letterautore
Brexit – Gesumino Pedullà, fratello
maggiore di Walter, antichista, confinato dal fascismo ad Alatri, alla
Liberazione incontra in qualità di fiduciario del Cln gli inglesi di Montgomery.
Che erano “inglesi, scozzesi, polacchi, indiani”. Il fiduciario del Comitato di
Liberazione doveva trattare con due ufficiali in gonnellino. I quali però non
erano scozzesi ma indiani, e un problema di lingua di creò, risolto provando il
sanscrito, “che Gesumino aveva studiato con Tucci”. È uno dei racconti di
W.Pedullà, “Quadrare il cerchio”, pp. 229-230.
Campanella –I 450 anni della nascita l’anno
scorso sono passati inosservati. Nessun contributo, nemmeno di maniera. Su un
personaggio che è stato autore “di più di cento lavori, qualcosa come
trentamila pagine”, notava Luigi Firpo nel 1968, per i 400 anni. O per questo è
inclassificabile? Firpo, che molto su Campanella ha lavorato, lo trovava al
contrario ben lucido. E anche di buon carattere, scriveva sempre nel 1968: “Al di
là del suo pensiero e dell’opera tanto ricca e varia, egli resta per l’Italia
un raro esempio di tempra morale, un ruvido carattere inflessibile”. Insomma, se non altro per il carattere, avrebbe meritato - o è il
carattere che esclude?
Naturalmente non c’entra il leghismo
trionfante, Campanella avrebbe potuto benissimo essere ricordato a Napoli o in
Calabria o altrove, magari dalla stessa chiesa che per quarant’anni ha perseguitato
il suo geniale fedele domenicano.
Catania-Milano – Un folto gruppo di
catanesi puntò direttamente, con l’unità, su Milano. Un’attrazione perpetuata negli
affari - con la farmaceutica prima, ora con le micro e nanotecnologie – ma agli
inizi letteraria: Verga, Capuana, De Roberto saltarono Roma per Milano. Anche
Brancati, poi romanizzato, aveva puntato prima della guerra su Milano, fino al “Corriere
della sera”. Vittorini era di poco distante, di Siracusa. L’asse si è
interrotto dopo la guerra ma perché Catania, già prolifica, non ha più generato
scrittori.
Per primo era partito Bellini, il primo e
maggiore catanese, da Napoli dove aveva fatto il conservatorio: il genio dei
direttori artistici, Barbaja, lo scritturò a venticinque anni per la Scala,
dove debuttò l’anno dopo, nel 1827, con “Il Pirata”, seguito nel 18289 da “La
Straniera”, due gran di successi. I primi di otto anni proficui, che culmineranno
nel 1831 con “La sonnambula” e “Norma”.
Cocaina da Vienna – Un gigolò ricattatore
gira nel racconto “Il rubacuori” di Edgar Wallace armato di due revolver “acquistati
al Cairo da un uomo che contrabbandava cocaina da Vienna”. Si direbbe l’inverso,
che a Vienna si contrabbandi cocaina dal Cairo.
Ma all’epoca del racconto,1930, evidentemente no, la fama poteva essere
quella - Freud viveva di cocaina, e molti suoi corrispondenti.
D’Arrigo – “Narratore
analitico che scrive in una lingua popolare che non è parlata da nessun popolo”:
il dimenticato autore di “Horcynus Orca”, il
capolavoro che Arnoldo Mondadori volle, e di cui finanziò a lungo la stesura,
caso unico nell’editoria italiana, è così detto da W. Pedullà, suo primo e
durevole sostenitore – in “Alberto Savinio, scrittore ipocrita…”, 84.
Euripide – Un
tragico suo malgrado? Si sentono commenti delusi al teatro Greco di Siracusa
per la sua “Elena: gli appassionati non ci hanno trovato il pathos che se ne aspettavano. “Elena” in effetti
non è una tragedia e nemmeno un dramma, è una commedia. All’italiana – triste,
e con una morale – e non aristofanesca, ma è un seguito di situazioni comiche, ironiche,
satiriche. Se non che: tragedia e commedia non sono due facce della stessa
moneta? L’epica se ne distingue, ma Euripide non vuole assolutamente essere
epico, è piuttosto un social scientist.
La tragedia è
(Savinio) “rappresentazione di uomini moralmente superiori”. È evidente che Euripide
non è – non vuole esserlo - un tragico; è un drammaturgo moderno, “borghese”, incredulo.
Leghismo – Sembra aver messo a tacere
la letteratura, quella che si potrebbe in qualche modo definire leghista, a
partire da Dionisotti, “Geografia e storia della letteratura”. Domina ormai da quarant’anni,
ma non ci sono opere “leghiste” - particolari, locali, campanilistiche. E i
dialetti, che prima si privilegiavano, specie in poesia, ma anche nella
narrativa, sono scomparsi – le dialettizzazioni di “L’infinito” di Leopardi,
che il “Corriere della sera” si compiace di pubblicare, si segnalano per la
freddezza. Resistono i dialetti negli sceneggiati, “Gomorra”, “Montalbano” ma
come sottolineature di colore.
Un Dionisotti di oggi farebbe fatica a
distillare umori regionali, specie al Nord, nelle lettere: modi di dire,
tematiche, architetture verbali.
Padri – Un problema del primo Novecento, lo rileva
Walter Pedullà, “Alberto Savinio, scrittore ipocrita e privo di scopo”. Di
Savinio come di Svevo, Gadda e Tozzi.
Postumano – Sarà durato solo cinque
anni? Sembra scaduto con l’Intelligenza Artificiale, di cui non è d’uso nominarla
postumana, anche se rientra in pieno nel concetto. Quasi che il taglio inferto
alla storia cinque anni fa da Rosi Braidotti si voglia esorcizzarlo, comunque
anestetizzarlo.
Il postumano di Braidotti era derivato dalle
nozioni di cyborg – l’umanoide trapiantato – sul territorio infido delle
biotecnologie. “La nostra seconda vita negli universi digitali”, poteva
spiegare la teorica di genere - del femminismo post-femminista - a Leida,
Olanda, “il cibo geneticamente modificato, le protesi di nuova generazione, le
tecnologie riproduttive sono gli aspetti ormai familiari di una condizione
postumana”. Ma arrivati al dunque, al cervello
artificiale in qualche misura autonomo, l’asticella dell’umano viene ora innalzata: con l’Intelligenza Artificiale, pure
self-confident e sofisticata, sembra molto più difficile superarla.
Sciascia - È un rondista? “Sciascia
ha manifestato sempre un’acuta nostalgia dei rondisti”, nota Walter Pedullà, di
passaggio in “Alberto Savinio, scrittore ipocrita …”, 84, un critico che non si
è (quasi) mai occupato di Sciascia, su cui ha però poche righe fulminanti: “Sulla
loro prosa aveva imparato a scrivere in un italiano terso e puntuale come quello
di un classico”. Gli piacevano Savarese, Cecchi e altri “venuti dopo le
avanguardie storiche”, e in antagonismo a esse. “Sciascia non potrebbe essere
più sintetico, un avaro che regala parole che valgono oro anche quando non
luccicano”. Uomo di verità: “Sciascia prima trova la verità e poi la racconta,
con lo stile di chi ha il dovere di essere chiaro e semplice: la verità è più
vicina all’essenziale che al molteplice”.
letterautore@antiit.eu