sabato 7 settembre 2019

Problemi di base governativi bis (o 2?) - 507

spock


Il governo si chiama giallorosso per attirare i tifosi romanisti?


Gentiloni, “meritiamo il posto che ci spetta”, voleva forse dire “ci spetta il posto che meritiamo”?

Gerntiloni avrà l’Economia, la Concorrenza, o l’Industria – avrà l’Industria?

La faccia è sempre la stessa di Conte, a destra come a sinistra: è perfettamente simmetrica?

O è una maschera nuova, un personaggio: si dirà domani la maschera Conte?

Un governo val bene una messa, anche ipocrita – il donnaiolo Conte col papa?

Avrà Toninelli infine un monumento in Campidoglio, accanto a Marco Aurelio, avendo firmato  all’ultimo momento, prima delle consegue al successore, una teleferica a Roma – una teleferica a Roma?

Parte il governo Conte 2 col 52 per cento in Parlamento e il 36 per cento di gradimento popolare: non lo vogliono i suoi?

spock@antiit.eu

Recessione (82)

L’Istat prevede dopo agosto un terzo trimestre piatto dell’economia – è difficile che l’Istat certifichi una recessione, dev’essere superiore allo 0,2 per cento.

Un italiano su tre ancora “a rischio di povertà e di esclusione sciale” –Eurostat. Sono 16,4 milioni.

Ricchi sempre più ricchi. Eurostat evidenzia una forbice crescente: il 10 per cento degli italiani con i redditi più alti ha aumentato nei dieci anni post crac 2007 la sua quota del reddito nazionale dal 23,8 al 25,1.  Il 10 per cento dei redditi più bassi la vede diminuita dal 2,6 al 2 per cento.
Nel disinteresse dei governi: Eurostat certifica finite da tempo le politiche redistributive, attraverso i salari e gli oneri sociali - ora i governi si dilettano in beneficenza: cittadinanza, minimi, una tantum.

I redditi da lavoro diminuiscono o perdono potere d’acquisto: in difficoltà il 12,3 per cento di chi ha un’occupazione stabile.

Ordini in calo a luglio per l’industria tedesca, del 2,7 per cento rispetto a luglio – per il 6,7 per cento dall’area exra Ue (Cina e Usa), un calo che la domanda europea non colma.

Il presidenzalismo di fatto e i governi dei cocci


Ottenuto il suo governo, finalmente Mattarella si ricorda che il patto di stabilità va rivisto, il patto europeo. La coabitazione, tra una presidenza di un colore e un governo di colore avverso, è poco o nulla produttiva.
La coabitazione è ufficialmente problema francese, di un regime costituzionale presidenziale. Ma ha contagiato l’Italia. Un po’ perché la Francia è il solo modello che l’Italia vede oltre Chiasso, per abitudine mentale. Un po’ dopo l’attacco dei giudici alle istituzioni, ormai sono quasi trent’anni. Presidenti forti ci sono sempre stati, a partire dal secondo, da Gronchi – arrivò perfino al colpo di Stato, con Tambroni. Ma sono una costante dopo il 1992, l’assalto giudiziario. Di Scalfaro e Napolitano in misura impressionante – hanno fatto e disfatto i governi. E ora, ambiguo, di Mattarella.
La Costituzione è parlamentare e non presidenziale. Ma di fatto è presidenziale, la cosiddetta Costituzione materiale. Come potere residuale, l’unico ancora esercitabile. L’offensiva dei giudici contro le istituzioni si è fermata alla presidenza della Repubblica, dopo aver distrutto il Parlamento, il governo e ogni altro  potere elettivo. Ci ha provato a lungo, con i familiari di Scalfaro e con lo Stato-mafia, ma non c’è riuscita. Anche perché il giudiziario teme il Quirinale, che presiede il Csm ed è a capo della sicurezza.
La Costituzione materiale è diventata presidenziali anche con la sinistra politica. Tutti i presidenti, da Gronchi in poi, sono stati di sinistra. Eccetto Leone, che per questo fu contrastatissimo, benché moderato, fino alla calunnia. Mentre il paese per lunghi periodi ha votato e vota a destra. Il Quirinale è diventato una istituzione di parte, non in sintonia con il paese. Il Conte 2 nasce anche in vista del ricambio al Quirinale, per assicurare una continuità al potere della sinistra.
Il Conte 2 è il quinto “governo dei cocci” in otto anni, a partire da Monti. Organizzato ora tra due pariti che fanno la maggioranza in Parlamento, ma hanno perso le elezioni del 2018 – hanno diminuito voti e parlamentari. E dopo il marzo 2018 hanno continuato e continuano a perdere consensi, al voto europeo e nei sondaggi – il governo nasce con un terzo dei consensi ai sondaggi.

Il Pd romano fa lo stupido


Pressing insistente, perfino disperato, del Pd a Roma, non senza l’avallo di Zingaretti, per condividere liste e poteri con la sindaca 5 Stelle Raggi. Di cui si sa che non prenderà un solo voto a Roma quando si potrà votare, a partire dal 27 ottobre (suppletiva per il seggio di Gentiloni). Assurdo. A meno che non sia tanto forte il bisogno di rientrare nella corruzione. Che domina questo Campidoglio.
Il Pd romano è quello che per sbarazzarsi di Marino, che riportò la città a sinistra dopo Alemanno, ma non voleva “condizionamenti” (affarucci), andò a dimettersi da un notaio.
Zingaretti per primo ha aperto le porte ai 5 Stelle, prendendosi a assessora la temibile Lombardi. Vorrebbe il reciproco al Campidoglio. E vuole liste comuni, un raggruppamento alla Berlusconi con i 5 Stelle, per affrontare la sconfitta che si annuncia il 27 ottobre, a Roma 1 e anche in Umbria - e quella possibile un mese dopo anche in Emilia e Calabria. Ma partendo dal 36 per cento dei sondaggi?
Sembra una strategia suicida. Perdere da soli ci sta, su tre-quattro schieramenti in gara alcuni devono perdere, è logico, ma perdere con i grillini, recalcitranti, non è un harakiri?

il giallo seminale

Si mangia, si beve, e si racconta. Di rapine, furti, omicidi e ogni altro crimine, normale amministrazione. Ma spesso anche senza, senza il delitto. Per bocca di un maresciallo dei Carabinieri che è “un Esopo in divisa” (Carlo della Corte). Cui lo scrittore funge da dr. Watson o Hastings, il testimone che racconta. Racconti poco gialli, più che altro di venature “soldatesche”: il cibo, tradizionale, dettagliato nelle varianti, i vini, l’aria, qui piemontese e padana. Il brutto ammodernamento dei paesi, che perdono l’anima. Con le moralità per cui Soldati è esemplare, un po’ per l’educazione gesuita e un po’ per temperamento – un po’ giansenista: il male è inevitabile. Il tutto nel tempo. Rivoluzionario ma senza i moralismi politici di prammatica - le giaculatorie politicamente corrette ora in uso, del Camilleri per esempio. Il neocapitalismo anni 1960 è un “feudalesimo industriale” – per cui “che differenza c’è ancora fra borghese e proletario”? Le opere pubbliche si fanno, e rapidamente, il raddoppio dell’autostrada Milano-Torino in un anno e mezzo, meno, meno del termine contrattuale, ma perché si costruisce tanto?
E futuribile, senza eccessi fantastici, piano, perché storico, logico: “Si uscirà da questo feudalesimo, è inevitabile”, nel 1967, data dei primi racconti, o anche prima. “Così come”, alla stessa data, “si inventerà qualche meccanismo elettronico, qualche diavoleria che impedisca alle auto di urtarsi tra di loro o contro un ostacolo”. Un ritratto di Soldati, scrittore piano ma umorale. Perfino cronista: “Il caso Imbert”, che chiude la raccolta, spiega i sequestri di persona come nessuna cronaca di giornale ha mai fatto.
La prima serie è di racconti gialli ma dalla suspense minima, non più di un racconto d’amore o di avventura, o di cronaca nera sul giornale. Di fatti cioè circoscritti, di cui si dà alla pagina seguente la soluzione, non per esercitare il lettore al mistero. Racconti di varia umanità, un po’ fuori dall’Italia che si ammodernava, correndo veloce, e già si perdeva, tra luci al neon, vini senza carattere, cibi senza sapore. Svelti, brevi: prende il ritmo, non la storia in sé. Tutti delineano personaggi e mondi specifici, ma finiscono presto, troppo. La suspense  del giallo non tollera il respiro corto – forse dell’elzeviro, il racconto di “apertura” della vecchia “terza pagina” dei giornali, per la quale Soldati può averli concepiti, se non pubblicati (risultano pubblicati solo in volume). Racconti che si sgranocchiano, come s’immagina che si svolgano i pranzi e le cene tra lo scrittore e il Maresciallo, non da mangioni ingordi, ma lenti, gustando il boccone.
Letti ora, sono sorprendentemente racconti seminali, non solo per l’auto che si guida da sola. Di future grandi serie di gialli, per ingredienti apparenti: l’uso colloquiale del dialetto (Camilleri), la provincia caratterizzata, molto (un po’ tutti i giallisti italiani, milanesi, toscani, romani, siciliani), fino alla macchietta, qui il Piemonte e la Valpadana, il cibo e le tavolate semplici (Vázquez Montalbán).
Di tutt’altro taglio la seconda serie, i “Nuovi racconti del Maresciallo”. Pensati e scritti per una serie tv, quindi con la “struttura «chiusa» del giallo – chi è il colpevole? Cinque racconti lunghi, che sfidano il lettore. È come dice lo stesso Soldati, in due paginette di presentazione, riferendosi a Garboli, che dei primi racconti aveva osservato: strano, nei romanzi e nei racconti di Soldati c’è sempre “un processo narrativo vagamente poliziesco, ma non qui dove invece uno se lo sarebbe aspettato, nei “Racconti del Maresciallo”. È vero, concorda Soldati: “Il mio investigatore con le stellette era sempre stato, più che altro, pretesto” per divagazioni, su personaggi, paesaggi, ricordi, momenti lirici.

Mario Soldati, Tutti i racconti del Maresciallo, Oscar, pp. 320 € 14 


venerdì 6 settembre 2019

Un governo di predestinati

Nomen omen, o un governo di predestinati? Spadafora, un nome che è un programma, un grillino democristiano. Anche Provenzano al Sud non è male. E Boccia agli Affari Regionali, dove dovrà bocciare le Regioni, le autonomie? O Guerini alla Difesa. D’Incà ai Rapporti col Parlamento non sta a dire che fa tutto il governo, le Camere non contano?
Un genietto maligno ha presieduto alla formazione del Conte 2? O è lo scherzo di una mano invisibile? Fioramonti all’Istruzione è tutto un programma. Conte, col fazzoletto da taschino a 4 punte, sale nell’Albo d’Oro della Repubblica. Oltre ai noti Costa, all’Ambiente e Tutela del Territorio e dei Mari, e Bonafede alla Giustizia, che ne ha tanto bisogno.
Nonché Mattarella – ma fuori concorso, essendo il serioso presidente della Repubblica.
La scelta di Gualtieri all’Economia e di Gentiloni alla commissione di Bruxelles, delegato alla Concorrenza e al Commercio, due politici senza cognizioni di economia, ma due “profondi conoscitori” dei meccanismi di Bruxelles, è per un’Europa concepita come la politica dell’aumme-aumme” – in qualche modo ci accordiamo. Molto democristiano, questo. Salvo portare poi a casa, come già con Prodi all’avvio dell’euro, che pure era un economista, danni non rilevati – la buona volontà non basta, e talvolta è cialtrona. 
Zingaretti, democratico, fa subito posto ai 5 Stelle - a Anna Lombardi, la più agguerrita di loro - nella sua giunta alla regione Lazio. Due debolezze fanno una forza? Certo nel Lazio non si vota, non ancora.
La sindaca di Roma Raggi non reciproca la generosità di Zingaretti. Si tiene per sé la messe di voti che ha preparato con le buche, l’immondizia, lo stadio della Roma, e l’insipienza. A cominciare dal suppletivo fra un mese mezzo per il posto di Gentiloni. A Roma Centro, che pure è - era - un feudo democrat e novista.
Tre ministri in più, otto senza portafoglio, e poche donne, nel governo all’insegna del rosso, da Grillo in là: è stata una corsa alla poltrona.
Pochi invece i ministri del Nord, otto su 21. E agli Affari Regionali un campano, Boccia, contrario le autonomie, la bandiera del Nord. Il Conte 2 è un governo votato al sacrificio, a partire dalle prossime regionali.
“È finito è il tempo degli arrivi in bici, a piedi o in taxi, rispuntano scorte e Bmw di Stato”: il governo si mette in sicurezza.
Grande cura del presidente Conte, che un tempo arrivava in taxi. La pochette a 4 punte che spunta dal taschino richiede “un piano di lavoro” complesso, spiega a “la Repubblica” Maurizio Marinella, della dinastia napoletana degli accessori per uomo.
Il presidente del consiglio in effetti non si affanna: lui i dossier non li apre, si limita alle copertine.
Realisti, come al solito, i cinesi su Di Maio, “scelta insolita”: “Non si è mai laureato, ha competenze linguistiche molto limitate, e ha mostrato scarso impegno per le questioni globali”.
Di Maio è anche noto in Cina per aver apostrofato con un Ping il presidente XI Jinping – senza l’“ahò”, però, questo è romanesco.
Si celebra col governo che si vuole rosso il calo dello spread. Toni euforici, entusiasmanti. Poi, il giorno del giuramento del governo, lo spread risale del 10 per cento. Eufemismi elaboratissimi dei cronisti Rai che nei vai appuntamenti di Borsa non possono non parlarne. L’impegno (il posto, la carriera) implica la stupidità – degli ascoltatori-lettori?



L’Africa fantasma

Fanno uno strano effetto di attualità queste note di viaggio di ottant’anni fa. Che non dicono molto, ma sì l’essenziale dell’Africa. “Fantasma” all’epoca per Leiris, che non ne sapeva nulla, e poco ne ha imparato. Fantasma ancora, spiega per questa riedizione, nel 1951, per la stessa “decolonizzazione” che sembrava dopo la guerra prendere piede, e gli aveva l’aria di un’impostura. E per questo aspetto fantasma ancora oggi, che tanto se ne parla: terra incognita - anche se la scoperta dell’Africa è stata fatta prima di Gesù Cristo.
Tra il 1931 e il 1933 Leiris, trent’anni, XVImo arrondissement , i Parioli di Parigi, un po’ surrealista, ma in rotta col surrealismo professo, confuso anche sul piano personale, dice nella prefazione, o “dell’emotività” (degli affetti?), riesce a farsi includere nella spedizione etnografica Dakar-Gibuti che Marcel Griaule ha organizzato, con mansioni ancillari. Naturalmente divenendone il dominus, per le note che ha preso nella lunga traversata, e che al ritorno André Malraux si è incaricato di fare pubblicare da Gallimard, di cui era consulente – unica manomissione editoriale al lunghissimo testo il titolo, più di fantasia che di relazione “scientifica”. Nella nota del 1951 al diario del 5 aprile 1933, a Gondar, Leiris  stesso spiega i limiti della pubblicazione: “essenzialmente effemeridi o note di agenda”, con “poca introspezione”. Sopraffatto, si direbbe, da ciò che vede o cerca, ma con poco succo.
Griaule, massima autorità in fatto di etnografia e di Africa, non apprezzò gli appunti e interruppe ogni contatto col suo assistente avventizio – che poi diverrà massima autorità degli studi di antropologia, successivamente, dopo la pubblicazione nel 1934 di “Età d’uomo”. Non resta molto in effetti: Leiris, appassionato di riti della possessione - come sarà nel dopoguerra in Italia per De Martino -, finisce irretito dalla genia dei mediatori culturali, si direbbe oggi, gli informatori. Sono interpreti e attori a soggetto, quelli che: cosa vuole l’Europeo antropologo, etnologo, folkorista noi glielo facciamo trovare. 
A distanza si vede a sbalzo. Un mondo a sé, poiché sa, dovendo sapere i rudimenti della lingua dell’ospite, come irretire il ricercatore, diventandone il dominus. In Africa con particolare velocità e manomissione, l’africano sa essere convincente - non ha una sola ragione. Favorirà il ricercatore per quello che lui\lei pensa debba interessargli, e il grado di scientificità è testimoniato-provato dalle mance. Fra trucchi costanti, quotidiani, comprese divinazioni e transe a questo fine.
Il libro è così, voluminoso di dettagli inutili. E di una realtà parallela. Minuzioso, dettagliato e inconcludente.Una realtà fatta di cerimonie e magie quasi ovunque reliquate e bizzarre – un piccolo business.  In questo una testimonianza a futura memoria, benché involontaria, dello stato degli studi etnografici. 
La seconda metà del libro è un diario ora per ora di un distinto gruppo di questi mediatori, attorno a una donna mezzo fattucchiera mezzo naiade, benché nonna e bisnonna, provvista di figlie e nipoti. Senza esito, se non inattendibili riti del sangue – nella cristianissima Etiopia – o dell’acqua. E feste tradizionali “vendute” in onore degli ospiti. Per un tallero in più, o un orologio, o una penna stilografica. Anche una raccomandazione per un nipote, che sia accettato tra gi ascari, le truppe coloniali.
Di unico interesse a distanza, nelle due-trecento pagine di Gondar, le serate e feste col Console, che è il console italiano. Che si presenta “rigorosamente in camicia nera”, e fa discorsi “oltraggiosamente politici”, ma si dimostra informatissimo di tutte le guerre e guerriglie intestine all’impero, comprese quelle che la carovana scientifica andrà a incontrare. Sono le divisioni che promuoveranno la conquista italiana e l’impero.
Il 1933 è anche l’anno del tentato assalto, da parte di una banda etiope, organizzata da agenti inglesi – in concorrenza con l’Italia sulla Somalia - al consolato italiano a Gondar. Prima o dopo l’arrivo della missione Griaule. Ma Leiris non ne fa cenno: è un’invenzione, posteriore, del governo italiano?
Massaua italiana alla fine del viaggio apparirà bella e pulita. La missione arriva in treno da Gibuti ed è accolta con onori e banchetti, nel segno dell’amicizia franco-italiana – che in realtà non cera, anche la Francia progettava un attacco tra la Somalia italiana e lEtiopia, ma Leiris non lo sa, è digiuno di politica. Il governatore italiano è “un Ercole, oppure un dio marino”. 
La missione parte per il rientro da Massaua su “un cargo misto a motore che si chiama «Volpi». Tutto nuovo, tutto curato, tutto bello”. È la festa della regina d’Italia e il “Volpi” è pavesato a festa, come tutte le imbarcazioni del porto. Cabine spaziose e ben aerate”. A bordo “una madre americana e le sue tre figlie” – “che flirtano in continuazione con gli ufficiali, comandante compreso” (“al punto che” Leiris si domanda “se le ragazze non siano delle professioniste”).
Sul finale, forse favorito dalla scoperta dell’Italia, dell’Africa italiana pulita, Leiris ha anche l’idea di un racconto africano, su “un personaggio nel genere di Axel Heyst (v. Conrad)”. Da non confondere con il Kurz conradiano del più celebre “Cuore di tenebra”: Heyst è lo svedese in età che ha scelto di vivere solo in un’isola felice (chiamato Axel come tributo al dramma analogo, intitolato “Axel”, di Villiers de l’Isle-Adam), che si innamora di una voce, lento protagonista del romanzo tardo di Conrad “Vittoria”.
Ma è un bagliore isolato, il viaggio finisce a pesce. Gibuti è cadente e sporca: non ci sono che belgi, whisky, e prostitute somale, che giocano alle ninfe, appaiono e scompaiono - come usava nei night-club in Europa. È l’inizio di una fine brusca e malinconica. Piogge torrenziali. Il “Volpi” riparte senza il gruppo Griaule, lo stesso Leiris ha perso ogni voglia di andare a Calcutta, dove il piroscafo farà scalo, per sbarcare le americane: “Il viaggio esotico è finito. Niente più desiderio di Calcutta, né di donne di colore (come fare l’amore con le vacche: alcune hanno un sì bel pelame!), e nessuna più illusione, di quelle che mi assediavano”.
Un libro per molti aspetti tuttavia ragguardevole, giustamente famoso. Tradotto trentacinque anni fa da Rizzoli, è ora introvabile. Una nuova traduzione è censita dalle librerie online. Una nuova traduzione, secondo Amazon, è prevista per l’1 gennaio 2030 (nell’attesa si può prenotare...). Secondo altre librerie è già stato pubblicato nel 2015 da Quodlibet, allo stesso prezzo di Amazon, € 26, ma si può solo prenotare.
Michel Leiris, L’Afrique fantôme, Tel Gallimard, pp. 658 € 18,90

giovedì 5 settembre 2019

Problemi di base governativi - 506

spock

A chi perde le elezioni si regala un governo?

È il messaggio (demo)cristiano, compassionevole?

Il potere compassionevole, non sarà una nuovissima categoria politica?

Fino alla rielezione di Mattarella?

O si voleva fare contenti Grillo e il papa?

In effetti, questo secondo uovo deposto da Conte non sembra bianco, più che rosso? 

Quindi, con il Conte 2, tutti in paradiso, era questo l’apprezzamento del papa per l’avvocato?

Ma che paradiso è se non c’è Toninelli, non si ride più?

spock@antiit.eu

Quando il mondo finì

Si legge come un romanzo, grandioso e inverosimile, ma è un libro di storia – Cline è archeologo e storico accreditato, professore all’università George Washington a Washington. Una catastrofe poco digerita nei libri di storia, che tuttavia avvenne, non molto tempo fa, e somiglia molto a quanto sta avvenendo – si pensa o si teme stia avvenendo, nella cultura della crisi, non importa perché e in che modo, ma soprattutto lEuropa vi sarebbe esposta.
Vennero i “Popoli del mare”, di cui altro non sappiamo, una sorta di invasione extra-terrestre, extra Medio Oriente, e i regni millenari che lo popolavano crollarono. Con loro si chiuse all’improvviso l’Età del Bronzo, che si ricorda come una sorta di età dell’oro, ricca di commerci, invenzioni, leggi e ogni altro aspetto della cultura, arti applicate ed estetiche, scritture, letterature.
I Popoli del Mare misero fine ai grandi imperi in essere, noti più per i popoli coinvolti che per i nomi dei capi o padroni, i cui nomi sono conosciuti ma senza smalto, che avevano indebolito i loro imperi con continue lotte per la supremazia sugli altri. L’elenco dei popoli vittime dell’invasione è noto, è la summa della civiltà: Ittiti, Assiri, Babilonesi, Mitanni, Minoici, Micenei, Egizi, Cretesi, Ciprioti, Amorrei, Ugariti, Cananei. La fine no, il come e il perché. Ma si sa che ci fu, radicale, aprendo un vuoto nella storia – che pure si supporrebbe non tolleri il vuoto, ma se la storia non si scrive non si sa, non si conserva.
Eric H.Cline, 1177 a.C. Il collasso della civiltà, Bollati Boringhieri, pp. 271 € 24

mercoledì 4 settembre 2019

Secondi pensieri - 394

zeulig


Alibi – È fondamento della scienza forense, ma evanescente. Per un semplice motivo, che una semplice romanziera, di gialli, Agatha Christie, fa dure a un suo personaggio “italiano” (un peraltro evanescente signor Paravicini): “È difficile dimostrare quello che non è” – “posso io forse dimostrare che non sono un pazzo criminale?”. E l’investigatore principe di Agatha Christie, Poirot: “La maggior parte degli indizi è insignificante”

Alternativa - Termine e concetto desueti, ma non senza ragione: vivere nell’alternativa è rinunciare.  L’alternativa è politica, è un modo per esercitare il potere. Ma è un’antinomia se applicata alla società, alla produzione cioè e alla cultura.
Emarginarsi può essere rivoluzionario: si assottiglia la base del potere per abbatterlo. Fu così alle origini della politica partitica, per gli ideologi che l’hanno inventata nel Settecento. Da qui l’equivoco di voler essere resistenza e potere, l’una cosa e l’altra. Che però non è politica – e non è rivoluzione, naturalmente.

Auctoritas – La forza mista all’autorevolezza,  nella dottrina dello Stato di Alessandro Passerin d’Entrèves, la romana legittimazione. Che all’Italia sempre è mancata, argomentava lo studioso nell’ultima prolusione a Oxford, per avere i Savoia e i loro aiutanti scambiato i bastoni per briscola: “I governanti dell’Italia unita sembrano aver provato più paura da dentro che da fuori”. E hanno lasciato fuori dallo Stato la chiesa e i lavoratori, si volevano legittimare con la polizia.
Ma non solo l’Italia: la sovranità nazionale non esiste, come per la giumenta di Orlando è il suo solo difetto. Non poteva sopperire il socialismo, se Mazzini è morto ammonendo: “Meglio il ritorno degli austriaci che l’impianto in Italia di quella falsa e perversa dottrina che dividerebbe gli italiani in sfruttati e sfruttatori”. La Repubblica, malgrado tutto, ha colmato la “legittimità inadeguata”, un certo patriottismo formando, anche se sempre in rapproto alla “minaccia esterna”: prima il blocco sovietico, poi alternativamente l’Unione Europea, la Russia, l’immigrazione.

Passerin d’Entrèves dava ragione a Mazzini: “La nozione marxista dello Stato si attaglia alla concezione volgare italiana che la forza e non il consenso è la chiave della politica”.

Cinomania -  Non ce n’è più che in Diderot, dietro la maschera di “Jacques il fatalista”, per parecchie pagine. Talmente entusiasta da rasentare l’ironia: “I  cani sono così buoni, meglio loro che…”. “Che padre, madre, fratelli, sorelle, figli, servi, mariti”, “Ma sì, e non per ridere. Il cane è innocente, è fedele, non vi fa mai del male, mentre tutto il resto… “, “Viva i cani! Non c’è niente di più perfetto sotto il cielo”. “O se c’è qualcosa di più perfetto, almeno non è l’uomo…”.
È vero che Jacques, secondo il suo Maestro, non ha tutte le rotelle a posto.

Diderot giansenista – Del giansenismo condivide l’assunto principale, la negazione della libertà. Nella teoria del “fatalismo” (poi determinismo) e nell’approccio in genere ai fatti della vita, con l’opera di narratore. In “Jacques il fatalista” al punto da patrocinarlo in opposizione al “molinismo” - la corrente teologica che conciliava libertà e grazia. Forse perché patrocinata dai gesuiti.

Ecologia – Affronta gli effetti, alcuni effetti, ma non le cause del degrado ambientale – la circolazione automobilistica, il riscaldamento e il raffreddamemto domestici. Che contemporaneamente  moltiplica in misura incontrollabile e incomputabile. Si presenta come una campagna pubblicitaria, cosa che all’origine, e nel suo nucleo forte, è. Dell’industria dell’antiinquinamento. Non risolutiva naturalmente, pena la cancellazione del business.
Lo è stata dichiaratamente all’origine, nel piano di Nixon, 1969, e poi nella dottrina dei “limiti allo sviluppo”, che ha tenuto banco per un ventennio, dopo il 1973 e la crisi del petrolio, con “la fine delle risorse fossili”. Poi in sordina con la globalizzazione, che ha passato all’Asia senza limiti le produzioni altamente inquinanti.

Le strade vuote, le vetrine spente, il rimbombo dei passi, gli orologi fermi, e il freddo nelle ossa, la desolazione dell’inverno 1973 misurava quanto l’inventiva sia più colorata e attraente della natura. Era la rotta della secolarizzazione che il cristianesimo ha introdotto, dal miraggio precapitalistico del Dio in terra. Sembrava Evola, un rifiuto reazionario della modernità, ma con la teoria dei limiti e l’ecologia l’Occidente s’impadroniva anche della crisi. Un nuova domanda sociale si imponeva basata sull’astinenza – “l’Austerità”. Partendo dalla filosofia, che non ci può essere sviluppo all’infinito. Si parte cioè dall’ovvio, che è sempre una scoperta: all’infinito nulla cresce. Né decresce, lo sviluppo è continuo nella discontinuità, è sociale e individuale, aggregante e disgregante, il Club di Roma è la cuspide dello scientismo - il pensiero unilineare non muore mai, come la fine del capitalismo.
I limiti dello sviluppo ripetono l’invenzione della povertà: il ricco Occidente si fa povero per compatirsi e aiutarsi, si è ricchi per volere tutto.

Opinione pubblica – È un abuso e una disgrazia,  ciò che la “gente pensa”, per il proto-giornalista Diderot, fabbrica di fake news, e di finte impressioni, che tuttavia condannano e dannano. Nei racconti di W”Jacques il fatalista” e altrove non cessa di dirla “la folla imbecille”, il “pubblico stupido”.

zeulig@antiit.eu

Padrini belli e assassini


Nel 1971, due anni dopo “Il padrino” di Puzo, e due prima di quello cinematografico celebre che Coppola deriverà da e con Puzo, un misto di simbolismo e finzione, l’inventore del giornalismo d’autore Gay Talese scriveva un densissimo reportage sulla mafia allora più potente a New York, quella dei Bonanno. Variamente denominata, a seconda dei reggenti: Bonanno all’origine, dal nome del fondatore Joseph, anni 1930, nel dopoguerra presto affiancato dal figlio Bill – origini trapanesi. Due capi belli e eleganti, oltre che crudeli. Che riusciranno a sopravvivere al piombo e alla giustizia, malgrado l’efferatezza del loro “governo”.
Racconti di funerali costellano la narrazione. Per un senso inevitabile di lutto, il più consono alle storie di mafia. Una sorta di diretta su carta, tra proiettili veri, e messaggi, riunioni, accordi,  avvertimenti, tradimenti dal vivo. Come se Talese vi avesse avuto diretto e personale accesso. Ma senza perdere le misure: un racconto di mafia, senza compiacimenti né buone intenzioni. La mafia, sia pure organizzata e consortile, è a monte guerra di mafie.
Un viaggio dentro il Male mentre si produce, quotidiano, amorale. Il ritmo partecipativo del racconto scandisce alla Brecht, con la distanziazione (straniamento), un mondo animale, di protezione e ferocia.
Gay Talese, Onora il padre, Bur, pp. 600, ill. € 15

martedì 3 settembre 2019

Ombre - 477


“La spada di Damocle di Rousseau sul Conte 2”.  Si finge che la piattadorfroma Rousseau decida la politica dei  Stelle, mentre è solo una copia dei “dibattiti” in sezione o in cellula, dall’esito più scontato di quei paleo strumenti. Non c’è partito più partito del movimento 5 Stelle, e più verticista.
Nel movimento c’è una tendenza alle dimissioni che nei partiti non c’era. Ma c’è anche la pratica delle espulsioni. Non per indegnità ma per dissenso. La scienza politica dovrebbe partire da questo.

 “«Aiutarli a casa loro» fa sorridere amaramente”, Filippo Grandi, Alto Commissario Onu per i Rifugiati (Unhcr): “Se avessero una casa loro, non scapperebbero”. Loro, gli africani. Che invece sono tutti casa: famiglia, clan, tribù.
Ignoranza non è. L’Alto Commissario è dell’accoglienza, piccolo business. A quando i diritti, p. es. al ricongiungimento familiare? Con visti anticipati e mezzi\spese di viaggio normali.

Grillo, che solo sei anni fa sbeffeggiò in diretta il Pd vincente alle elezioni, ora lo esalta: “Cerchiamo di compattare i pensieri, sognare a dieci anni”, urla, “abbiamo da progettare il mondo”. Come no, e Zingaretti ci crede:

“Una lista di ministri di qualità”, chiede Renzi a Conte sul “Sole 24 Ore”, “o non avrà i nostri voti”. Davvero? Oh povero Conte.

“Le tasse vanno ridotte”, dice anche l’ex presidente del consiglio che nei suoi tre anni ha tassato l’intassabile, aumentato i bolli, tassato pure i pagamenti, con la scusa dell’antiriciclaggio, portando la tassazione, diretta e indiretta, ai massimi in Europa, oltre il 46 per cento del reddito. In questo insuperabile, nella perfidia fiscale: pochi euro qua, pochi euro là, e multe. Però, si governa con la sfacciataggine.

Si è fatta la crisi per mandare a Bruxelles, nella Commissione Ue, un grillino – meglio una grillina? Per mandarlo-a “a Chiasso”? Per una poltrona.

Johnson chiude il Parlamento per imporre all’Europa un accordo di uscita per lui più conveniente: “Vogliamo un nuovo accordo con l’Ue sulla Brexit, ma se i nostri amici europei pensassero che il Parlamento vuole ostacolare l’uscita senza accordo, salterebbe la nostra strategia”, confida, pubblicamente, alla Bbc. Lui deve trattare minacciando un’uscita senza accordo. Altrove sarebbe un ricatto.

Ma, poi, Johnson vuole soltanto che l’Irlanda del Nord esca alle condizioni dell’Inghilterra: un paleo colonialista nel terzo millennio.
  
“Vince sempre le cause”, lamenta Veronica Lario dell’ex marito Berlusconi, al quale deve restituire l’appannaggio che le era stato concesso al divorzio. Da un(a) giudice.
I Berlusconi vogliono sempre essere al di sotto dell’opinione.

“Conte, 5 giorni all’alba”: titolo da caserma di “la Repubblica” per la commediola inscenata da Mattarella per velocizzare la crisi – fare finta di. Ma non ce n’è altro possibile: è difficile da giustificare, un Conte così, che il giorno prima governa con la destra e il giorno dopo con la sinistra. Passerà agli annali del trasformismo, dopo Depretis Conte. Però.

Conte è la vecchia scuola Dc, o della sfacciataggine - Merkel ne è maestra, cambiando maggioranza ogni pochi mesi. Si dirà di Conte che è un piccolo Merkel, essendo a capo, inossidabile, della piccola Italia.

Tre richieste “inderogabili” del Pd al nuovo Conte: niente taglio dei parlamentari e abrogazione dei decreti Salvini, oltre all’intesa sulla manovra – sulle nuove tasse. Come se si governasse senza intese, si governasse comunque.

Conte che abroga dei decreti che ha appena varato, sulla sicurezza, è tutta da vedere. Ma non da escludere – questo Merkel non l’ha fatto, ma Conte punta a sopravanzarla.

E i grillini che chiedono a Macron il patrocinio per iscriversi a Strasburgo al gruppo parlamentare liberale? Uno che hanno insultato fino a ieri - nonché solidarizzare con i gilet gialli anti-Macron.
Tutto concorre a ridicolizzare l’Italia. Ma ce n’è un’altra?

Sfilamento radicale dei social praticati da Salvini: in poche ore crollo del 63 per cento delle “menzioni” (commenti e rilanci della pagina Fb di Salvini) e del 52 per cento delle “interazioni” (fra Salvini e gli utenti). I leghisti hanno il naso fino: non gli piace perdere.

Gad Lerner in difficoltà sul “Venerdì di Repubblica” sui migranti e il radical chic. Che se è chic, ancorché non radicale, una sola cosa dovrebbe fare, prima dell’elemosina: informarsi e informare sull’Africa. Perché gli africani emigrano. Perché i barconi si riempiono di donne e bambini – gli africani emigrano a migliaia ogni giorno, ma i barconi hanno carichi speciali. Eccetera.
Non è difficile, gli africani sono articolati, intelligenti, colti. Non sono pet, da molcire.

La mafia governa il capitale

A trent’anni o poco più della sua formulazione, da parte dell’allora Procuratore di Palmi Cordova, e di Pino Arlacchi, la figura del mafioso imprenditore ha fatto metastasi. Invece che alla prevenzione e al contrasto, la tempestiva segnalazione del 1983 sembra servita alla moltiplicazione dell’imprenditoria mafiosa. La mafia non solo “è in grado di adattarsi all’ambiente circostante”, ma presto “lo condiziona, plasmandolo a sua volta”, concludono gli autori. Al punto che oggi lavorare onestamente, senza ricorrere alle mafie, è quasi impossibile, e una sorta di eroismo.Una visione apocalittica. Benché temperata dalla proposta: salvare il salvabile. Recidere le collusioni, salvare in qualche modo le imprese – “garantire rigenerazione e futuro”. E per questo “intervenire con il bisturi, più che con l’accetta: comprendere i tratti specifici del nodo patologico e reciderlo in modo minuzioso, repressivo quanto basta, invasivo quanto necessario”. Un’antimafia di chirurgia fine, insomma. Che però considera tutto malato.
La metastasi è avvenuta specialmente dopo la crisi del 2007, argomentano Sciarrone e Storti. Ma la lettura della parte analitica rimanda curiosamente all’anticapitalismo d’antan, del tipo: non c’è capitale onesto. Fertile in Italia fino agli anni 1980. L’anticapitalismo non di Marx  ma di quando c’erano i blocchi, e l’uno voleva l’altro una mafia.
La mafia è infestante, questo si sa. Se non contrastata. Ed è flessibile. Il Sud ha doti peculiari di flessibilità, per adattamenti obbligati a circostanze da qualche secolo sfavorevoli. E ammettiamo pure che le mafie lo siano. Ma le mafie sono bande, di mentalità duramente tribale, da clan chiuso. E piene di pregiudizi, nonché di paure, quindi circospette. Infettive ma con juicio.Le mafie sono anche ricche, con i più alti margini di profitto immaginabili. E possono permettersi la migliore expertise, in campo finanziario e commerciale (e delle regole europee no, specie dei finanziamenti a fondo perduto e degli abbattimenti fiscali?). Vero. Ma hanno limiti. Cosa che il lettore non percepisce più, da “Gomorra” in poi e fino a questo saggio – anche se Sciarrone, che con Storti condivide l’insegnamento di Sociologia economica a Torino, ha molti studi in proposito.
I due studiosi mettono le mani avanti. I capitalisti, scrivono, al fine di garantirsi l’impunità, “si mobilitano per cambiare la definizione della realtà o per oscurarla, mettendo in atto strategie di negazione o di neutralizzazione, di giustificazione o di normalizzazione, o ancora di vera e propria decriminalizzazione”. Cioè: è così e basta, nessuna critica alla critica. Anche perché, aggiungono, l’infezione sta mutando perfino la percezione morale: il mafioso è un socio come un altro.Ma la mafia è mafia, e deve restare mafia, altrimenti diventa inafferrabile. La corruzione è più vasta delle mafie. L’imprenditoria è più vasta della corruzione. Di fronte alla sindrome “Gomorra”, l’antimafia diventa incerta e regressiva, applicata a un tumore che vince la chirurgia, ancorché fine, e ogni antidoto.Rocco Sciarrone-Luca Storti, Le mafie nell'economia legale. Scambi, collusioni, azioni di contrasto, Il Mulino, pp. 208 € 18

lunedì 2 settembre 2019

Il sovranismo si radica in Cina

“I paesi con governi nazionalisti rappresentano il 67 per cento del valore economico del G 20 e quasi l’80 per cento della sua popolazione”, spiega Federico Fubini su “l’Economia”. Di che ci professiamo lupi solitari? Con la solita coda: prima l’uovo o la gallina, si è sovranisti contro il mondo o in accordo col mondo?
Le percentuali esatte calcolate da Fubini sono il 66,8 per cento della ricchezza e il 79 della demografia. Includendo, in ordine alfabetico tra i 20: Arabia Saudita, Brasile, Cina, Gran Bretagna, India, Russia, Turchia, Stati Uniti.
Ma ci sono differenze nelle chiusure. Di quelle americane non si può parlare bene perché le ha adottate Trump e perché, dopo un anno e mezzo, sono inefficaci. Ma è un fatto che la Cina ha rubato e ruba competenze ovunque, specie in Occidente. E che discrimina a piacimento le presenze straniere, per esempio di Google e Facebook. E contingenta alcune importazioni. E che tipicamente, da lunga storia, non negozia ma decide.
La globalizzazione è nata trent’anni fa perché l’operaio americano potesse comprarsi scarpe e abiti (cinesi) a un dollaro o poco più. Ora la Cina è cambiata e le regole andrebbero cambiate – cioè applicate. Anche alla Cina.

Cronache dell’altro mondo (38)

Trump vorrebbe comprarsi la Groenlandia. Un affare analogo all’acquisto dell’Alaska dalla Russia nel 1867. Il governo danese si è detto contrario – lasciando però la scelta libera agli abitanti della Groenlandia, 58 mila.
L’Alaska fu acquistata per 7,2 milioni di dollari, circa 1.230 milioni di oggi. Per la Groenlandia si parte dall’offerta che già nel 1946 gli Stati Uniti avevano avanzato alla Danimarca: 100 milioni in oro, che ai prezzi attuali del metallo corrispondono a 1.300-1.400 miliardi di dollari. Il “Washington Post” è giunto a una valutazione di 42,6 miliardi, moltiplicando il pil della Groenlandia (2,7 miliardi, al netto dei sussidi del governo danese - 700 milioni) per 21,3, il rapporto medio prezzo-utili delle società quotate a Wall Street, all’indice S&P 500. Se invece si valuta che la Groenlandia col cambiamento climatico diventa sempre più abitabile e potrebbe far emergere risorse minerarie ora inaccessibili, il rapporto più indicativo prezzo-utili sarebbe di 847, quello di Amazon, la società che più è cresciuta di quotazione, portando l’esborso a 1.700 miliardi.
“Trump si appella all’unità contro il razzismo”, titola il “New Yort Times” dopo la strage di El Paso. Hollywood e i Democratici attaccano il quotidiano. Che nella seconda edizione, quella distribuita a New York, cambia il titolo: “Attacco all’odio ma non alle armi”, senza Trump.
Purdue Pharma e la famigliak Sackler che ne è proprietaria offrono  dodici miliardi di dollari di danni.  Quelli provocati in venti anni dall’antidolorifico a base di oppiacei da loro inventato, OxyContin – subito poi copiato da altre case. Gli antidolorifici a base di oppiacei hanno causato in venti anni quattrocentomila morti – trentamila sui settantamila morti di overdose nel 2017, ultimo anno censito. Più milioni di dipendenze da stupefacenti. Effetto di un martellante marketing. Gli oppiacei sono tutti approvati dalla Federal Drug Administration, l’agenzia dei farmaci americana.

Trump dice Conte “un grande amico” e lo chiama “Giuseppi”, con la i finale. Ma questo rientra nella tradizione inglese, la tradizione alta,. Di storpiare i nomi di battesimo latini. Che Trump, l’affarista, stia andando a scuola di buona pronuncia, oxoniense?

Niente epistocrati, sappiamo sbagliare

Tre quarti del mondo, dice il giornale, sono governati da regimi in qualche misura populisti. Cioè nazionalisti, al limite dell’autarchia (sovranismo), e comunque mercantilisti, all’opera per massimizzare i propri interessi a danno degli altri. E nel complesso illiberali.
È una novità, e non lo è. È vero che ci sono periodi in cui la democrazia dichiarata recede di fatto, per illiberalismi, anche censure, e dazi, contingenti, sanzioni, litigi interalleati. Il populismo non è però mai assente, in democrazia come in altri regimi politici, in tempi recenziori come in quelli remote: se la misura non era da molto tempo così estesa, il fenomeno è preoccupante già da tempo. Si potrebbe dire che il populismo va di pari passo col liberalismo-liberismo, ne è il cattivo pensiero o l’incubo. Cioè con la democrazia. Ma è anche vero che ci sono periodi in cui recede e altri in cui effettivamente si fa valere come oggi. La democrazia respira costruendosi, e decostruendosi, anche annientandosi.  
Eklund, accademico americano della Brown University, già nel 2007 – ma prima del crac bancario – ne rilevava la minaccia in questo “Democratic Authority”. La rilevava indirettamente, in quanto analizzava le risposte. E tra esse soprattutto quella privilegiata in ambito accademico e intellettuale la domanda di un governo dei belli-e-buoni della Repubblica. Dei saggi, di chi se ne intende. Privilegiata non nel senso di minacciosa, ma insidiosa sì: perché allontana dalla democrazia  proprio “i migliori”, gli (auto)eletti, i belli-e-buoni – li allontana dalla riflessione non pregiudicata, e dalla partecipazione. Dall’astensione, che è da allora la vera novità della politica, fenomeno di massa.
La democrazia non si decide (giustifica) se fa bene o fa male, ma se le sue intenzioni, e le istituzioni-costituzioni a essa sottese, si indirizzano a promuovere “giuste decisioni”, così come avviene per le giurie nei tribunali. Questo l’argomento di Eklund. La democrazia, usava dire, è procedurale – come il diritto. La decisione può anche essere sbagliata, ciò che importa è il “valore epistemico” della procedura, il modo o il grado come essa è intesa a una decisione buona.
In democrazia affiora sempre l’epistocrazia, argomenta Eklund: il governo dei buoni-e-belli della Repubblica, di coloro che sanno, anche solo intellettuali. Il suo “proceduralismo epistemico” evita l’epistocrazia. Dell’opinione pubblica – oggi si direbbe dei social.
La democrazia si dice che abbia problemi: deriva al populismo, eccetera. In tempo si crisi - di ideologia di crisi, addirittura di volontà - si tende a buttare il bambino con l’acqua sporca. Amartya Sen ha rilevato, semplice, che le democrazie non producono carestie. Altri hanno spiegato che in genere non si fanno guerra, non tra di loro. E rispettano i diritti umani. E comunque non massacrano le loro stesse popolazioni. La democrazia, insomma, non ha bisogno di difese. Ma funziona volentieri male.
Curiosamente la domanda di aristocrazia democratica si espande negli Stati Uniti proprio mentre si comincia a contestare da più parti, soprattutto liberali, la meritocrazia. Si vuole più “merito”, o capacità di giudizio, in politica, mentre la si contesta sul piano economico e sociale. Si espandeva questa domanda da prima dei social  e di Trump: come se l’America fosse stanca di se stessa, che pure era – e resta - l’incarnazione della dottrina dello Stato classica (liberale), della forza e della convinzione insieme.
Eklund, filosofo politico, riprende, senza citarla, uno degli argomenti di Hannah Arendt. Che in più saggi si pone lo stesso problema, dell’azionamento e produttività della democrazia. Rifacendosi in più passi alla “Autorità” di Alessandro Passerin d’Entrèves, del potere che è convinzione.  Auctoritas che, Alessandro Passerin d’Entrèves insegnava, è chiesastica, ed è la base della libertà - che non è essere Dio: l’uomo è limitato, tanto più un manovale con poco mestiere, l’uomo non è libero alla nascita da questo punto di vista, la libertà è solo condivisa. Democratica.
David Estlund, Democratic Authority, Princeton University Press, pp. 312 $ 35

domenica 1 settembre 2019

L'evasione calcistica

La serie A diventa la prima scelta dei Grandi Campioni, da Ronaldo a Lukaku, per motivi fiscali: possono liquidare annualmente le tasse sui loro investimenti, mobili e immobili, con 100 mila euro. È l’effetto principale della legge voluta da Renzi a fine 2016, per attrarre in Italia i Grandi Capitalisti. Sono venuti solo i calciatori, con interessi peraltro fuori d’Italia.
Si può arguire che così il fisco incassa 100 mila euro per ogni ricco residente che altrimenti non incasserebbe. Ma il residente non calciatore, e magari faticatore, imprenditore o esecutore, potrebbe obiettare. Anche perché l’imposta sul reddito percepito in Italia (l’ingaggio) è stata ridotta a giugno dal decreto Crescita del governo ora defunto al 24 per cento - facendo “della serie A il campionato fiscalmente più favorevole al mondo”, come spiega Marco Bellinazzo sul “Sole 24 Ore” (meglio, peggio, fa solo la Russia, col 13 per cento, che però  non paga ingaggi plurimilionari).
Si argomenta anche che il decreto Cresciota favorisce le società di calcio, che a loro volta sono quelle che alimentano tutto lo sport italiano, per almeno due terzi delle spese. Anzi, favorisce solo le società, che garantiscono gli ingaggi al netto: sono le società che risparmiano con l’aliquota al 24 per cento.
Sì, però così le società sono indotte a garantire ingaggi stratosferici. Che inevitabilmente si ripercuotono sul momte ingaggi, delle  squadre nel complesso, compresi i medi e piccoli campioni. E comunque stiamo parlando di un mondo fra i più ricchi in Italia. Gli sportivi professionisti - atleti e tecnici – sono all’Inps 7.449. La maggior parte del calcio: 3.790 atleti e 3.070 tecnici. Di cui 368 con un imponibile ai fini previdenziali di oltre 700 mila euro l’anno (55 di essi tecnici), 905 nella fascia fra 100 e 700 mila euro,  circa 4 mila nella fascia 50-100 mila euro.

Recessione (81)


Pil a zero, produzione in calo, disoccupazione in aumento nel secondo trimestre.
Le attese degli operatori sono per un pil in calo nel terzo trimestre, rispetto al piatto secondo trimestre.

In Germania la fiducia degli operatori è al minimo storico del dopoguerra. L’economia si avvia a registrare una contrazione anche nel terzo trimestre, dopo quella del secondo – portando il paese in “recessione tecnica” (due trimestri di seguito)

Tredicimila posto di insegnamento sono sguarniti al Nord, per matematica, italiano e sostegno. La retribuzione non copre le spese di trasferimento di insegnanti disoccupati del Sud.

L’Europa resta l’unica, fra le grandi aree economiche, in rapporto cioè a Stati Uniti, Cina, Giappone, nelle sabbie mobili della crisi, a dodici anni dal crac del 2007.

La percentuale degli investimenti europei delocalizzati, in altri paesi europei o in Asia e America Latina, supera gli investimenti nazionali, delle nazioni di cui i capitali investiti si vestono.


Il popolo vota, non guida dal sedile posteriore

L’effetto Brexit è micidiale, per ora, sulla democrazia. Sulla teoria della democrazia: la pubblicistica anglosassone ha scoperto con orrore che i referendum popolari, ben operanti ed eversivi da molti anni in Francia, dal 1958, in Italia dal 1974, e altrove nel mondo, e che l’opinione pubblica è una brutta bestia.
In Inghilterra soprattutto, si moltiplicano gli studi sul “mito” della democrazia popolare e della “volontà del popolo”. In America lo scandalo Brexit è stato sopravanzato, se possibile, dall’effetto Trump, posteriore. Ma benché partiti dopo, anche gli scienziati politici americani rivedono i limiti della democrazia. Con meno ansia degli inglesi, a quello che si legge, forse perché l’assetto istituzionale americano è democrazia pura, senza Lord e senza Corona, e forte – e comunque l’America, che il populismo ha inventato, nel primo Ottocento, e con più forza ha alimentato, non può far finta di nulla.
Caleb Crain, che è americano ma non cattedratico, è anche più cauto. Romanziere premiato, del genere, gay, è anche autore di saggi sull’America, le istituzioni e i modi di essere. Questo “caso contro la democrazia è il disinnesco del caso stesso. “Circa un terzo degli elettori americani pensa che lo slogan marxista «da ognuno secondo le sue capacità , a ognuno secondo i suoi bisogni» appare nella Costituzione” è l’esordio: “Più o meno la stessa percentuale è incapace di nominare anche una sola delle tre branche del governo costituzionale. Meno di un quarto conosce il nome dei suoi senatori, e solo la metà sa che ogni stato ne ha due”. Ma l’ignoranza non diminuisce la democrazia.
Il problema non è nuovo, Crain spiega paziente ai suoi sofisticati lettori, quelli del “New Yorker” – come dire che l’ignoranza è infinita: “La democrazia è gli altri, e l’ignoranza dei molti ha da tempo irritato i pochi, specialmente i pochi che si considerano intellettuali”. A partire da Platone, dalla “Repubblica” e anche prima, fino a J.S.Mill: una quadro della “democrazia rappresentativa”. Che Schumpeter un secolo dopo Mill vedeva limitata giustamente al voto, il controllo diretto dei rappresentanti eletti tra un voto e un altro considerando nocivo, alla legislazione e alla democrazia stessa, agli interessi “popolari”. Tra una consultazione e l’altra l’elettore deve evitare, consigliava, “la guida politica dal sedile posteriore”. L’effetto sarebbe deleterio, e ognuno ne vede i risultati con i sondaggi in continuo.
Troppa democrazia rende ineffettuale la democrazia. Ma questo non riguarda la consultazione popolare, voto politico o referendum. Questo è l’esito della parlamentarizzazione dell’opinione pubblica, ignorante e ondivaga quale è. Attraverso i sondaggi, e ora i social.
C’è una aloofness della sociologia anglosassone, compresa la sociologia politica, tutta basata, forse per un fatto linguistico, sulle esperienze anglosassoni, anzi solo inglesi e americane. Il Resto del Mondo non conta. Il problema è che il Resto del Mondo non pensa se il mondo anglosassone non pensa. E poi pensa a rimorchio, dei problemi cioè specifici alla Gran Bretagna, anzi all’Inghilterra, e agli Stati Uniti. Per di più come se fossero un’apocalisse, Brexit o Trump.
Il popolo ignorante è comunque tra noi e con noi. Decide anche per conto nostro, e comunque noi ce ne serviamo molto. Forse, se provassimo a istruirlo invece che a disprezzarlo, la sana alterigia intellettuale sarebbe anche democratica.  
Caleb Crain, The Case against Democracy, “The New Yorker” 7 novembre 2016, free online