A. I. – Cinquant’anni dopo Kubrik, “2001, Odissea nello spazio”, siamo a
Hal, all’uomo che vuole dialogare col computer. Ma ne siamo ancora lontani.
La vita risentiamo già regolata
dall’algoritmo. Buono (servizievole) e cattivo ( imposto) già oggi. Google è un
aiuto incredibile, straordinario, il navigatore-ricercatore. La medicina è
migliorata molto, la chirurgia e la diagnostica. La banca è sveltita. E il commercio
è moltiplicato – se è un bene, anche perché complica i modi di vita, e in vari
modi li rincara. Ma allo stesso tempo l’algoritmo impone, sotto forma di aiuto,
suggerimenti e proposte invadenti e faticose. Costose nella costante
promozione, o creazione di desideri e bisogni. Senza contare la registrazione
che si fa dei più vaghi impulsi o curiosità. Oltre che dei movimenti, anche i
più casuali, di ognuno. L’onnipresenza, la sorveglianza.
L’Intelligenza Artificiale
ha creato il Grande Occhio e il Grande Fratello, fuori dalla fantascienza.
Senza liberarci dalla coscienza, sia pure essa cosiddetta.
Autenticità – È il concetto – parola, senso – sonoro
meno autentificabile: definibile, accertabile, oggettivabile. È anzi parola e
concetto autenticamente (essenzialmente) indefinibile – “contrada pur ancora e
comunque ignota” dice lo stesso Heidegger, che ne fa uso a ogni pagina e anzi a ogni riga. Relativo a che cosa, consistente in
che, misurabile come?
È la parola e il concetto
chiave, ricorrente, comune alle due, o tre, epoche del suo pensiero, di
Heidegger: Heidegger o dell’autenticità. Che perciò è vago – poetico – anche
quando è polemico, vuole essere cattivo. E scende o si confonde col comune, col
villaggio, con la montagna, con la politica, con la politica universitaria, con
le amanti, o il matrimonio aperto. È una ricerca che si può fare, un valore di
cui ergersi difensori, da traditori, fedifraghi, e nazionalisti persecutori?
Autentico è, può essere, anche il tradimento e l’odio.
Erotica – In
Italia è genere di donne. Un catalogo del sottogenere, in vendita outlet o
remainders, elenca solo autrici: Cao, Mazzuccato, Lojodice, Morsi,
Notarbartolo, Pavani, Rocca, Rizzi, Ferraris, Rigamonti, Scanavini, Melissa P.,
Una Chi, una buona dozzina. È fantasia femminile e non più maschile. Non ci
sarà più un erotismo per gli uomini?
Presente – Lamenta lo scrittore Scurati sul “Corriere della sera” “l’infecondità” della sua generazione, di quaranta-cinquantenni, la Generazione X, oggi “padri senza figli”: “Abbiamo vissuto solo nel presente”. Cioè non abbiamo vissuto: la smania di vivere il momento è il niente. Lo scrittore trova dei colpevoli: “Siamo cresciuti tra il nichilismo punk anni 70 e quello neo liberista anni 80”. Che però hanno prosperato, magari sotto altre maschere, e prosperano. L’infecondità è legata all’attimo: al cogli l’attimo, la filosofia del “doman non c’è certezza”. Senza futuro non c’è presente, e senza passato - il presente è transeunte, è già dopo, con molto prima.
Sorveglianza – Siamo definitivamente nella “età della sorveglianza”, o del controllo, occhiuto, invasive, penetrante, costante. La dizione è già nel linguaggio comune americano, avendo rapidamente soppiantato quella di “età dell’Ict” o “dell’informazione”.
Presente – Lamenta lo scrittore Scurati sul “Corriere della sera” “l’infecondità” della sua generazione, di quaranta-cinquantenni, la Generazione X, oggi “padri senza figli”: “Abbiamo vissuto solo nel presente”. Cioè non abbiamo vissuto: la smania di vivere il momento è il niente. Lo scrittore trova dei colpevoli: “Siamo cresciuti tra il nichilismo punk anni 70 e quello neo liberista anni 80”. Che però hanno prosperato, magari sotto altre maschere, e prosperano. L’infecondità è legata all’attimo: al cogli l’attimo, la filosofia del “doman non c’è certezza”. Senza futuro non c’è presente, e senza passato - il presente è transeunte, è già dopo, con molto prima.
Sorveglianza – Siamo definitivamente nella “età della sorveglianza”, o del controllo, occhiuto, invasive, penetrante, costante. La dizione è già nel linguaggio comune americano, avendo rapidamente soppiantato quella di “età dell’Ict” o “dell’informazione”.
È oggi e non nel
Sette-Ottocento di Foucault la “vera società” della sorveglianza. Non della
sorveglianza come atto punitivo, ma come atto comune, corrente, commerciale, “naturale”.
Questo esito è meno curioso
di come appare. Si è già teorizzato, è l’evidenza, un “capitalismo della
sorveglianza”. Etichetta di Shoshana Zuboff, la maggiore esperta di psicologia
sociale, emerita a Harvard. Come la mente (l’amicizia, la parentela, gli
interessi culturali, gli hobbies, il lavoro e il tempo libero, l’occupazione e
lo svago, gli affetti e le passioni) è sfruttata per carpire dati. Un
procedimento che a sua volta reagisce sulla mente, condizionandola, cambiandola,
anche rapidamente, anche radicalmnete. Un’architettura globale di sorveglianza.
Non poliziesca, commerciale. Ma tale da indurre poi i comportamenti, in automatico
o quasi, invece che sanzionarli. Ubiqua, altra novità, continuativa, senza
soste. E invasive, senza eccezioni o riguardi.
Deleuze lo antivedeva, che
nel 1990, quindici anni dopo Foucault, “Sorvegliare e punire”, teorizzava in un
prossimo future, a seguire sulla “società dei consumi” e la “società
dell’informazione”, quella del controllo. “Poscritto sulle società di
controllo”, pubblicato prima in “L’autre Journal”, poi in “Pourparler”, 1990. Ma
siamo con lui ancora nei luoghi tipici del controllo, foucaultiani: famiglia,
fabbrica, scuola, caserma, carcere. Il capitalismo della sorveglianza è
diverso: è un investimento, in un bene o merce. Un terreno di confronto-scontro:
a chi sorveglia meglio. Una sfida anche, come le vogliono i teorici del capitalismo.
A chi sorveglia meglio, con più competenza: invasività nel caso, più sottile,
più coinvolgente. Quella sulle “amicizie”, personali, politiche, è la più
sopraffina. Per ora. Quella sugli interessi anche, culturali, professionali, di
semplice curiosità. Quella sulle frequentazioni, sia pure casuali, pure, da
rabbrividire.
Varietà
– Si viaggia spesso, e si
cambia bar, ristorante, gelateria. Ma si prende sempre lo stesso caffè, anche
se non si vuole, o non si vorrebbe. Si fuma sempre la stessa marca di
sigarette. Si ordinano sempre gli stessi gusti di gelato. E dei tanti viaggi si
ricorda sempre meno: sono una pausa. Soprattutto non si rivedono le foto e i selfie
che incontinenti si sono fatti. Siamo più abitudinari o più variabili, curiosi,
sperimentatori? Più stabili o più instabili. Stanzialità, nomadismo. Lo stesso
come coerenza, costanza, fedeltà, monogamia, o i loro opposti. Sono polarità.
Ma l’uno meritevole, o pieno di grazia, e l’altro no? O modi di essere,
transeunti?
zeulig@antiit.eu