Protesse sempre la figlia dal padre pazzo. E la figlia finì
per considerarla pazza.
sabato 13 luglio 2019
Problemi di base animaleschi 2 - 497
spock
spock@antiit.eu
Non
c’è trippa per gatti, o per cani?
Cani
e gatti?
Cotto
come una pera?
Sudato
come un maiale?
O
come un bufalo?
Ridere
come un cretino?
Vergognarsi
come un cane?
spock@antiit.eu
Questo Puccini sembra Bernstein
Un nuovo allestimento, un
grande impegno della Fondazione Puccini, con interni e costumi tradizionali –
sostituiti nell’ultimo atto, del tentativo di fuga, del tentativo di
linciaggio, e poi della liberazione, di Minnie e dell’amato Johnson, da un
bosco di gigantesche sequoia - del regista Renzo Giaccheri. Un ottimo cast,
specie in due dei ruoli principali, Maria Guleghina e Alejandro Roy. Un’ottima
orchestra , la Regionale Toscana, concertata e diretta da Alberto Veronesi –
che presiede anche la Findazione. E una musica, per molti tratti di questa poco
amata e poco eseguita “Fanciulla”, che anticipa sonorità di Gershwin e, di più,
di Bernstein sinfonista mezzo secolo dopo – a quanto si può arguire
dall’inacustica platea all’aperto del festival (una platea piatta, forse
disegnata per i concertoni pop, serviti da grandi casse acustiche).
Puccini sempre più ha bisogno di essere liberato della patina verista che lo imbozzola - come un Mascagni, un Leoncavallo: il verismo non è più la chiave, in questa “Fanciulla”. O forse non lo è mai stata, una categoria provincial: Puccini spazia dal Giappone agli Stati Uniti, non da lettore di favole, viagga negli spazi musicali “altri”. Qui assimila timbri e ritmi americani, jazzistici – ma non più bandistici, stile New Orleans. Era curioso di altri mondi e altri moduli. L’opera scrisse dopo un prolungato soggiorno in America. Su un dramma del maggiore autore di teatro e impresario di Broadway nel primo quarto del Novecento, David Belasco, ex bambino prodigio. Il cui impianto molto americano Puccini tiene vivo, malgrado i birignao dei librettisti, Guelfo Civinini e Carlo Zangarini.
Puccini sempre più ha bisogno di essere liberato della patina verista che lo imbozzola - come un Mascagni, un Leoncavallo: il verismo non è più la chiave, in questa “Fanciulla”. O forse non lo è mai stata, una categoria provincial: Puccini spazia dal Giappone agli Stati Uniti, non da lettore di favole, viagga negli spazi musicali “altri”. Qui assimila timbri e ritmi americani, jazzistici – ma non più bandistici, stile New Orleans. Era curioso di altri mondi e altri moduli. L’opera scrisse dopo un prolungato soggiorno in America. Su un dramma del maggiore autore di teatro e impresario di Broadway nel primo quarto del Novecento, David Belasco, ex bambino prodigio. Il cui impianto molto americano Puccini tiene vivo, malgrado i birignao dei librettisti, Guelfo Civinini e Carlo Zangarini.
Questa “Fanciulla del West”
aprì in prima mondiale la stagione del Metropolitan di New York il 10 dicembre
1910. Diretta da Toscanini, Con grande successo. Forse la mancata Puccini
Renaissance è solo una questione di provincialismo: l’Italia non sa pensarsi
altro che bozzettistica, e un po’ ignorante, anche insensibile alle
novità.
Singolare è il tentativo di
fare il western prima del western, del genere cinematografico. La Minnie
all’opera – di Puccini? dei librettisti? – è una virago con la pistola in
pugno. Ma qui con una aporia. Belasco metteva in scena una Minnie colta, in
grado di disquisire con l’allora giovane fidanzato Johnson, studente
all’università, di Dante. E soprattutto femminile e dolce: sogna un amore per sempre, sogna come sarà il
suo primo bacio, e benché viva in mezzo agli uomini, ne è la loro
guida spirituale: legge per loro la Bibbia, dà i consigli giusti. Una eroina del
primo Puccini, si direbbe. Quale poi sarà
anche qui nel finale, quando Johnson rischia la morte e lei lo salva:
rispettata dai cercatori d’oro nel suo piccolo saloon per la mitezza e la generosità. Per Puccini invece brandisce la
pistola. Con una incongruenza ineliminabile nel finale, quando si oppone al
linciaggio argomentando: “Non vi fu mai chi disse\ «Basta!» quando per voi\
davo i miei giovani anni…” Che s’immagina uno?
Giacomo Puccini, La Fanciulla del West, Puccini Festival,
Torre del Lago
venerdì 12 luglio 2019
Porte aperte
È giovedì, il giorno che il
ministro Treu ha decretato dei ministeri aperti per i cittadini. Di prima
mattina la giornata ha la frescura che promette di scacciare l’afa. E
l’ingresso del ministero a via Pagano è pulito e sgombro, pronto per le
visite. I pochi che entrano salgono al quarto piano. Dove si trova l’ufficio
per i rapporti con i cittadini. Tenuto da due funzionari che sono già al loro
posto, nella stessa stanza ampia, a due grandi scrivanie ordinate, senza i
soliti ingombri di scartoffie, vuote.
L’orario di
apertura è dalle nove, e bisogna attendere. Si attende in piedi, leggendo le
bacheche, scambiando sorrisi con gli altri visitatori che invece vanno, tutti
con una valigetta rigida, per le loro pratiche negli altri uffici al piano, non
soggetti a orario se non quello di lavoro, il corridoio trasformando in open space ben ambrosioano, d’accenti e
operosità. Alle nove in punto i due funzionari ascoltano la richiesta e, senza
consultarsi, all’unisono chiedono: “Lei è sindacalista? Un dipendente non può
avere il documento. La dichiarazione dello stato di crisi è pubblica, ma
possono averne copia i rappresentanti dell’azienda e i sindacalisti”.
I due, sempre
all’unisono, non oppongono però resistenza: “Quali sindacalisti? Anche uno
confederale, sì”. Renato della Cgil, che si occupa della stampa, sicuramente
si presterà. Ma non risponde. Sarà presto, conviene ritentare, aspettando nel
corridoio vuoto. Solo animato dai primi visitatori che escono dalle stanze,
sorridenti, e scambiano saluti, mentre altri subentrano, a incastro perfetto,
tutti simili, con la ventiquattrore.
Quando il
compagno Renato non risponde alla seconda o terza chiamata, l’idea viene di
chiedere in segreteria. Renato c’è, ma è in riunione. Fino a quando la
segretaria non sa: “Non sarà breve. Chiama fra un’ora. Fra mezzora, se vuoi”.
Insomma, è più che altro una sensazione sgradevole, come quando in mare un cirro
lontano porta burrasca. L’idea di recuperare qualcuno della rappresentanza
sindacale aziendale contribuisce anch’essa al nervosismo: sono tutti aziendalisti.
Uno di quelli che entrano ed escono con la valigetta fa la sua parte, un rosso,
che la butta in braccio al suo compagno e urla sarcastico: “È leggerina, neh!”,
cercando con l’occhio complicità alla sua involuta insinuazione.
I due
funzionari dell’ufficio rapporti con i cittadini stanno sempre ai loro posti,
corretti. Sulle loro teste due ritratti danno dignità alla funzione: da una
parte il presidente, col suo piglio monacale, dall’altra il presidente del
consiglio Prodi, che per distrazione, e per l’apprensione crescente, rimanda
per un attimo al cantante Drupi, del resto suo anagramma, senza naturalmente
la capigliatura cavallina. Un tentativo di fare conversazione per ingannare
l’attesa, essendo l’unico visitatore, cade: i funzionari rimangono composti,
con gli occhi bassi. La decisione di porre urgenza sulla segreteria alla Cgil
infine s’impone e riesce, Renato viene al telefono. È rassicurante, ci penserà
lui, “ma non subito, in tarda mattinata”. Consiglia di aspettare al ministero:
“Appena ho un minuto scappo: da qui sono due minuti”. E insomma, la cosa si
risolve. Se non che, fra una cosa e l’altra, sono già le undici, e la targhetta
alla porta dell’ufficio rapporti con i cittadini è precisa: l’orario è fino
alle 12,30.
Lo scoramento
rigurgita. Ma alla richiesta alla romana di conferma dell’orario, “allora c’è
tempo solo fino alle 12,30?”, uno dei due precisa: “L’orario di lavoro è fino
alle 14, fino alle 12,30 quello di sportello”. Il rovello allora insorge di
cercare una via d’uscita nella segreteria del buon ministro, che in fondo è un
compagno pure lui, seppure del partito di Prodi, e ha un addetto stampa amico.
Una raccomandazione? Non proprio. Che comunque non si può fare. L’addetto
stampa non c’è, ma il suo vice è sollecito, un funzionario del ministero:
“Telefonare è inutile, hanno deciso che può avere le carte solo chi può
dimostrare un interesse diretto. Chi può dimostrarlo legalmente. Hanno fatto una
causa per questo, una vertenza di lavoro, il sindacato li ha assistiti. No,
vogliono soltanto l’autorizzazione allo straordinario di sportello fino alle
14. C’è un’indennità di sportello, sa?” E ha disposto l’autorizzazione allo
straordinario.
L’ultima
attesa è stata nervosa. I due funzionari erano sempre al loro posto, ma dopo le
12,30 ogni minuto si è fatto contare. È passata così l’una. Un’altra chiamata,
dal corridoio ormai deserto, non ha avuto esito: Renato non ha risposto, né la
segreteria. Finché alle 13,25 Renato è uscito dall’ascensore. Gioviale come
sempre, un po’ affannato, “ci ammazziamo di riunioni”. La sua vista ha infine
animato i due funzionari che immobili aspettavano. Non gli hanno neanche
chiesto un’identificazione. Hanno compulsato l’indice degli stati di crisi e
hanno individuato il numero e il giorno della “Gazzetta Ufficiale” che ne ha dato
pubblicazione. Uno dei due ha poi reperito in una stanza a fianco la
“Gazzetta”. L’altro ha fatto la fotocopia. Ha acceso la macchina delle
fotocopie. Che ha imposto un’altra attesa di una decina di minuti, forse meno ma sembrano tanti, seppure con la certezza infine che il documento è ottenuto. Che era sulla “Gazzetta Ufficiale”, in fondo queste porte aperte sono state una punizione, giusta.
Sono poche righe di
testo, su una facciata. Il decreto effettivamente dichiara la casa editrice in
stato di crisi per ramo d’azienda. Una licenza mascherata di licenziamento: riconoscendo
il governo lo stato di crisi, la gloriosa casa editrice ha potuto licenziare
mille poligrafici e cento giornalisti. Un modo come un altro di aggirare
l’articolo 18, basta non dirlo.
È un decreto
di due articoli, e non sembra contestabile. Renato concorda: “Li fanno bene,
sono studiati da grandi giuristi”. Né d’altra parte c’erano illusioni da
coltivare. Solo che, essendo disoccupati, uno a il problema la mattina di
trovarsi un’occupazione del tempo.
Problemi di base - 495
spock
spock@antiit.eu
Ride
Grillo con gli italiani, degli italiani, sugli italiani?
O
non ride più, non si sente?
Sarà
in atto la beatificazione, san Grillo subito, protettore degli italiani?
Lo
spregiatore più amato del genere umano?
O è
il santo del posto ricco, con vitalizio, senza faticare?
Ma i
grillini si dovranno decurtare il vitalizio per versarlo al movimento - a
Casaleggio?
È il
governo dei vertici, il governo del nuovo?
spock@antiit.eu
La paternità è una rinascita
“Non si nasce padri, lo si
diventa”. Sotto questa insegna, non sorprendente, lo scrittore francese fa il
suo piccolo elogio, in contrasto coi tempi, ma attento a non scivolare nella
reazione, o restaurazione. Il suo trattatello è semmai un dubbio: com’è che
sono padre di quattro figli, dai 4 ai 18 anni, “derivati da vite diverse”, dopo
un’adolescenza negli anni 1970 programmaticamente di rifiuto, incondizionato.
Per l’ecologia eugenetica già imperante, “niente futuro, niente figli”. E per
il piacere del piacere, “senza conseguenze”.
Una condizione ora trova, la
paternità, non faticosa né ingestibile, al contrario delle “vite diverse”, e
anzi fonte di sensazioni irripetibili. Di cui ha già raccontato nel romanzo “Le
bonheur d’avoir une âme”, e qui sintetizza, “un giorno che m’inoltravo per
strada col mio primo bambino in braccio”: “Il sentimento di galleggiare, d’essere
alleviato dal peso che portavo, liberato della mia propria pesantezza, un sentimento
a priori irrazionale e d’altronde
ambivalente, costeggiando l’allegria animale e gloriosa di aprire il mondo…”,
etc.
Il Novecento è dei figli
Non c’è più il “padre
archetipo” - il padre padrone, la divaricazione essendo stata introdotta dai baby boomers degli anni 1960 - ed è un
bene ovviamente. Ma su questa ovvietà Leclair innesta una produttiva diversificazione
tra la letteratura dell’Ottocento e quella del Novecento, spartiacque la “Lettera
al padre” di Kafka. La questione risolvendo in altro modo dell’incompatibilità
fra creazione e procreazione. La “Lettera al padre”, arguisce, “fa di tutta l’opera di
Kafka, compreso il «Diario», una pietra angolare del XXmo secolo, dominato dalla
letteratura dei figli, come il precedente lo era stato dalla letteratura dei padri
(l’immenso Hugo dispiegato su tutta la mappa dei generi letterari)”. Partendo,
per quanto riguarda la Francia, da Rimbaud, “Una stagione all’jnferno”, e
includendo Proust, “in attesa che la madre muoia per costruire la cattedrale di
cui aveva tanto sognato con lei”, Céline, che adotta come nome quello di
battesimo della nonna, o Gide (“Famiglie, vi odio!”), e Beckett o Bataille, “Mia
madre”, “Il colpevole”, “Il piccolo”. Fino a Houellebecq, l’“Estensione del
dominio della lotta”: “Mio padre è morto un anno fa. Non credo a questa teoria seconda
la quale si diventa realmente adulti
alla morte dei genitori”. Con Victor Hugo naturalmente,
che le paternità se le inventa anche adottive, fittizie, nei “Miserabili”. Ma
più meravigliandosi di Balzac, “questo grande reazionario che è non di meno la
pietra angolare di tutte le modernità letterarie e sociologiche”: “Attraverso
il personaggio grandioso di «Papà Goriot» ha saputo rivelare il movimento di
rimpatrio di Dio nell’uomo nel momento stesso in cui si produceva… Un padre
divinizzato nella Parigi del 1835, la città assolutamente cinica e
scombussolata” dopo le ubriacature di rivoluziione e restaurazione, con
l’impero nel mezzo. Il padre “dal lato della bontà, del sacrificio, di ciò che
si chiama l’amore”, anche sul letto di morte, quando l’adorata figlia non si
cura di farsi vedere: “I padri devono sempre dare per essere felici. Dare
sempre, è ciò che fa che si è padri”.
Bertrand Leclair, Petit éloge de la paternité, Folio pp.
111 € 2
giovedì 11 luglio 2019
Beffa a Mosca, alla Lega lo “sfioramento” Pci
Ģ₩10Un’intercettazione metà
e metà, che si capisce e no, è
un ricatto. Normalmente roba di polizie segrete.
Un’intercettazione al Metropol, l’albergo per decenni
del Kgb a Mosca, è roba da servizi segreti.
Ma: servizi americani, a Mosca? Più probabile di servizi
russi. Ma: contro Putin, che invece ha tutto l’interesse a un Salvini vincente?
Improbabile. L’ambiguità è però una conferma: succede così nella disinformacija, che non si sa che pesci prendere. Allora si razionalizza: Putin non sacrifica Salvini, ma tende una mano alla Cia.
Il décor vecchiotto,
da Le Carré, dice l’intercettazione al Metropol una beffa. Che la modalità
della corruzione porta al sarcasmo, copiata pari pari dal vecchio modello dello
“sfioramento”. Praticato per decenni dall’Eni, sulle forniture di petrolio e di
gas da Mosca, per conto del Pcus, il partito comunista sovietico, con versamenti
su conti anonimi svizzeri in disponibilità al Pci.
Con un aspetto inquietante: che i servizi russi collaborano con gli americani. Tutta la storia del Russiagate sarebbe da rivedere.
Con un aspetto inquietante: che i servizi russi collaborano con gli americani. Tutta la storia del Russiagate sarebbe da rivedere.
Contro la rete, l’informazione diffusa
Volendo,
da credenti nell’innovazione, nella rete, nei social, nell’informazione diffusa,
le cose inquietanti sono due: che Russia e Usa collaborano per imbordellire la
rete, e ogni possibilità di informazione democratica.
Che
i servizi utilizzino i media non è una novità, si faceva al tempo di
Montesquieu e le “Lettere persiane” – il socialista Mussolini improvvisamente interventista nel 1915 col suo
giornale al soldo dei servizi francesi è un caso fra i tanti. Ma qui, se russi
e americani sono “uniti nella lotta”, l’offensiva è generale per stroncare ogni
alternativa in rete - alternativa ai controlli.
A mano che non si tratti solo dello schema, anche questo vecchio, stile guerra fredda, di Washington e Mosca unite contro la Unione Europea.
A mano che non si tratti solo dello schema, anche questo vecchio, stile guerra fredda, di Washington e Mosca unite contro la Unione Europea.
Quant’era bello l’islam
Una scelta delle “Note
antropologiche” prese da Burton “Mille e una notte” che veniva traducendo in
inglese a partire dal 1885, quando era console a Trieste. Una parte le scrisse
a pie’ di pagina, una parte in un saggio che pospose alla traduzione, nel
decimo volume, la più parte in fogli volanti nel corso dei suoi tanti viaggi in
Africa e in Asia. Note quindi del tutto asistematiche, anche se Martina le raggruppa
per temi. Confuse anche cronologicamente. E topologicamente: il referente sono
“gli Orientali” in genere. Ma fortemente eteroetnico: tutto è bello e buono che
non sia europeo.
Il “carattere degli arabi” è
un modello. La donna? Privilegiata. Pagata, anche per scoprire il volto (“tassa dello scoprimento del volto”), protetta nel matrimonio, nel divorzio e nell’eredità, soddisfatta anche a letto, con la benedizione delle quattro mogli, e un po' di cautela. Ottima pure la politica: “Il dispotismo orientale è giunto più vicino
all’idea di fraternità e uguaglianza di ogni repubblica finora creata”. Quattro
pagine di lodi senza riserve, sul piano caratteriale individuale e su quello storico
e politico, e quattro righe di riserve. Inflessibile invece con i turchi, “gli
inqualificabili turchi” – un solo khan,
Hulaku, nel 1258 fa nella sola Bagdad “ottocentomila vittime secondo alcune
fonti, il doppio second altre altrettanto autorevoli”. Nella Bagdad capitale
anche i locali lazzari erano modello di virtù, i “ligi”, i servi legati al
padrone da fedeltà assoluta. Anche se sotto un ombrello inquietante: “Ogni musulmano
è tenuto dalla religione a sorvegliare i vicini e a riportare i loro misfatti”.
Si procede così, per umori, malgrado tanta dottrina. Molto, in dettaglio, è sull’“arte dell’amore”. Comprese una decina di pagine sugli afrodisiaci.
Una lettura curiosa. Di un Oriente non remoto, tardo Ottocento. Certamente inventato o immaginato, un orientalismo quale lo critica Edward Said, ma pro bono? Pochi i contrappunti. “L’Aurah (luogo delle vergogne) dell'uomo va dall’ombelico alle ginocchia. Quello della donna dalla cima della testa alla punta degli alluci”. “La brutalità della folla è fenomenale, non vi è alcuna pietà verso il condannato. Alle esecuzioni capitali le donne hanno parte attiva nell'insultare il reo e nel tormentarlo strappandogli i capelli e sputandogli in faccia. La stessa brutalità istintiva degli uccelli e delle bestie selvatiche, che fanno a pezzi un compagno ferito”.
Si procede così, per umori, malgrado tanta dottrina. Molto, in dettaglio, è sull’“arte dell’amore”. Comprese una decina di pagine sugli afrodisiaci.
Una lettura curiosa. Di un Oriente non remoto, tardo Ottocento. Certamente inventato o immaginato, un orientalismo quale lo critica Edward Said, ma pro bono? Pochi i contrappunti. “L’Aurah (luogo delle vergogne) dell'uomo va dall’ombelico alle ginocchia. Quello della donna dalla cima della testa alla punta degli alluci”. “La brutalità della folla è fenomenale, non vi è alcuna pietà verso il condannato. Alle esecuzioni capitali le donne hanno parte attiva nell'insultare il reo e nel tormentarlo strappandogli i capelli e sputandogli in faccia. La stessa brutalità istintiva degli uccelli e delle bestie selvatiche, che fanno a pezzi un compagno ferito”.
Una scelta curata da Graziella
Martina, la viaggiatrice-in-conto-terzi – autrice di guide, editrice di libri
di viaggio.
Richard F. Burton, L’Oriente islamico, Ibis, pp. 219 € 11
mercoledì 10 luglio 2019
Deutsche Bank in crisi di credibilità
Deutsche Bank non è al fallimento, come
si semplifica nelle cronache, si sta ristrutturando. La cosa fa notizia perché
è la seconda ristrutturazione, radicale, in sei anni. Perché il piano di ristrutturazione
non convince: alla bad bank vanno 74
(settantaquattro) miliardi di crediti inesigibili. E perché la metà dei ricavi
resterà sempre del ramo investimenti, oggi a rischio come ieri.
Altra evidenza non meno scoraggiante: Db
è una banca che è stata fino a ieri sempre privilegiata dalla Bce nei suoi stress test, dalla Vigilanza europea.
Anche se aveva evidenti, sotto tutti i parametri, punti di forte debolezza. Deve riguadagnare molte posizioni di credibilità, il potere politico di ieri è ora la sua debolezza maggiore - la forza politica può essere un handicap nel mercato.
Nel post-crisi bancaria del 2007 aveva
tentato, sotto la guida dello svizzero Ackermann, il ruolo di player mondiale, approfittando della debolezza delle
banche americane, con larga presenza negli stessi Stati Uniti, in tutti i
ruoli, compreso quello speculativo. Una strategia che partiva da lontano, dall’acquisto
di Morgan Grenfell a Londra e di Bankers Trust negli Usa a fine Novecento. Un’aggressività
che la lascia la banca più gravata di futures
incerti, i derivati.
L’azzardo Ackermann si poté concedere
per aver aiutato il governo Merkel almeno in un’occasione, nel 2009, nel salvataggio di una grande banca locale
tedesca. Fu la Db di Ackermann a scatenare nel 2011 la crisi del debito
italiano: vendette in un sol colpo tutti i titoli italiani, e lo fece sapere al
“Financial Times” – i Bot avendo ricomprato a termine, nel mezzo della manovra
al ribasso che aveva avviato, poiché pagano solidi interessi.
Ci furono scandali – non per i Bot. La
dirigenza contestò l’aggressività di Ackermann, che pretendeva “risultati”
trimestrali e perfino mensili. I bilanci non erano lusinghieri. Gli azionisti
cacciarono Ackermann e il suo capo ufficio studi, Mayer – l’artefice
dell’attacco al debito italiano. La banca fu ricapitalizzata, anche con ingenti
capital cinesi – ne detengono almeno il 10 per cento. Ma la gestione è sempre
debole.
Tutto il sistema bancario è debole in
Germania. La cosa non è rilevata perché l’80 per cento del sistema è pubblico,
e il governo Merkel per questo lo ha sottratto ai vincoli e ai controlli
dell’unione bancaria.
L’Italia felice del 1984
“1984” è il romanzo di Orwell sulla società controllata in ogni detto e
gesto. Nella storia d’Italia invece ritorna da qualche tempo come degli anni
belli. Girati in anni “stupidi” dai (pochi) reduci del Pci berlingueriano, ma
per il restante dei 50 & più di ricordo grato.
Aldo Grasso lo ricorda sul “Corriere della sera” perché il calcio
europeo era allora italiano, dopo la vittoria al Mondiale di Spagna. Quello dove affluivano i migliori campioni in attività,
nel pieno dell’integrità fisica e tecnica, Maradona, Platini, Zico, Falcao, il
trio olandese del Milan – e il Milan di Sacchi si preparava spettacolare, che
dominerà i tornei mondiali.
Si domava anche l’inflazione, dal 20 per cento endemico da quindici
anni al 3 per cento. Con un referendum in cui i lavoratori votarono – contro la
Cgil e il Pci - per la sterilizzazione della contingenza o scala mobile, il meccanismo
di moltiplicazione dell’inflazione, con una percentuale del 54,3 per cento su 35
milioni di votanti - ben il 78 per cento degli aventi diritto, una
partecipazione record.
Era anche l’Italia la quinta potenza economica mondiale, forse la
quarta, superiore a quella britannica.
Poi il diluvio. Nel nome di Di Pietro, un giudice che si faceva prestare
cento milioni di lire da un inquisito, e poi glieli restituiva brevi manu, in contanti, in
una scatola da scarpe – così scrisse il giudice stesso al “Corriere della sera”.
L’ansia che viene dalla bellezza
“Non c’è dubbio”, si dice
Soldati fermo in treno nell’estate del 1954 “poco dopo Arezzo” , nel Valdarno
dell’amato e condizionante nonno materno, di fronte a colline allora linde e
opulente: “La felicità, la bellezza, il senso della vita sono davanti a me”. E “come
allora”, quand’era ragazzo e ci veniva d’estate col nonno, si chiede: “Che cosa
devo fare per essere degno di questa bellezza, per toccare questa felicità, per
capire quale sia questo senso della vita?” Ora si chiede anche, “con la medesima
ansia: che cosa ho fatto in tutti questi anni, per essere fedele al ricordo di quel
momento?”
Soldati spiega se stesso – fa
autoanalisi. Come in tutti i suoi racconti – è la sua maniera di raccontare, in
soggettiva. In questo “Disco rosso” dice che ha “gettato via momenti così”. Ma
non è vero, si compiange per non aver goduto abbastanza.
Nello stesso racconto,
qualche riga più giù, è anche la spiegazione dell’“enigma Soldati”, la “storia
dei rimorsi” che sempre frappone – che si vorrebbe gesuitica di scuola: “Il
rimorso non è mai per azioni che abbiamo commesso o che non abbiamo commesso;
non è per ciò che facciamo; bensì per ciò che fummo, siamo e fatalmente saremo;
non riguarda soltanto il passato, ma anche il futuro. E così, quando riusciamo
a vedere la bellezza, essa è sempre perduta”. Il “rimorso” è l’eterna curiosità
– voglia di essere, disponibilità, godimento, e un po’ di confusione.
Cose
viste, per lo più, ma col filtro della fantasia “irrimediabilmente romanzesca”, anche le storie inevitabili di vini, o filosofia spicciola. La messa c’entra poco, se non
per la dedica che Soldati ha voluto “a don Vittorio Genga, torinese, parroco di
Vezzo in provincia di Novara”, con relativa accettazione, protagonista del racconto
centrale della raccolta. In tutto una trentina di “elzeviri”, considerazioni di
varia umanità, che Soldati aveva pubblicato sul “Corriere della sera” nel
1954-1955. Una trentina di racconti, anche quando si vogliono cose viste, o
filosofia spicciola: Soldati sceneggia ogni cosa.
In “allegro”, il suo tempo,
sebbene sempre si professi perplesso e triste. Di “prosa robusta”, come lo trovava
Croce in una delle sue ultime letture. Con almeno
un pezzo da antologia, per restare sui temi musicali, “Nel nome di Haydn”: il ragazzo
Soldati accompagna al piano il vecchio prete per una sinfonia ridotta a quattro
mani, o della musica che “si vede”.
Mario Soldati, La messa dei villeggianti, Oscar, pp.
256 € 10
martedì 9 luglio 2019
Ombre 470
Qualsiasi
ambasciatore che avesse scritto un decimo delle contumelie scritte dall’ambasciatore
britannico a Washington contro Trump si sarebbe dimesso, una volta rese
pubbliche. O sarebbe stato richiamato dal suo governo. Ma l’ambasciatore
britannico non si dimette e il suo governo,Theresa May, non lo richiama. L’antipatia
per Trump non è tutto, è una maniera d’essere britannica che riemerge, dopo la parentesi
europea, e spiega la Brexit meglio di tutto.
L’Europa unita
sarà stata una parentesi. La Germania non è più quella dell’Unione Europea, quella
di Bonn, dacché si è riunificata. La Gran Bretagna non è più quella che “chiedeva”
di entrare nella Ue. E la Francia non si sa: per metà è contro la Ue, per l’altra
metà macroniana, cioè confusa, un po’ gollista, cioè anti, un po’ no – è “europea”
per un quarto.
Il
premier maltese Muscat twitta: “Abbiamo sentito la Commissione Ue e il governo
tedesco e accogliamo i profughi africani”. La commissione Ue sì capisce, ma il
governo tedesco?
Furoreggia Messi contro l’arbitro brasiliano che ha
stroncato l’Argentina nella Coppa America, in modo che il Brasile la vincesse
comodo contro il Perù. Dimenticando l’indimenticabile arbitro turco (tedesco di
nascita ma turco in tutto) Deniz Aytekin che gli regalò, letteralmente, un 6-1 “storico”
contro il Paris Saint-Germain due anni fa – i guadagni furono altissimi nelle
scommesse.
Però: arbitri sudamericani (comprese le ridicole arbitre
del Mondiale femminile) e turchi si incontrano sempre nelle coppe quando c’è da
“fare” una partita. Vedi l’indimenticabile Byron Moreno, il boliviano, o ecuadoregno,
che doveva far vincere la Corea del Sud contro l’Italia nel Mondiale coreano. O
“il miglior arbitro” di Collina, il turco Čakir, che ha “fatto” nel 2017-2018
la Champions per il Real Madrid.
L’affitto dei ponteggi per la messa in sicurezza delle
gronde del palazzo Ducale a Massa costerà in quattro anni, fino al 2020, 130 mila
euro. Per un lavoro da 80 mila euro. Che si tarda a realizzare dopo tre anni.
Ma non è uno scandalo, è la normalità, una sorta di ricetta alchemica: come
produrre soldi col niente.
Affittare cartelloni, tavolati e ponteggi non è un’impresa,
non c’è rischio. Fu la normalità a Roma per il giubileo del Millennio, della
giunta Rutelli a favore del partito degli ingegneri e architetti, un obolo da
uno-due miliardi l’uno.
“Il
ritorno dell’eroina”, denuncia la Polizia, “i giovani la fumano”. Cosa che si
faceva normalmente lungo tutto l’ultimo film di Almodovar e Banderas.
Progettato e girato almeno un paio di anni fa. Si fanno indagini sui film, la
Polizia non ha occhi per vedere.
Va Putin
dal papa come protettore dei cristiani in Asia, e anche in Nord Africa. E dei
mussulmani pii contro gli eccessi dei wahabiti e salafiti della penisola
arabica – molto più “intelligente” di Obama e l’America al tempo delle
“primavere” (o l’America sapeva?). Anche i vescovi del papa, in Libano, in
Siria, in Iraq, in Turchia, fanno affidamento su Putin.
M non c’è
solo l’America. Anche l’Europa, che ha discusso e discute se accogliere
nell’Unione i turchi, ma mai i russi. Mentre si direbbe che la Russia è parte
della storia europea. Di che stiamo parlando in realtà?
Nell’eclisse
della sinistra, “7” recupera Bertinotti. Che ritiene necessario schermirsi: “Il
cachemire? … era usato”
.
Arriva
Putin, una mezza giornata di percorsi brevi e brevissimi, e la spazzatura a
Roma scompare – è stata raccolta. Si può raccogliere.
Ma
non si dice che la spazzatura non si raccoglie più a Roma: Non solo l’indifferenziata,
per la scarsa capienza dei tmb, anche la carta, la plastica e l’umido: non si raccoglie
niente, per mesi. Da quanto il subappalto è stato tolto alle cooperative di
Buzzi, che i giudici antimafiosi di Palermo a Roma vogliono condannato per mafia,
e assegnato alle ong che hanno denunciato Buzzi per mafia. Dov’è la mafia?
Si
vuole salvare l’Alitalia, un’azienda che è già fallita tre volte, e perde un
milione al giorno, con Toto, uno che ci ha provato con Air One ed è fallito, e
Avianca, una cosa venezuelana-colombiana fallita in Brasile. Con un milione al
giorno, più il ricavato della vendita degli aerei, non si pensionavano tutti i (residui)
dipendenti?
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Casanova vecchio lagnoso
“Sarebbe un gran bell’uomo,
se non fosse brutto”: così il ritratto che di Casanova, sotto il nome di
Aventuros, fa il principe di Ligne, che se ne professa amico e ammiratore, nei
suoi “Mémoires et mélanges”. È la parte più vivace del volume, che il volume riporta
in appendice, insieme con la lunga dettagliata sintesi delle “Memorie” di
Casanova allora inedite che il principe fa per favorirne la pubblicazione e il
successo, e un ritratto dettagliato del Casanova pittore, il fratello minore di
Giacomo, di due anni, che si voleva figlio del principe di Galles.
Le lettere del titolo, mai
spedite, sono ventuno invettive contro l’amministratore del conte di Waldstein
che lo ospitava a Dux in qualità di bibliotecario. “Lettere miserabili e
grottesche” le dice lo stesso Piero Chiara, casanoviano principe – che le
introduce. Qui proposte nell’originale francese con traduzione – le “Lettere”
sono coeve delle “Memorie”, che Casanova redige a Dux in francese. Di un
Casanova che sembra convenire, sul piano personale, col principe de Ligne, “Il est fier parce qu’il est rien”: “Io
sono come un nobile destriero”, si scrive ala lettera quindicesima, “che la
sfortuna ha costretto a vivere in mezzo a degli asini, e obbligato a soffrire
pazientemente i calci, poiché ho avuto bisogno di nutrirmi alla stessa greppia”.
Una versione senile –
intristita, lagnosa – della superbia casanoviana. Di un personaggio che molto
ha presunto di sé fallendole tutte. Qui si erige a nemico un Faulkircher - in
realtà Feltkirchner, un sottotenente in congedo con una pensione da invalido, e
lo stipendio del conte - che vede ovunque in ogni momento intento a dileggiarlo,
ai pasti, nei corridoi, con la servitù, con i vicini, con gli stessi padroni,
ladro per spregio anche dei libri preziosi che Casanova ha in custodia. Con
l’ossessione, fino a promuovere un giudizio col sindaco, del suo ritratto fatto
affiggere dal maggiordomo in più momenti sul cesso comune, con la merda.
Un autoritratto mesto,
involontario. Di un uomo irriso in vecchiaia, perfino bastonato, dice lui, anche
dai servi. L’ultima lettera è una smentita puntigliosa, in venti punti, delle
calunnie che sarebbero state sparse contro di lui.
Giacomo Casanova, Lettere a un maggiordomo, Edizioni
Studio Tesi, pp. 180 € 9,30
lunedì 8 luglio 2019
Letture - 389
letterautore
letterautore@antiit.eu
Celan – A Canetti non
piace, per un motivo: “Celan martire”, scrive nel 1990, per il revival del
poeta sucida a Parigi vent’anni prima, “non mi ispira che repulsione”. Perché
viene avvicinato a Lenz. Mentre, “come era abile, Celan – i suoi diversi paesi
di accoglienza, una successione di bozzoli cui si estrae invariabilmente una
creatura sempre più esigente. Come Lenz era maldestro, disperatamente maldestro.
Ma nessun suicidio saprebbe darla a bere fino a impedirci di vedere a che punto
la situazione di Lenz era miserabile e a che punto quella di Celan era
onorevole”.
Di
Lenz, Jakob, il letterato di fine Settecento tra i promotori dello Sturm und
Drang, traduttore di Pope e Shakespeare,
colpito presto da disturbi mentali che lo ridussero in Svizzera e nella
nativa Lettonia, infine in povertà è solitudine a Mosca, dove morì a 40 anni,
nel 1792, Canetti nota: “Quante volte ho copiato questo ripugnante necrologio”
della “Allgemeine Literaturzeitung”, maggio 1792: “Morì compianto da poche persone
e non mancando a nessuno”, etc….“Questo infelice letterato non sarà il meglio
del suo tempo a occupazioni inutili e senza scopo reale….”
Terribile
la chiosa ultima di Canetti: “Tuttavia: l’assassina accanita, Claire Goll, non potrebbe
essere messa da parte”. Claire Goll era la moglie del poeta Yvan Goll, che nel
1953 aveva promosso contro Celan un processo con gravi accusa di plagio – una
causa da cui Celan uscirà vincitore, ma minato nella psiche.
Dante – “Dobbiamo all’immaginazione
molto cristianamente pervertita di Dante la prima descrizione esatta di un
campo di concentramento ben organizzato”, Arno
Schmidt. La Germania ha solo perso la guerra - la Colpa è collettiva,
nel senso dell’Occidente, della cristianità, del mondo intero.
“Si
pensi alle figure di Dante che sono di una chiarezza tale che ci si cancella
davanti a esse. Non ci si può sottrarre, sono semplificate in modo da preservare
l’essenziale” – Elias Canetti, nel corso delle sue elucubrazioni “contro” la
morte”, rivede plasticamente la “Commedia”: “O è lui che ci forza a considerare
la sua visione di essere come l’essenziale? Viene dalla morte il suo potere di
persuasione. Le sue figure sono così straordinariamente vive perché sono morte”. Un pensiero che lo
consola: “È la più straordinaria vittoria sulla morte che si possa immaginare”.
Goethe – Canetti a un
certo punto lo vede sferico, richiuso su se stesso: “Ciò che sembra
frequentemente noioso in Goethe: è sempre intero” - “Il libro contro la morte”,
168. L’immagine Canetti ha nel 1967 di un Goethe circolare, anzi sferico: una
palla chiusa su se stessa: più avanza in età, più diffida dei moti passionali… Non
marcia su trampoli, ma riposa rotondamente su se stesso, come un immenso globo
terrestre, e per appropriarsene bisogna girare come una piccola luna attorno a
lui, un ruolo umiliante”.
Ciò
sembra inevitabile, Goethe essendo rimasto produttivo per tutta la vita. Ma il
Goethe sferico Canetti non lo dice un
limite: “Non vi dà la forza di essere audace ma quella di durare, e non conosco
altro grande poeta a prossimità del quale la morte resta così a lungo nascosta”
– la morte che tutta la vita Canetti s’impegnò a cancellare.
Kipling – È per tennisti a Wimbledon, che all’entrata del
tunnel dagli spogliatoi ai campi sono accolti da due versi di mezzo di “If”,
“la poesia più popolare dell’Inghilterra”: “If you can meet with triumph and
disaster\ and treat those two impostors just the same” - nella traduzione di
Gramsci: “Se, imbattendoti nel successo o nel disastro, tu tratti questi due
impostori allo stesso modo”…
Cancellato
– sempre con “If” – all’università di Manchester per fascismo o razzismo, e
sostituito con una poesia di Maya Angelou, la poetessa, attrice e danzatrice
afroamericana, “Still I rise”. La stessa Angelou che nella poesia “I know why
the caged birds sings” scrive di sé giovanetta che “le piaceva e ammirava
Kipling”, e specialmente “If”. “Still I rise” è in effetti modellata su “If”.
“If”
è stato tradotto da Gramsci sull’“Avanti!”, edizione di Torino, il 17 dicembre
1916, proposta col titolo “Breviario per laici”.
In
una nota dal carcere (“Quaderno 3 (XX) § (146), Gramsci dirà di Kipling: “La
morale di Kipling è imperialista solo in quanto è legata strettamente a una ben
determinata realtà storica. Ma si possono estrarre da essa immagini di potente
immediatezza per ogni gruppo sociale che lotti per la potenza politica. La
«capacità di bruciare dentro di sé il proprio fumo stando a bocca chiusa», ha
un valore non solo per gli imperialisti inglesi”. Avviando la considerazione,
situa Kipling in una prospettiva critica: “Potrebbe, l’opera di Kipling,
servire per criticare una certa società che pretende ai essere qualcosa senza
avere elaborato in sé la morale civica corrispondente, anzi avendo un modo di
essere contraddittorio coi fini che verbalmente si pone”.
È
“americano”. “If”, la poesia, Kipling aveva utilizzato in un primo tempo come
epilogo a un racconto su George Washington e la sua resistenza all’opinione
pubblica. Viaggiò a lungo negli Stati Uniti. Si recò a Elmira, nello stato di
New York, per omaggiare Mark Twain. Fu amico di William James, e ammiratore di
Ralph Waldo Emerson, del suo concetto di “self-reliance”, auto-disciplina. Fu
amico di Theodore Roosevelt. Sposò un’americana, ed ebbe figli americani. Si
costruì casa a Brattleboro, nel Vermont, completa di campo da tennis – il primo
del Vermont. Dove scrisse “Il libro della giungla” e “Capitani coraggiosi”. Ma
ci visse solo quattro anni: poi litigò col cognato per motivi d’interesse, e con
gli Stati Uniti, per una contesa aperta dal presidente Cleveland con la Gran
Bretagna sui confini del Venezuela (un pretesto: Cleveland pensò di
accattivarsi il voto irlandese con una posa un po’ antibritannica).
Mahler – “A.
disprezzava Mahler perché era impotente”, Canetti, “Il libro della morte”,
1990. A.(lma) da Mahler aveva avuto due figli.
“A.
disprezzava Werfel perché a lui piaceva essere tradito da lei”. Questo è
possibile – non si sa molto di Werfel. Ma A. perché si metteva sempre con
uomini che disprezzava? Le virago erano in voga nel primo Novecento – anche dopo:
i fascistoni si facevano fare dalle “contesse”.
Marco
Polo – È
dunque croato – come Caporetto è slovena? Per essere di Curzola, che con la guerra
perduta è passata con tutta la Dalmazia alla Croazia. Nascita e morte sono attestate
a Venezia, il matrimonio pure, la sepoltura pure. Ma perdere la guerra è
un’altra storia. Del resto, non scrisse in francese?
Proust – Il ritratto più
vero, forse anche reale, è di Ugo Ojetti (“Tantalo”) sul “Corriere della sera”
del 23 febbraio 1923, in morte dello scrittore – che “7” ripubblica venerdì 5. Ojetti e il giovane
Proust vengono ammessi alla conversazione di Anatole France nel salotto
parigino di Madame de Caillavet: “Accanto a me rispettosamente silenzioso stava
un giovanotto pallido e bruno, gli occhi sporgenti, le ciglia lunghe e lucide,
il collo sottile, una marsina con le spalle troppo larghe e con le maniche
troppo lunghe che non sembrava la sua, la cravatta bianca un poco pesta e di
traverso, lo sparato a onde”. France parlava a lui “più che agli altri. E quello
taceva immobile in quel suo atteggiamento cascante. Mutava solo la posizione
della testa, ora piegandola sulla spalla sinistra, ora sulla destra, come fanno
gli uccelli”. France, la cui conversazione quella sera verteva su Cristo, se
era stato o no un personaggio storico, a un certo punto interpella Proust. Che
risponde: “Maestro, in questa discussione non è Gesù Cristo che m’interessa, è
Anatole France”. Rivelando, chiosa Ojetti, “in due parole l’animo di tutti noi”.
Poi
France li presenta. “Non so perché in quella presentazione nominò Venezia.
Marcel Proust mi domandò, affabile ma distante: - Vous êtes vénitien? – Non, je ne suis pas vénitien. – Mais d’où êtes-vous? – e mise nella
domanda una punta d’impazienza verso lo straniero sconosciuto. Risposi modesto:
- Je suis romain. – E lui: - Oh,c’est trop grand!”
Svevo
–
Cercando nel 1992 un posto al cimitero
di Fluntern a Zurigo, quello di Joyce, Canetti, che ama il cimitero, è
perplesso sulla vicinanza: “Non abbiamo molto in comune. Salvo, forse, l’amore
che portiamo entrambi a Svevo, quello di Joyce distinguendosi per la sua
notevole efficienza (incoraggiamento per Zeko)
e per le sue conseguenze decisive (invito di Svevo a Parigi,la sua fama
tardiva)”.
letterautore@antiit.eu
Come Bannon portò a Trump i “duplici odiatori”
Tra i due non è finita bene.
Steve Bannon – è lui il diavolo – ha detto la figlia del presidente più stupida
di un mattone, e Trump lo ha twittato “pazzo”. Ma Bannon è l’artefice della vittoria
a sorpresa di Trump nel 2016. La ricostruzione di Green, giornalista della Cnn,
che Giovanni Orsina presenta e poi commenta, spiega come vi si è arrivati.
Bannon è un ufficiale di
Marina che dopo sei anni lascia la vita militare per la Harvard Business
School. Dopo la quale vivacchia nel mondo degli affari. Senza lustro, ma abbastanza da farsi un
nome nell’impero finanziario di Robert
Mercer. Che non è per Trump, e anzi è contro, ma quando Trump diventa il candidato
repubblicano si propone di sostenerlo finanziariamente purché affidi la
campagna elettorale a Bannon. Trump licenzia Paul Manafort, l’uomo d’affari
ora condannato per operazioni illegali in Ucraina, e affida la campagna a
Bannon. Che lavorerà gratuitamente, ma chiede e ottiene pieni poteri.
È a Bannon, spiega Green, pur
senza sponsorizzare il personaggio, che Trump deve l’elezione. Alla sua idea di
caccia ai “duplici odiatori”, facilmente individuabili in rete: contro Hillary
Clinton, cioè, e contro Trump. Bannon puntò a canalizzare l’odio su Clinton, facendo
di Trump la scelta meno peggio. E con lo spostamento di questo voto riuscì a
conquistare gli stati che poi si rivelarono decisivi.
Joshua Green, Il diavolo e la conquista del potere, Luiss
University Press, pp. 245 € 23
domenica 7 luglio 2019
Problemi di base governativi - 495
spock
Avvocato Conte, chi era costui?
Come Alcolisti Anonimi, Anonima Sequestri, Anonima a Responsabilità Limitata, ora Anonima Governi?
Si
aggredisce la disoccupazione giovanile assumendo navigator?
Navigator alligator – vengono
tutti dal Mississipi?
La
produzione è in calo, l’occupazione aumenta: è tornato il “posto”?
Dice
che abbiamo troppi immigrati ma la popolazione diminuisce: che complotto è
questo?
È un
governo nuovo o è “La corrida” di Corrado, dilettanti allo sbaraglio?
spock@antiit.eu
spock@antiit.eu
Il segreto di Balzac
La moglie bigotta allontana
il marito. Che si trova un’amante. È
tutta la storia, nulla di che. Più il
moralismo clericale, la sessuofobia. Ma Balzac ci teneva. Scrisse il racconto a
ridosso della “Fisiologia del matrimonio”, la sua prima opera, 1829, la prima a
suo nome, che ne aveva già fatto un autore. La riscrisse per dodici anni, così
spiega nella prima edizione della “Commedia umana”, nel 1842. Nel dodicennio
l’aveva ripubblicata tre volte, con vari titoli: scritta nel febbraio 1830, la
pubblicò nel secondo volume delle “Scene della vita privata”, come “La donna
virtuosa”. Ma prima ne aveva pubblicato un estratto sul giornale “Le Voleur”,
col titolo “La grisette parvenue”. Ritorna nel 1835, sempre come “La donna
virtuosa”, nelle “Scene della vita aprigina”. Nel 1842 confluisce cn questo
titolo nuovamente nelle “Scene della vita privata”. È che Balzac vi fa le prove
di Balzac – il segreto di Balzac è la scrittura.
La prima dozzina di pagine è
un capolavoro di racconto del niente: un vicolo buio del Marais malsano, come
dice il nome, dove a un angolo, in due stanze con poca luce, due donne lavorano
al telaio, la vecchia madre e la giovane figlia. Si sa anche come finirà: la
giovane sarà l’amante del passante, l’unico con cui incrocia lo sguardo, per
una storia senza gioia. Eppure si legge.
Balzac, Une double famille, Le Livre de Poche, pp. 123 € 2
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