sabato 6 luglio 2019

Secondi pensieri - 389

zeulig


Budda - Si direbbe il figlio del padre. Come il figlio e il padre si vorrebbero. Un figlio che il padre dota di vergini, musici, danze, fiori, animali grati, giochi. Niente traumi perché "senza" madre.
Le rinascite sono attraenti, ma anche agevoli - mai risolutive, una perpetuazione delle incertezze. L'incertezza non è un male, ma è una fatica - il marcatore con più fiato ha bisogno di pause.

E molto amato il buddismo dalle donne, in Occidente. Benché sia pratica tutta mascolina.

Dialettica – Non conduce a nulla, arguisce Canetti nel “Libro contro la morte”, in un appunto di fine 1969, perché non esclude la morte. Canetti prende a partito Hegel: “Con la dialettica come la intende Hegel, non si arriva propriamente a nulla. Questo è dovuto alla fine all’esistenza di un fatto fondamentale irreversibile sul quale tutto riposa: la morte. Una filosofia in relazione reale e non soltanto apparente con la morte non saprebbe essere dialettica. La morte non contiene vita, non si rovescia in vita. È univoca, sterile, e non si lascia persuadere da niente”.

Dio – “Dio, il tuo boia”, s’impazientisce Canetti nel 1951, poco dopo aver cominciato il suo duello contro la morte - “Il libro contro la morte”. Un giudice che è anche boia, si può dedurre, avendo condannato l’uomo a morte – il creato a morte – fin dalla “Genesi”.
“Se ci fosse un Dio giusto”, argomenta Canetti, “la storia del peccato originale dovrebbe essere del tutto diversa. Adamo era curioso della morte e vi ha gustato per gioco. Il pomo della conoscenza era il pomo della morte, era un albero. Per questo è stato punito e maledetto da Dio: al prezzo del sudore che gli vale la conoscenza, l’uomo deve sforzarsi da allora di sfuggire alla morte, di sradicare in lui le tracce del pomo della morte. Nessun Cristo e nessun sangue potranno mai riscattare la sua colpevolezza, deve trovare da sé, con la conoscenza, la via della sua immortalità naturale”.

“E se Dio, per vergogna della morte, si fosse ritirato dalla creazione?”, è altra questione dell’insistente Canetti, che pure Dio aveva, dice, da tempo abbandonato. Ma non intende il contrario: se Dio si fosse ritirato dalla creazione non sostenendo la morte – dalla creazione imperfetta, destinata a morte?

“Si nega facilmente l’esistenza di Dio”, si dice a un certo punto il negatore Canetti, “ma ci si rifiuta di maltrattarlo”.
Un pensiero così iniziato: “Dio è la creatura più notevole che l’uomo abbia inventato”. Per subito dopo dirlo “la rappresentazione ideale della sua volontà di potenza”. E di giustizia non? Di amore?
Dio non può aver “creato” la morte, che è invece il nulla o l’increato, senza Dio. Non l’ha eliminata. Ma senza la morte la creazione non avrebbe senso.
Dio è la creazione dell’uomo contro la morte, come scongiuro e come resurrezione.

Immortalità – Canetti, “Il libro contro la morte!”, la vuole naturale – innaturale è la morte. Ma per un altro senso del naturale, in quanto razionale. La natura nasce e muore uguale, come in botanica, e tra i mammiferi.

Inquietudine –Questa diffusa dell’epoca più lunga di pace nella storia (tre generazioni senza guerra, quattro), e di affluenza per tutti – never had it so good. Per motivi futili o inventati, l’invasione, l’islam (e nell’islam gli sciiti contro i sunniti), la proliferazione, l’ozono, il riscaldamento globale – o la glaciazione - non sarà legata al telefono ubiquo?
Si osservano gli effetti più bizzarri del suono del telefono. Motociclisti si fermano d’improvviso di traverso. Automobilisti se ne stanno di traverso all’incrocio, immemori del traffico. Le donne, specialmente, attraversano la strada nel traffico immemori, come beate. Effetto della reperibilità totale, che reagisce come un trauma: uno squillo del cellulare blocca l’essere. Ogni volta che suona il telefono, e il telefono ora suona sempre, e suona di più quando non suona, è un trauma.

Kierkegaard - Libero e irriverente - nonché di vita sentimentale impossibile - perché nato da genitori anziani? Il padre aveva 57anni, la madre 4t – lui morirà di soli 42 anni.

Masochismo. Incoronato dal Cristo, lo vuole molta pubblicistica. Ma Cristo è il sacrificio per conto altrui e non l'autopunizione. Non ha complessi di colpa, niente da farsi perdonare

Mistero – È l’uomo nell’universo. Non la Materia Oscura della fisica. Come va il mondo si sa, è l’uomo che nel mondo non si spiega – che va contro il mondo.
È qui il fondamento della religione – dello spirito religioso. Non nella Materia Oscura  della fisica.

Morte  - Canetti ne ha trattato tutta la vita – il primissimo progetto è del 1937 e ne scriverà fino all’ultimo, nel 1994 – senza venirne a capo. Che c’è da venirne a capo, è la condizione naturale.

Roger Scruton, il neo tradizionalista: “Il nostro posto è tra i morti, siamo felici quando lo capiamo e cerchiamo di ricreare nell’immaginazione, e in piccola misura anche nella realtà, l’ordine morale che è stato stabilito in un periodo più lungo di una vita in nome di qualcosa di più della vita”.
È un tentativo di arrestare il processo “per cui la vita rurale è stata piano piano svuotata dei suoi visceri” – la vita ripetitiva. 

Nietzsche – Il negatore-distruttore di Dio è religioso non solo per Lou Salomé, “La mia vita”. Anche Canetti, “Il libo contro la morte, 141, lo trova “geloso di Dio”.


zeulig@antiit.eu

Gesù suona da dio


Dio s’incazza, si parla così, e rimanda Gesù sulla terra – provvede una ragazza illibata del Middlewest. Siamo cioè in America, un mondo di fumati, ubrichi, fricchettoni, obesi, tiratori, singoli e in massa, tra montagne di cibi scaduti, innaffiate d’ammoniaca contro il riutilizzo, e buchi nell’ozono. Un mondo che è il mondo – “Nascere è come avere in omaggio un biglietto per uno spettacolo di freak”, Niven fa declinare la filosofia a George Carlin, il vecchio comico Usa: “Nascere in America è come avere una poltrona in prima fila”.
Dio è diverso – “Dio ama i froci” è dappertutto. Soprattuto ce l’ha con i cattolici, che hanno fatto papa un nazista, violentano i bambini, eccetera. E anche Gesù, “un ganzo alternativo”. Ha una band, di svalvolati, su a New York, la nuova Gerusalemme, tutti fumati. Con la quale entra nel giro di un talent, l’“Amici” americano, o “X Factor”. Qui si va veloci, Niven ne è o è stato uno specialista, prima che narratore.
Gesù vince naturalmente, suonando da dio, e compra una fattoria stile comune del Sessantotto, con bambini e mucche indivisi. Semifinale alla Peckinpah, con gli sbirri ammazzatutto. Ma Cristo non può non risorgere, e il finale è alla Perry Mason – la giustizia restaurata, malinconica.  
Un demenziale. Sul mondo bislacco che ci ritroviamo. Scritto con gusto. Con alcune liste che avrebbero fatto l’invidia di Eco: sui cattolici , le innumerevoli specie, sui protestanti, sui tipi americani. Ma compiaciuto – il corretto dello scorretto. Per 400 pagine di “cazzo” e “sticazzi”, per il divertimento probabilmente di Marco Rossati, il traduttore – un traduttore per una volta in libertà.
John Niven, A volte ritorno, Einaudi, pp. 381 s.i.p. (per Mondadori Wow Collection, due libri € 9,90)

venerdì 5 luglio 2019

Problemi di base umanitari - 494


spock

L’unico porto sicuro nel Mediterraneo è Lampedusa?

A costo di tenere stivati un carico di africani, come ai bei tempi?

La capitana Carola con gli africani ci ha giocato, ma gli pagava la diaria?

Cosa c’entrano le ong battenti false bandiere con la politica italiana?

Oppure sì?

Si può fare politica con i diritti umani?

Poniamo che una Sea Watch italiana, con quaranta africani a bordo, si presentasse a Amburgo, o all’isola di Sylt?


spock@antiit.eu

L’amore oltre la morte

Il venerdì nel senso di “venerdì”. O dell’amore oltre la morte. Una follia sentimentale, nell’incanto dell’Elba celebrato, dopo l’ostico inverno e prima dei turisti. 
Per amatori dell’isola, e della Signora in Giallo. Tra “amici miei” alla BarLume.  
Giorgio Faletti, L’ultimo venerdì della signora Kliemann, La nave di Teseo-“Il Tirreno”, pp. 155 € 4,90

giovedì 4 luglio 2019

Il mondo com'è (376)

astolfo


Antropologia – Se ne contestano l’impianto e le ricerche alla luce del “politicamente corretto”, dell’uguaglianza-omogeneità. Ma se ne lasciano impregiudicate le testimonianze, pure passibili di accertamento storico. Il cannibalismo in Centro America e in Africa. I sacrifici umani, in Africa e in Centro America. L’assassinio rituale dei re, cessata la funzione, o dei vecchi, degli storpi, delle figlie femmine fino a qualche anno fa, in Africa e in Asia. Testimoniate da antropologi pure recenti, degli anni 1970-1980. Marvin Harris sopra tutti, “Cannibali e re”, l’inventore del materialismo culturale che furoreggiò non molto tempo fa, negli anni 1970-1980, e tuttora si ripubblica, nei saggi Einaudi e nei saggi Feltrinelli.
“Ricerche” a loro tempo politicamente corrette, quelle di Harris, nelle quali si spiega il  cannibalismo rituale azteco col bisogno di sovvenire alle carenze proteiniche. Delle classi privilegiate – Cannibali e re” è del 1977, ma già da un decennio Harris spiegava il Diamat degli aztechi, il vezzo di asportare gli organi dei condannati ancora vivi, e di mangiarseli, per dire che c’era carenza di proteine....
Resta da spiegare la schiavitù. Resta ancora da accertare il razzismo: se la “tratta” fu alimentata dagli arabi, che razziavano gli africani indifesi, creando la domanda dei negrieri per le colonie americane, o viceversa, se la domanda alimentò le razzie.

Maometto – Canetti, “Il libro contro la morte”, lo avrebbe voluto “il D io degli ebrei”. In un appunto del 1956 rivela: “Anno dopo anno ritorno alla figura di Maometto. Non lo abbanono, non m’abbandona. Ho trovato in me lo spavento che ispira. Che importano i greci, gli ebrei, i cinesi ! Che ho da illudermi con questi uomini di alta cultura! Ho bell’appassionarmene, non sono loro. Ma Maometto è come un ebreo. Il Dio degli ebrei lui l’ha condotto sino ala fine, al suo impero terrestre. Il profeta vero è Maometto, gli altri hanno capito male Yahvé. Io so esattamente che cosa Maometto voleva, che cosa sentiva. Conosco i suoi cimiteri, conosco le sue donne,conosco la presunzione della sua giustizia. Conosco la sua natura corporea, conosco la fobia delle anime. Conosco il fuoco della ripetizione e conosco il degrado della rivoluzione divenuta legge”. Vicino lo sente soprattutto per il senso della morte: che ci sia “un’anima disgiunta dal corpo è ai miei occhi una buffoneria”.

Memoria – Il politicamente corretto, o teoria dei diritti, tende a cancellarla. Non a correggerla, a cancellarla. Di Colombo non si vuole un’altra lettura, ma la cancellazione della memoria, con i monumenti e la toponomastica. Lo stesso con la prima storia americana, con la schiavitù e la caccia agli indiani. O con Kipling, di cui gli universitari di Manchester hanno cancellato il murale della poesia If - per sostituirlo con una poesia della poetessa, attrice e ballerina afroamericana Maya Angelou (che di Kipling e di If è stata ammiratrice).

Novecento – Il secolo di Hegel? Secolo breve secondo Hobsbawm, ma meglio si direbbe tragico, per le due guerre mondiali e Hiroshima – oltre alla tante guerre del secondo Novecento, l’Indocina, la Corea, l’Algeri, il Vietnam, e la “mobilitazione totale”, la guerra contro i popoli. Canetti lo dice l’esito di Hegel - della dialettica più che della “Fenomenologia dello spirito”, della storia finalizzata. “Sono più che mai convinto”, scrive nel 1969, negli appunti pubblicati come “Il libro contro la morte”, “che le teorie politiche del secolo XIX- e non ne escludo alcuna – sono speciose e false. Revisionarle o completarle non servirebbe a niente: sono fondamentalmente false. Questo si vede con più chiarezza trattandosi di teorie che furono le più ricche di conseguenze, e cioè quelle che derivano da Hegel. Con la dialettica come la intende Hegel, non si arriva propriamente a nulla”.

Oikofobia – Il vecchio odio-di-sé teorizzato in filosofia da Roger Scruton, “Il bisogno di nazione”. Detto di chi rifiuta le proprie radici, nazionali e culturali, per assumerne altre che ritiene migliori. L’antitesi della xenofobia, altrettanto risoluta.
Scruton, conservatore passato agli annali come “il filosofo che inventò l’oikofobia”, in realtà la riprese dalla psichiatria, e dalla pubblicistica ebraica. Il filosofo tedesco Theodor Lessing tratteggiò l’oikofobia come “odio-di-sé” del mondo ebraico, o il rifiuto della propria cultura in favore dell’assimilazionismo, nel 1930, da sionista – sarà assassinato presto, nell’estate del 1933.
In psichiatria l’oikofobia sintetizza l’avversione verso la famiglia e l’ambiente domestico. Può anche essere usato per indicare una fobia del chiuso, della casa come ambiente chiuso. Si fa risalire al 1808, all’uso che il poeta e saggista Robert Southey ne fece per dire la Wanderlust inglese, la mania inglese di viaggiare, conoscere luoghi nuovi, stabilirvisi.
Theodor Lessing era un filosofo ottimista della storia. “La storia come conferimento di senso a ciò che non ha senso” è il titolo della sua opera più famosa, 1919, appena dopo la guerra orrenda. Dieci anni dopo elaborò la categoria del Selbsthass, l’odio-di-sé. Il filosofo la elaborò nel 1930 in riferimento agli ebrei, lui ebreo. Agli intellettuali ebrei che si volevano antisemiti, imputando alla religione, e in particolare all’ebraismo, che la religione lega alla razza, l’origine dei mali nel mondo. Tre anni più tardi, all’avvento di Hitler, Th. Lessing, che si professava “tedesco, sionista, comunista”,  si rifugiò in Cecoslovacchia, a Marienbad. Ma tre tedeschi di Cecoslovacchia lo uccisero - il 30 agosto, e poi tranquillamente emigrarono al sicuro in Germania.

Scruton nel 2004 ne ha fatto “il ripudio dell'eredità e della casa”, dell’eredità culturale. Equivalente della xenofilia. Per motivi politici o psicologici. L’antitesi della xenofobia. Scruton recupera l’oikofobia psichiatrica, come “stadio adolescenziale”, parallelo al rifiuto della famiglia. E la amplia alla cultura, che dice di sinistra, impegnata accademicamente contro “sia la cultura comune dell’Occidente, sia il vecchio curriculum educativo che cercava di trasmettere i suoi valori umani”. Una tendenza che vede espressa soprattutto da Foucault, dall’“assalto alla società borghese” dal suo interno, e da Derrida, “oikofobo classico”, puntato a sovvertire tutte le “case”, le tradizioni teologiche, legali, letterarie.        

Surroga – Prelude all’estinzione dei mammiferi. Una volta disgiunte le funzioni procreatrici, la paternità e la maternità naturali, nulla vieta di pensare che, così come c’è la fecondazione in vitro, si possa costruire la gestazione artificiale.

astolfo@antiit.eu

La politica della giudice Vella


È chiaro che la giudice Vella ha voluto fare una sentenza politica, derubricando la Guarda di Finanza e la motovedetta della Guardia di Finanza  a corpo e mezzo borghese e non militare. Però non vuole che si dica. Cioè sì, vuole che si dica nei circoli politici amici, ma non altrove. È l’ipocrisia che si mangia la sinistra.
La giustizia politica che imperversa da quarant’anni ha divorato la politica, lasciandola in balia di Grillo e di Salvini. È l’arma tradizionalmente dei governi monocratici, fascisti, dittatoriali. È l’arma in Italia della sinistra, da harakiri – Salvini farà un monumento a questa Vella.
È chiaro che la capitana tedesca ha voluto fare un gesto politico, puntando su Lampedusa, raccogliendo quanti africani le bastavano in ostaggio, tenendoli per due settimane in stallo, e alla fine forzando il blocco. Ma questo non si dice, ha fatto solo un atto umanitario. Sono racconti che non reggono.
“Una nave italiana con equipaggio italiano avesse forzato le leggi tedesche, entrando di forza in un porto tedesco e mettendo a rischio le vite di militari tedeschi, avrebbe trovato un giudice che liberava il comandante?”. Si rilancia l’ipotesi di Salvini come segno di fascismo, e questo dice che, oltre alla malafede, nella sinistra domina la stupidità – non vedere l’ovvio.

Il materialismo culturale è carnivoro


“Enigmi del gusto e consuetudini alimentari” è il sottotitolo. È la parte innocente delle ricerche dell’antropologo americano, altrimenti famoso – per il “materialismo culturale”, categoria da lui costruita sullo studio dell’alimentazione, per cui gli Aztechi e altri cannibali sopperivano con la carne umana alla carenza di proteine.
Partendo dal principio  che il cibo è “buono da pensare” se e perché è “buono da mangiare”, e rovesciando il rapporto, indaga e racconta come e perché mangiavamo gli esseri umani sugli altari e oggi l’hamburger. Perché siamo, o siamo diventati, carnivori, qui non è tanto questione di proteine quanto di digeribilità: all’intestino le diete di fibre pesano, preferisce “alimenti di qualità elevate, poco voluminosi e rapidamente digeribili”. In controtendenza, l’antropologo materalista non è vegano, al contrario: mangiare meno carne, “fatto salvo il minor consumo di grasso animale e il colesterolo”, non salva – “non può rispondere mai,in nessun luogo, a un’esigenza salutare”.
Non grandi novità. La guerra? Un modo per limitare la popolazione quando le proteine scarseggiano.  Il maiale interdetto? Mangia gli stessi cibi degli uomini, e costa troppo – capre, pecore e bovini si nutrono d’erba e danno lana e latte, oltre alla carne. Le vacche sacre in India? Una necessità assoluta: senza non si potrebbe arare né mungere il latte. Ma Harris è miglior divulgatore (narratore) che ricercatore: sa raccontare quello che mangiamo.
Marvin Harris, Buono da mangiare, Einaudi, pp.264 € 12

mercoledì 3 luglio 2019

Cronache dell'altro mondo (37)

Kamala Harris, in corsa alle primarie Democratiche per il candidato alle presidenziali 2020, accusa Joe Biden, il vice-presidente di Obama, candidato numero uno alle stesse primarie, di razzismo.
Marsha Jones, 28 anni, colpita a rivoltellate durante un alterco con un un’altra donna, ha perso il bambino di cui era incinta. La giustizia dell’Alabama l’ha condannata perché “non ha protetto” il bambino. Marsha Jones non doveva litigare. Il Grand Jury che l’ha deciso era a maggioranza femminile. A esso il governatore dello stato, una donna, ha espresso riconoscenza. 
Si sorride della diplomazia di Trump con la Corea del Nord. Con cui si vorrebbe il viso dell'arte, benché potenza nucleare. Mentre si vorrebbe l’appeasement con l’Iran. Di cui gli arabi limitrofi, e Israele, e l'Europa, Russia compresa, temono la (futura) Bomba. Lavorare d'intesa con Cina e Giappone, che anch'essi temono la Boma coreana, no.
Dopo l’abbattimento delle statue di Colombo, si vorrebbe la cancellazione degli affreschi di storia patria in cui siano rappresentate la schiavitù e la guerra agli indiani. Non la revisione (correzione) della storia, ma la sua cancellazione.
Il gioco alla moda alla scuola media, ma anche alle elementari, è della identità sessuale: dai sette ai quindici anni i ragazzi si interrogano se sono maschi o femmine, e in che percentuale. Una nuova specialità di psicologia si è affermata per l’individuazione dell’identità  sessuale del bambino, e la chirurgia plastica si estende agli adolescenti.

La donna autrice


Una rivendicazione del diritto delle donne a scrivere, sotto forma di racconto sentimentale – un amore andato a male proprio su questo, l’indipendenza di lei. Scritto durante il consolato o l’impero di Napoleone,  ma da una donna già celebre come scrittrice (di innumerevoli opere, di
narrativa, e di pedagogia) e come personaggio. Contessa per matrimonio, Caroline-Stéphanie-Félicité du Crest era stata il Governatore dei figli di casa d’Orléans, tra essi il futuro re Luigi Filippo, animatrice di una sorta di asilo-scuola avveniristico nella sua propria abitazione, con i bambini d’Orléans, i suoi propri, e qualche nipote, autrice acclamata nel 1779, a 33 anni, di un  “Théâtre à l’usage  des jeunes personnes”, di cui scrisse subito Grimm entusiasta, successo doppiato nel 1782 con un testo di pedagogia derivato da Rousseau, “Adèle et Théodore, où lettres sur l’éducation”.  Invitata all’Accademia da D’Alembertt all’Accademia a condizione che lasciasse il “partito dei devoti”, si rifiutò, e progressivamente si allomntanò dai philosophes. Sarà poi autrice di molti racconti e romanzi dimenticati, ricordata per le voluminose “Memorie”.
Alla rivoluzione aveva portato i bambini che accudiva a vedere la demolizione della Bastiglia. Ma quando, nel 1793, il duca d’Orléans fu ghigliottinato, per avere votato contro la condanna a morte del re Luigi XVI, riparò anche lei all’estero. Vivendo da allora in poi dei suoi scritti. Ritornò con Napoleone, che la provvide di una modesta pensione, quindici anni di grande produttività. Che le portarono anche l’ammirazione di George Sand. E si riconciliò poi con i Borbone, vivendo con una modesta pensione di casa d’Orléans, e di acquisti di favore – Talleyrand le acquistò una cassa di autografi. Morirà a 84 anni anni, pochi mesi l’accesso al trono del suo allievo Luigi Filippo – che la ricorderà nelle “Memorie” come educatrice “molto democratica”.
La rivendicazione è graziosa, anche spiritosa.Si conclude perfino con le “gelosie letterarie”, un pezzo d’antologa, e le “noie della notorietà”. Non nuova: il tema era del tempo, rivoluzionario e post. Mme de Genlis era stata preceduta da Mme de Staël, “Della letteratura”, 1800, e “Corinna, o dell’Italia”. “La femme auteur”, del 1810, è pubblicato nel 1825, nella raccolta “Nouveaux contes moraux et nouvelles historiques”. Madame de Genlis era nipote di Mme de Mantesson, l’amante del duca d’Orléans, la quale scriveva a sua volta – un adattamento dalla “Marianne” di Marivaux è ricordato.
La parte più vivace, oltre che sull’amato restio a sposare una scritrice, è sulle donne. Sulla loro incapacità a di “fare gruppo” o “spirito di corpo”.
Madame de Genlis, La femme auteur, Folio, pp. 109 € 2

martedì 2 luglio 2019

Ombre - 469

Miriadi di gruppi economici hanno trasferito la sede legale e fiscale in Olanda e a Londra. Ma l’Antitrust si ricorda solo della Fiat – che ora vorrebbe in qualche modo sanzionare, ma ancora non sa come. Dieci o dodici anni dopo il misfatto. Poi si dice che i giudici non sono equi.

Si aprono domani le Universiadi a Napoli. Un bell’investimento, con molta gente in città.
Ma su “Gazzetta dello Sport”, “Corriere della sera”, “la Repubblica” qualche breve, al più – sulla Rai niente. Giusto per dire che c’è Bocelli alla inaugurazione. Per dare ragione a Crozza, quando imita De Luca, il presidente della Regione Campania, quando lamenta che il mondo non sa dell’esistenza di Napoli?

Fa la figura del grande statista il presidente del consiglio Conte che a Bruxelles fa saltare il Consiglio convocato per approvare la nuova Commissione europea: “Se vengo qui, voglio che la proposta sia fatta dai membri di questo Consiglio, che sia discussa qui, che sia motivata e criticata qui”. Che meglio di tutti dice come funziona l’Europa: Merkel dispone, dà qualcosa a Macron e la cosa è fatta.

Oggi magari le nomine dei nuovi commissari Ue saranno fatte, ma nojn saranno quelle decise a Berlino. È un risultato? Sì, in diplomazia contano le cose fatte.

Lo squagliamento di Macron quando ha visto le nomine di Merkel contestate è brutta conferma. Non c’è’nemmeno un asse Berlino-Parigi al governo dell’Europa, non c’è niente. Macron è solo un (piccolo) opportunista. 

“L’Italia si è isolata”, il commento di Berlusconi neo deputato a Strasburgo, è la conferma che non ne capisce niente – sarà stato un pallone gonfiato dai “comunisti”, come questo sito ah sempre sostenuto. Non di diplomazia o politica estera (l’Europa è un problema di politica estera), sempre buggerato dai Grandi Amici che vantava, Merkel e Sarkozy, il Macron dell’epoca. In Europa, nel Mediterraneo, in Cina, con la Russia e in tutto.
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La Juventus ha liquidato la vecchia dirigenza (Marotta etc.) per spendere. A imitazione dei club spagnoli, che macinano record di acquisti e ingaggi. Straindebitandosi – da ultimo con un’obbligazione da 100 mila euro a pezzo che il suo stesso prospetto dice rischiosa – “non sappiamo se saremo in grado di ripagarla”. Ma i club spagnoli sono partiti a quest’asta forsennata col regalo vent’anni fa, da parte delle municipalità di Madrid e Barcellona, fiscoesente, di terreni edificabili in quantità. Urbanizzati e tutto, con la scusa di farvi sorgere gli impianti. Una dote forse contraria alle regole del fair play ma che rende i club patrimonialmente solidi. Anche il calcio, quando è ricco, è legato alla rendita urbana.

Le banche italiane sono le più solide in Europa a giudizio di Bloomberg. In base alla patrimonalizzazione e a tutti i coefficienti Bri, la banca dei regolamenti internazionali. Le stesse che la Bce di Draghi ha messo per anni nel mirino, mentre faceva trattamenti di favore – stress test addomesticati - a banche semifallite come Deutsche Bank. Bisogna di fendere le banche centrali, ma la prima carità non comincia da se stessi?

L’inchiesta giudiziaria “Fiume di denaro” a Firenze-Prato ha accertato l’esportazione illegale (per non pagare imposte eccetera) di 4,5 miliardi da parte degli operatori cinesi. Senza spalloni e senza sotterfugi, tramite i money transfer. Che si vogliono incontrollati per non spaventare gli immigrati, che sono quelli che li utilizzano. C’è stupidità nell’“accoglienza”, forse, più che marcio.

Si dà risalto a ogni sbarco alla proteste di Francia e Germania contro l’Italia – non contro Salvini, contro l’Italia. Montando casi diplomatici, che invece non ci sono. Non ci sono nemmeno proteste, non regolamentari. Da parte di Stati peraltro arcigni con gli immigrati senza carte in regola. Più di Salvini: la Francia e la stessa Germania “regolamentare”, dietro il cache-sex Merkel.
Non è informazione, è politica, italiana. Gli immigrati non contano: chi sono, cosa cercano, come si muovono – come si muovono realmente, non lo storytelling dell’emigrazione politica, copione immutato da decenni.

La motovedetta della Finanza ha rischiato lo stritolamento, nell’accostaggio ordinato dalla pin-up Carola. Ma questo interessa poco: si racconta una volta, in breve, e via – quando non si insinua, come fa la galassia Gedi-De Benedetti all’unisono, che i finanzieri si sono incuneati tra la Sea Watch e la banchina per farsi schiacciare…  Si capisce anche per questo - il tradimento dei media - il voto italiano. Che non è il “fascismo eterno” di Eco – non c’è migliore accoglienza per gli africani dell’Italia, in Europa e nel mondo.

“Woytila chi? Troppe amnesie sul terremoto”, lamenta Filippo Di Giacomo su “Il Venerdì di Repubblica”. Il vescovo di Camerino e il papa hanno ricordato a metà giugno il terremoto senza ricordare la prima emergenza, nel 1997-1998, a Colfiorito e dintorni. Per non ricordare papa Woiytila? Senza nemmeno invitare alla cerimonia, a Camerino, i vescovi di Camerino che allora si prodigarono, Massara e Brugnaro. Il papa della misericordia è ferreo.

Sono cattivissime, oltre ogni ragionevole dubbio, più del celebrato Collina (“faccio io la partita”), le “arbitre” della Coppa del mondo di calcio femminile: sono ferree nell’intimorire chi deve perdere. Bisogna rivalutare gli arbitri maschi? C’era un che di femmineo negli arbitraggi di Collina?
E sono (quasi) tutte latine: costano meno?

Il Mondiale di calcio femminile lo devono vincere gli Usa, e questo è evidente. Dagli arbitraggi, e dalla programmazione. Si programma anche Italia-Olanda a orario impossibile per il caldo, e perfino inutile per le tv europee (alle 15 di un sabato, le 9 a New York, nessuno vede la tv), per questo. Per stroncare la semifinalista che gli (le?) Usa devono battere in finale.

Hilal Hamidi, afghano, è orfano. Nel 2009 i Talebani gli hanno ucciso il padre. Essendo il figlio maschio, quindi tenuto alla vendetta, i Talebani lo rapiscono, e ne fanno un kamikaze: “Il mio «addestramento» è durato sei mesi”. Fallite due prove, lo puniscono con l’olio bollente. Fugge con un compagno, e quello annega. Un contadino lo salva e lo cura. Tre mesi dopo parte per l’Iran. Dopo tre anni è in Grecia, via Turchia. Da Igumenitza “nascosto sotto un tir” sbarca a Bari. Ora fa il pasticciere, e ha un Delivery Sushi a Roma, al quartiere Talenti. “Ho appena compiuto otto anni di Italia e di libertà”, il “Venerdì di Repubblica” gli fa raccontare, con qualche confusione - Hilal, che ha vissuto tante vite, ha solo 22 anni, e non mostra traumi. Ma la storia è solo uno spot per L’Approdo – una ong dell’accoglienza? la trasmissione di Lerner?

“la Repubblica” a favore dell’immigrazione di massa? “Il Viminale cavalca da mesi lo slogan dei porti chiusi ma a giugno ci sono stati mille sbarchi sulle coste italiane”. Cioè: ha ragione Salvini? Per chi tifa De Benedetti?

Canniballi per carenza di proteine

L’inventore del “materialismo culturale” – molto apprezzato al tempo del Diamat, il materialismo dialettico versione bolscevica, non molto tempo fa, anni 1970-1980, per il quale la cultura era sovrastruttura, e insomma propaganda, come colui che aveva rifondato il marxismo – riproposto come lettura di avventure e quasi amena. Gli uomini si mangiavano, si mangiavano tra di loro. Oltre a farsi la guerra e accoppiarsi.
“Le origini delle culture” è il sottotitolo. E tempera l’assunto (le ricerche) per cui Harris è famoso: che i popoli della Mesoamerica praticavano il cannibalismo. La cosa non è certa, ma Harris sì. Perché lui ha scoperto che lo praticavano contro la carenza di proteine, per sopperire a carestie o altri malanni.
Oggi l’America “corretta” non lo ammette più, denuncia la cosa come una manipolazione. Ma salva Harris, per un residuo ideologico: il determinismo rifulge nelle ricostruzioni di Harris, del cannibalismo come dell’assassinio delle neonate, del maschilismo, del complesso di Edipo, dell’agricoltura. Diciamo di ogni cosa cui si è applicato – Harris è ancora del marxismo “risolutore” e non ricercatore.  
Marvin Harris, Cannibali e re, Feltrinelli, pp. 235 € 12

lunedì 1 luglio 2019

Problemi di base pilateschi - 493


spock

È Salvini che paga Sea Watch – bisogna indagare sul crowdfunding?

E il Vaticano?

“Credo che la vita umana va salvata in qualsiasi maniera, ecco”, cardinale Parolin: quella dei finanzieri a Lampedusa?

O i finanziari volevano suicidarsi?

E gli africani, non contano – Materia Oscura anche loro?

L’Africa è ancora Terra Incognita?

Andare in Africa no, neanche per turismo – che fine hanno fatto i missionari?

spock@antiit.eu

Malerba sotto i ponti


“Mozziconi” non ha nome. E non ha un amico: non si identifica, uno come tanti. Ma è di forte carattere. Svuota la casa, la baracca sotto l’Acquedotto Felice, buttando la roba per la strada, abbatte i muri e le imposte, se ne va a vivere lungo il Tevere, sotto i ponti, la città guardando dal besso, le giornate passando a riflettere, in dialogo con i tanti sé, o qualche pesce sperduto fuor d’acqua, o uccello di passaggio. Gli esiti trascrivendo su mozziconi di carta da giornale dei rifiuti, dentro le bottiglie che lancia al fiume. Non un barbone – novello Diogene lo dice l’editore. Viene dopo “Uccellacci e uccellini”, ma è puro Malerba, nonsense filosofico. Strampalato e concludente.
Mozziconi fa scoperte. C’è la velocità della luce, e quella del buio? Lui la calcola, e gli viene uguale. Nel corpo non ci sono linee rette – vero. E da dove viene allo zero questa forza di distruzione, che gli fa annullare tutto? E chi lo ha inventato? “Pare che sia una invenzione molto antica inventata dagli Arabi che erano furbissimi e anche un po’ imbroglioni come tutti i popoli mercanti. Chiaro che si servivano dello zero per imbrogliare la gente nei mercati. Ancora oggi bisogna stare attenti ai mercanti levantini…”. E il mondo che va a petrolio? Anche la luce elettrica, la televisione, le fabbriche.
A un certo punto, vivendo solo, Mozziconi si stanca di pensare. Ma si accorge “che non pensare a niente è sempre un modo di pensare, e anche piuttosto faticoso”. Era il tempo in cui si favoleggiava degli Arabi che nel deserto si proteggono dal caldo con la lana, e Mozziconi si adegua: col solleone resta ben coperto. Ma non si scioglie.
Finale a sorpresa. Si ride, ma con filosofia.
Malerba non ha avuto un interprete, ma è un Grosso Scrittore, uno che resta nelle macerie del Secondo Novecento - Mozziconi on fa testo, Malerba lo avrebbe fatto.   
Luigi Malerba, Mozziconi, Quodlibet, pp. 114 € 13

Letture - 388

letterautore


Duino – Rilke, ospite nel 1912 della principessa Maria della Torre e Tasso, avviò la composizione delle “Elegie duinesi” – che poi dedicò alla principessa, nata Hohenlohe, una delle sue maggiori benefattrici. Nel castello dei Thurn und Taxis, da poco italianizzati, praticò l’occultismo, i poteri medianici, la negromanzia, di cui la principessa era ghiotta. Tuttora Duino ospita convegni, anche all’insegna di Rilke, per cerchie ristrette, convegni quasi segreti.

Editoriali - Canetti immagina, “Il libro contro la morte”, 70, che alla morte di “un celebre giornalista… si sono trovate tra le sue carte postume dodici casse piene di editoriali per gli ottant’anni a venire”.


Francese – Nella categoria Scrittore italiano di lingua francese (Écrivain italien francophone) wikipedia include, con Brunetto Latini, Christine de Pizan, Casanova, Goldoni ( morto a Parigi, a 86 anni, solo, cieco e povero, il commediografo che Voltaire aveva consacrato “il Molière italiano”),l’abate Galiani  Joseph de Maistre, Marinetti, anche Apollinaire, Palazzeschi e Ungaretti. E Cesare Battisti (terrorista).  

Freud – “Un razionalista di vecchio conio” lo dice Lou Andreas-Salomé, che lo studiò e lo frequentò, da lui apprezzata, in “Sguardo sulla mia vita”.

Gelosie – Corrono tra i letterati come tra tutti i mestieri – “quelli dello stesso mestiere si disprezzano d’ordinario l’un l’altro” è proverbio classico persiano.

Hamsun – Incontrato a Parigi nel 1894 da Lou Salomé con altri intellettuali scandinavi, è da lei ricordato in “La mia vita” “somigliante allora a un dio greco”.

Intercultura – Alì, il barista d’angolo di Francesco Pecoraro in “Lo stradone”, “ragazzo egiziano vivace”, “colto”, “con cui potevi parlare di tutto”, “aveva fatto il liceo in Egitto e voleva iscriversi in un’università italiana”. Un giorno Alì spiega all’autore “che la scuola egiziana non insegna nulla della filosofia occidentale che vada oltre Aristotele”. E questo appare giusto a Pecoraro – “se ci rifletto è logico”. Ma gli dà anche “la misura dell’estraneità delle due culture, la nostra e la loro”.

Nietzsche – Deve la sua massima di vita, una sorta di divisa, a Mazzini, incontrato nel febbraio 1871: “Vivere risolutamente\ la totalità, la pienezza e la bellezza”. Sono versi di Goethe, i due ultimi della quinta e ultima strofa  di “Confessione completa”, una poesia del ciclo “Gesellige Lieder”.
L’incontro fu casuale – lo racconta fra i tanti anche Papini, in “24 cervelli”. Nella primavera del 1871, pochi mesi dopo il completamento dell’unità d’Italia, su base monarchica, il neo esule Mazzini e Nietzsche si trovarono a viaggiare insieme, nella stessa carrozza, in un treno diretto a Lugano. Mazzini era una fisionomia nota, e Nietzsche ci attaccò discorso. Fu Mazzini che citò Goethe, e i versi che poi Nietzsche avrebbe memorizzato. Mazzini aveva 66 anni (sarebbe morto un anno dopo), Nietzsche 27. “Non v’è uomo che io veneri come Mazzini”, scrisse Nietzsche all’amico Rohde dopo l’incontro sul Gottardo.
Curiosamente, i loro destini s’intrecciano, nel campo politico, dopo morti – e contro probabilmente le loro intenzioni: Nietzsche fu strumentalizzato dal nazismo, Mazzini da Mussolini. Il futuro Duce nel 1915, socialista interventista, avviava sul “Popolo d’Italia” l’allontanamento dal socialismo con Mazzini: invocando la “libertà di tornare a Mazzini se Mazzini dice alle nostre anime aspettanti la parola che ci esalta in un senso superiore dell’umanità nostra”.

Roma – Autofagica la rappresenta Pecoraro nel romano e romanesco “Lo stradone”. Quando Lenin ci passa un paio d’ore, nel 1908, “è capitale di un paese povero e culturalmente arretrato, ed è ancora in costruzione. Lo sarà per altri cento anni. Si espande dopo mille e cinquecento anni di contrazione dentro una cinta muraria divenuta troppo larga, dove per secoli si è nutrita di sé stessa senza riuscire a consumarsi del tutto”.

Selfie – “È molto più dolce, per il cuore e per lo spirito, fare un romanzo che scrivere la propria storia”, Madame de Genlis, donna di molte scritture tra Sette e Ottocento, teatro, racconti, romanzi, saggi di pedagogia e storia, fa dire al suo alter ego Natalie, “La femme auteur”. Anche perché, “componendo un romanzo, si può, senza avere il vano progetto di fare il proprio ritratto, dipingersi vagamente in mille modi”. Nel selfie, spiega in dettaglio, “la dissimulazione è insieme un torto reale e un limite che raffredda l’immaginazione, mentre la sincerità perfetta è sempre un’imprudenza, e di solito una ridicolaggine. Infine, è difficilissimo parlare di sé con grazia, interesse e dignità”.  

Tedesco – È lingua di elezione letteraria per molti nell’area balcanica, in Romania, Bulgaria, l’ex Cecoslovacchia. Anche non ebrei: Canetti, Celan, Hertha Mueller, Kafka naturalmente. La russa Lou Salomé non sapeva il russo, solo il tedesco.
Alcuni tedeschi però hanno scelto a un certo punto, polemicamente, il francese, Heine su tutti e il tardo Rilke (austriaco ma tedesco: “Ora Rainer”, scrive Lou Salomé nel 1934 a Rilke morto da otto anni, “che noi tedeschi siamo politicamente confrontati al problema della nostra appartenenza nazionale, mi domando a che punto la così viva ripugnanza che avevi a essere austriaco possa essere stata nefasta al tuo destino”). Oltre ai tanti balcanici, Ionesco, Éliade, Horia, Istrati, Cioran, Kristeva, Todorov,….

Trans-queer – È “la cultura che, per fare largo alle «vere donne» - non le nate donne ma quelle che scelgono di esserlo – impone una neolingua corretta: «buco davanti» invece di vagina, «mestruatori» per donne…”, spiega Marina Terragni. Lo spiega muovendo da “Big Little Lies” – “una delle più belle serie degli ultimi anni”. Dall’episodio in cui Madeline, la madre protagonista, vorrebbe che la figlia andasse all’università, ma la figlia recalcitra obiettando: “Tutto quello che fanno al college è fumare, scopare e rimuginare sul cambio di sesso”.
Marina, “femminista radicale”, che il matrimonio volle celebrato a suo tempo da Paolo Hutter, leader gay, assessore per un breve periodo a Milano, lo spiega venerdì su “QN”, il quotidiano nazionale conservatore. Ma il giorno dopo la stessa preoccupazione, solo preoccupata e non sardonica, né materna ma psicologica e psicoanalitica, è espressa sulla progressista “la Repubblica” da Lorena Preta, già direttrice di “Psyche”, la rivista della Società Psicoanalitica Italiana, a proposito di “centinaia e centinaia di adolescenti, o addirittura di bambini prima della pubertà”, che “affermano di sentirsi in un corpo «sbagliato»… Aiutati da classi mediche compiacenti ad attuare una «sospensione» della definizione sessuale tramite medicine”. Oppure da “tecnici” (? specialisti?) che possano “avviarli a cure in vista di un’operazione per la «riattribuzione di genere»”. Commentando regressiva: “Come se a 6-10 anni, o anche da adolescenti, si potesse davvero dire: io mi sento maschio in un corpo di femmina – o viceversa”.

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La sinfonia del sesso, malinconica

Si ripropone questo iper-White per i cinquanta anni di Stonewall, la prima manifestazione gay, a Brooklyn, ma è un anti-climax: White è scrittore prima che omosessuale, e non si vuole rispettabile né rispettoso: il sesso, compulsivo e anche estremo, per una lunga stagione, vive qui come un parco giochi.
“La sinfonia” è il terzo di una  tetralogia erotica, gay, dopo “Un giovane americano”, 1982, un ragazzo del Midwest, considerato testo di fondazione per il sottogenere, e “La bella stanza è vuota”, 1988, quando il ragazzo provinciale si sposta a New York, e prima di “The married man”, 2000, considerato un tradimento. Il più letto e ristampato probabilmente perché il più lungo e denso di incontri e eccessi sessuali pre-Aids, il primo molto esplicito. Un “De Profundis” a leggerlo ora, all’epoca della continenza monogamica, e anzi del bisogno di coppia chiusa, di matrimonio. All’epoca no, gay era il rifiuto della coppia e il sesso “libero” – occasionale, gratuito, anche se a pagamento. White ne fa la celebrazione, in un senso e nell’altro: degli accoppiamenti furiosi a ripetizione, e della morte, che presto interviene epidemica.
Tutta la fiction di White è autobiografica: “Ragazzo di città”, “My lives”, “Hotel de Dream”. E in parte anche il romanzo del debutto, “Forgetting Elena”, e il successivo “Nocturnes for the King of Naples”, non tradotti. Questo è anzi il brogliaccio, più breve, un terzo, della “Sinfonia degli addii”: si muore anche lì, seppure non di Aids, e si fa bohème, lì a Napoli, in Spagna e in una cadente farm americana, come qui a Roma, Parigi, Venezia. E sempre a New York, nel Village più o meno sordido, sui moli, tra i tir. Sempre ugualmente sfrenata, ma sordida. 
Lo humour in cui White eccelle non cancella il disagio. Si vorrebbe il Frank Harris della gaytudine, White è pur sempre il coautore delle “Gioie dell’amore gay”, manuale pornopratico. Ma non gioioso: ossessivo. Grigio. Sulla linea si vorrebbe di Norman Douglas e poi di Isherwood, ma con gli eccessi e le flagellazioni che poi saranno degli epigoni, Busi in testa. Il vecchio amore senza nome come disamore.
White era professore, a Yale e Princeton. E la “Sinfonia” un po’ costruisce: i suoi personaggi muoiono l’uno dopo l’altro, lasciandolo solo, come succede a Ismaele, il celebre sopravvissuto al naufragio. La “Sinfonia degli addii” è quella di Haydn, in cui gli strumenti a uno a uno si spengono (l’uso è – era - che i settori orchestrali, a turno, soffino sulle candele che hanno vicino, ed escano) fino a che due soli violini restano a incoraggiarsi. In White resta solo uno, l’autore. Avendo scelto però di “non essere uno storico, ma un archeologo dei pettegolezzi”. Lo annota in calce a una scena cui assiste a Princeton, in casa di Nina Berberova: l’arrivo di un pacco dall’Urss, con una lettera di Lily Brik e uno Chanel N.5 in omaggio, costosissimo a Mosca  e forse di contrabbando, in ringraziamento per la lettura delle memorie appena pubblicate a Mosca in cui Berberova difende la memoria del marito di Lily, il poeta Khodasevic - strenuo critico di Majakovskij, fiamma mai spenta di Lily. Molti i ritratti e le celebrazioni di defunti in vita, sempre con occhio ironico, diciamo con humour. Con apparizioni di Tennessee Williams, Foucault, Burroughs, la pittrice Lee Krasner, che ogni volta s’incontra come “la vedova di Jackson Pollock”, e vari registi di Broadway, probabilmente tutti quelli gay, oltre che di Berberova. E, a chiave, vari personaggi reali: il musicista Virgil Thomson (“Homer”), i poeti Howard Moss (“Tom”) e James “Jimmie” Merrill (“Eddie”, il “poeta milionario”), i critici David Kalstone (“Joshua”) e Max Richards (col suo nome).
Brillante, ma alla fine sinistro. E non per la cornice dell’Aids - si muore pochissimo in realtà. È un’autobiografia sessuale compiaciuta ma senza gioia. Ripetitiva. Claustrofobica anzi. L’omosessualità è solo sesso, e quindi inappagata – è una addiction. Più nella promiscuità, la cui natura è l’indifferenza , la riproduzione dell’atto quasi in automatico. Qui nella terza fase del ciclo “archeologico del pettegolezzo”: quello glorioso, meglio nella dark room, al buio, o di rapporti con partner invisibili, dietro pareti. “Più ci grattavamo, più sentivamo prurito”, dice il professore  ironico. Monomaniaco, col “bisogno di centinaia di uomini ogni anno”, e non in senso rabelaisiano, dell’esagerazione. Malgrado “centinaia” di malattie sessuali, dolorose. Come se ci fosse un lato oscuro dell’amore gay, il dominio – sadomaso – incontrollato. White stesso è convinto, anche tardi, anche come coautore di “Le gioie del sesso gay”, che l’atto “fosse un rito freddo e premeditato che prometteva la trascendenza, ma certo non affetto” – per trascendenza intende l’orgasmo. Di Brice, il suo quasi sposo di sei mesi, in memoria del quale decide di scrivere la “Sinfonia”, al modo di Genet quando scrisse “Nostra Signora dei Fiori”, ha “una terribile amnesia” - di fatto ne parla per poche righe, la fine drammatica in Marocco. Fa l’amore pure al telefono, quando usarono le linee chat negli anni 1980 dopo l’Aids. Contro Genet sostiene che  “l’omosessualità esibita perde sapore”, ma è quello che fa. Con alcool sempre e ogni tipo di droghe, anfetamine, popper, erba, acido, pasticche.
Per il resto, si fanno i conti con la madre, come ogni buon gay in analisi, accettata\rifiutata. E con il padre, rifiutato\accettato. Un volumone di sesso incontinente, sotto il velo del lutto per la morte dell’amico, anche con lo scolo ricorrente. Anche quando l’altro ha un nome – l’atto è sempre lo stesso, con lo stampo. Di gelosia nelle forme più spicce (brute non si può dire) del possesso. Come una liberazione, ma in un mondo già tutto gay, monoaurale. Anche se di una vita gay ridotta all’improsatura: chi è “al comando”  - il desiderio è “sempre statico, e intento a immobilizzare l’altra persona”. Nell’indifferenza: il gay si vuole “narcisista e senza relazioni”.
La liberazione, attorno al “famoso conflitto (rivolta) di Stonewall”, è questa: “La lingua era sospetta, la protesta imperativa, la tribù tirannica, l’amore morente”. Il professore c’è.
Edmund White, La sinfonia degli addii, Playground, pp. 630 € 24