologici, antropologici, topografici, geologici. In
particolare, la spedizione determinò che il ghiaccio Rimo è stato lo spartiacque
dell’Asia Centrale.
Greco – È stato a lungo sinonimo di
levantino – ingegnoso, imbroglione. Anche in ambienti colti. Di Teseo che, “di
ritorno da Creta, finse di dimenticare sull’albero le nere vele segno di lutto,
e così suo padre credendolo morto si precipitò in mare e gli lasciò il regno”,
Pavese dice (“Dialoghi con Leucò”): “Ciò è molto greco”.
Primo Levi – Sua madre e la madre di
Vittorio Foa erano cugine. Nel 1942, ricorda Anna Foa in “La famiglia F.”, quando
in carcere ebbe dai suoi la notizia della morte del padre di Primo, Vittorio
Foa scrisse loro di Primo e della sua sorella Anna Maria, “i cugini
botticelliani, angeli senza ali, coi soliti incerti confini tra l’angelicità e
la mediocrità. Esiste un fondato sospetto che nel paradiso terrestre gli
angeli andassero a quattro gambe…
Ricordo Anna Maria bambina, era riconoscibile una doppia possibilità di
sviluppo: o in una inverosimile scialbezza o in una singolarissima spirituale
originalità: le probabilità sembravano allora addensarsi sulla prima ipotesi.
Il ragazzo era allora troppo timido, ma sono passati tanti anni. Per Anna Maria
si realizzò la seconda ipotesi”. Uscito
dal carcere un anno dopo, a fine agosto 1943, Foa corteggiò Anna Maria vivacemente.
Poi si legò con Lisa Giua, staffetta partigiana. Ma per gli ottanta anni di
Anna Maria le manderà ottanta rose rosse.
Meschino – Meglio ancora alla
siciliana, mischin(u), molto usato da Camilleri, è letteralmente
arabo, del Nord Africa e del Levante. In questa pronuncia Gertrude Bell lo
rileva in un episodio di “The Desert and the Sown”, il viaggio in Siria e in
Palestina, con la corretta definizione: “Una parola che copre ogni forma di leggero
disprezzo, da quella che si applica alla povertà onesta, fino a, attraverso la
stupidità, i primi stadi di debolezza mentale”.
Ora in disuso – eccetto che nel “Giudice
meschino”, il trittico thriller di Mimmo Gangemi.
Migranti – In “Profezia”, la poesia a
forma di croce, del “Libro della croce” (poi nella raccolta “Poesia in forma di rosa”), Pasolini
profetizza gli sbarchi dalla Libia. Nel quadro di “Alì dagli occhi azzurri”, la
storia che poi svilupperà e che gli è stata raccontata, spiega nella dedica di “Profezia”,
da Sartre. “La grazia del sapere\ è un vento che cambia corso, nel cielo.
Soffia ora forse dall’Africa”, Pasolini a un certo punto riflette, dopo avere
messo “il contadino calabrese” in sintonia e in urto con “l’operaio di Milano”.
E poi decide per il vento del Sud, si direbbe: “Alì dagli Occhi Azzurri\ uno
dei tanti figli di figli,\ scenderà da Algeri, su navi\ a vela e a remi.
Saranno\ con lui migliaia di uomini\ coi corpicini e gi occhi\ di poveri cani
dei padri\ sulle barche varate nei Regn della Fame. Porteranno con sé i bambini…..\
Sbarcheranno a Crotone o a Palmi,\ a milioni, vestiti di stracci\ asiatici, e
di camice americane.\ Subito i Calabresi diranno\ da malandrini a malandrini: «Ecco
i vecchi fratelli,\ coi figli e il pane e formaggio»!\ Da Crotone o Palmi
saliranno\ a Napoli, e da lì a Barcellona,\ a Salonicco e a Marsiglia,\ nelle Città della Malavita.\ Anime e angeli,
topi e pidocchi,\ col germe della Storia Antica,\ voleranno davanti alle
willaye”.
Occidente – “Per gi antichi
l’Occidente – si pensi all’ «Odissea» - era il paese dei morti”, C. Pavese,
“Dialoghi con Leucò”.
Odisseo – È l’uomo solo. Non ha amici
né compagni all’assedio di Troia, dove pure è un re. E nel lungo ritorno non ha
affetti né interessi, se non, alla fine, per un cane, il figlio e la moglie.
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