Il teatro italiano non esiste, argomenta
Montale in “Auto da fé”, 322: “Il pubblico sa che l’ultimo nostro grande poeta di teatro fu Goldoni, che
non era poi un Molière”. Cita D’Annunzio, ma non Pirandello. E quando lo recupera,
a p. 326, è per deriderlo – anche se, dice per inciso, “personalmente lo
ritengo migliore dei vari Ionesco e Beckett”.
Un caso di misoneismo? Montale non ne
era affetto, anzi.
Chiara Condò, che a Tropea tiene aperta
eroica una libreria, “Il pensiero meridiano”, sentita dal “Robinson” di “la
Repubblica” su una richiesta assurda ricevuta in negozio, dice: “Vendete
profumi? Li cerco al muschio bianco, però…”…”..Che non è vero - salvo cecità
(ma i non vedenti non capiscono dagli odori, dai rumori?). Ma, certo, vendere
libri al Sud richiede fantasia – bisogna farsi coraggio.
La
natura vuole ingegno
A cavaliere del 1960 su “La Nazione” di
Firenze di Alfio Russo, direttore in procinto di passare al “Corriere della
sera”, il commentatore economico, un illustre accademico, sanciva a giorni
alterni la derelizione delle colture
toscane, perché il poggio dilava con le piogge, s’impoverisce di humus,
inaridisce. Inoltre, non è coltivabile con le tecniche meccaniche.
Negli stessi anni, primi 1960, le “crete
senesi” non avevano prezzo. Sulla stessa “Nazione” si vendeva – si vendevano
tra i “piccoli annunci”, come un qualsiasi oggetto di scarso valore – le “crete senesi” a poche lire il mq. Il ricordo è che un ettaro
di uliveto nella Piana di Gioia Tauro comprava cento ettari di “crete senesi”.
Poi il poggi toscano è stato valorizzato,
con le colture a terrazze circolari, con mezzi meccanici agili. E coltivati a
vigna, principalmente, con ottima esposizione, sono rinvenuti miniere. Anche le
crete senesi sono ora inavvicinabili, se non ai facoltosi. Tra terme, fitness,
serre, fiori e frutta hanno quotazioni da centro urbano.
Il 1960 è già sessant’anni fa, ma la
valorizzazione delle “crete senesi” data almeno di una trentina d’anni buona.
Il girapoggio e il vino anche di più.
Sintetizzava Gadda nel 1945 il miracolo lombardo,
dell’area probabilmente oggi più ricca d’Europa, con la perseveranza: “Sopra i fieni e i
formaggi è stata organizzata nel decorso ottantennio una sopraprovincia
industriale, e poi idroelettrica…”, negli ottanta anni dalla unità alla seconda guerra mondiale. La natura vuole ingegno.
La mafia è turca se bionda
Finalmente, dopo
una ventina d’anni di sbarchi nel crotonese, la vecchia rotta dei venti
della Magna Grecia, con partenza i primi
tempi proprio da Smirne, si ipotizza una mafia turca dell’immigrazione
clandestina. Si vedono mafie dappertutto, ma non dove ci sono. Anche se
evidenti, come nell’immigrazione.
Si scopre la
mafia turca per un caso. Una curiosità: gli scafisti da qualche tempo sono
biondi e con gli occhi azzurri. Sono ucraini. Un’ottantina sono stati
identificati, e uno ha spiegato come funziona. Si governa l’immigrazione così,
per caso, dal colore degli occhi. È un’emergenza solo per i giornali. E per i
morti certo, realtà terrificante – ma questi sono nel Canale di Sicilia.
Ma anche qui:
gli scafisti muoiono anche loro, con i poveri africani? Non si sa.
E gli africani
che indirizzano queste famiglie allo sbaraglio? Ci sono agenzie per questo, in
Nigeria, in Ghana, in Senegal.
Montale protoleghista
Tutto bene nel pamphlet di Corrado Alvaro “L’Italia
rinunzia?”, “efficacissime pagine”, dice Montale: il timore che nulla cambi
caduto il fascismo, lo sdegno per l’occasione forse già perduta dagli italiani
di “trar partito”, nella sintesi di Montale, “dalla catastrofe che li ha
colpiti per svolgere fino in fondo le premesse rivoluzionarie del nostro
risorgimento”. D’accordo anche che l’atteso “vento del Nord” si sia sgonfiato
prima ancora della liberazione. D’accordo perfino, sempre Montale che “l’Italia
non è il nord o non è tutta il nord: i suoi problemi non possono essere
perennemente demandati al giudizio e al profitto del settentrione”. Ma con una
prima botta polemica: “Perfettamente d’accordo con Alvaro: oggi che si parla
persino (in Italia!) di nordisti e sudisti, come se il nostro paese fosse un
immenso continente e in esso esistesse un mezzogiorno di negri da redimere,
nessun italiano memore della nostra civiltà vorrà definirsi nordista e mettersi
perciò sullo stesso livello spirituale dei seguaci dell’on. Finocchiaro
Aprile”, il leader del separatismo siciliano, “separatista e perciò sudista
fino alla sudiceria”.
A seguire una seconda botta: “Si ha l’impressione che Alvaro faccia
troppo carico al nord dello stato in cui si trova il nostro mezzogiorno, che
secondo lui sarebbe stato deliberatamente tenuto in condizioni coloniali per
servire da mercato alle eccedenze dei prodotti industriali del nord”.
Non posso escluderlo, concede Montale, e non posso nemmeno
rifarmi alla questione meridionale quale fu impostata da Salvenini - delle
borghesie inette del Sud – “ma voglio pregare Alvaro di dirmi a quali deleteri
influssi settentrionali è possibile ascrivere quello spirito di omertà e di
«comparizio» che rende quasi impossibile
al sud un sano sviluppo della vita politica”. Già.
È ben vero”, concede Montale, “che la Sicilia da sola
potrebbe avere un solido bilancio”, esportando gli agrumi e lo zolfo,”e che il
«continente» se n’è servito per arrotondare i suoi bilanci lasciando in quelle
condizioni che tutti sanno; ma difficilmente si potrà ascrivere a congiure
nordiste la tipica atmosfera balcanica, levantina, che si è sempre respirata a
Roma, col fascismo e senza il fascismo”. Il leghismo ha le sue ragioni.
Montale si esprimeva così sul “Mondo” di Firenze che lui
dirigeva, 1945. In recensione a Corrado Alvaro, e poi in breve in
risposta a Mario La Cava, che contestava la recensione (sulla contestazione di La Cava interveniva
anche, molto più lungamente e polemicamente, Gadda – v. “A Sud del Sud” (407)).
Montale leggeva poco e malvolentieri – ha fatto molte recensioni, ma spesso se
le faceva scrivere, da amici e ammiratori. Il pamphlet di Alvaro doveva averlo
specialmente stimolato, indignato.
La lunga contestazione di La Cava alla recensione di Montale
non è stata ripresa nella raccolta dei suoi scritti “A proposito della
questione meridionale”.
Puglia
Conte annunzia
un piano per il Sud - piano che non c’è - ai telegiornali, il giorno in cui
consente agli acquirenti dell’ex Ilva di ritirarsi legalmente, e la Svimez
certifica la recessione profonda del Sud. Impassibile, con lo stesso tono neutro
di sempre.
Un piano pianoforte? Verticale? A coda? Tanta improntitudine non sarebbe pensabile, dello scudo penale no, poi sì, poi no, poi ancora sì e ora no, che ha consentito a ArcelorMittal di abbandonare Taranto. Ma è scritto.
Dovendo razionalizzare - in economia funziona così –
Conte ha offerto ai Mittal il pretesto avvocatesco per abbandonare l’ex Ilva.
Che avevano acquisito solo perché non andasse al concorrente Jindal, altro
gruppo indiano, già presente a Piombino. Con uno stabilimento che perde cinquanta milioni al mese, in un mercato in
sovrapproduzione, Mittal voleva solo una scusa per poter recedere legalmente
dall’acquisto. L’avvocato Conte pronto gliel’ha trovata.
Vuole chiudere Taranto sopra tutti
Barbara Lezzi, una grillina che è stata ministra per il Sud e non ha combinato
niente – ha solo assunto la figlia del suo compagno.
Il pugliese è operoso, specie a Milano.
Lezzi, a parte la capigliatura, da bellezza salentina, è operosa di chiacchiere.
Un investimento di 4,5 miliardi per
Taranto, di cui 1,2 per la bonifica. Di questo Arcelor Mittal si era fatta carico.
Mentre nulla si era fato quando l’Ilva era pubblica, Italsider, di Stato. I
pugliesi che dominavano la politica della Repubblica, Moro, D’Alema, se n’erano
dimenticati.
Parla Conte parole persuasive sempre ma
inconsistenti. Che vogliono dire un’altra cosa, un sottinteso, oppure soltanto
nulla. Come Emiliano, il presidente della Regione, che non si sa cosa pensa, ma
ne vuole di più. La giostra di parole usava chiamare levantinismo, di cui Bari
si voleva il centro – ne era maestro Moro.
È certamente un caso clinico quello di
Giovanni Vincenti che invece nella natia Puglia si fa imprenditore in Piemonte, fallendo
ogni iniziativa, e fa saltare la sua cascina per intascare l’assicurazione, addebitando
l’esplosione a ignoti invidiosi, in interviste disinvolte a giornali e tv, dopo
aver provocato la morte di tre giovani pompieri. Ma la disinvoltura si lega in
lui alla loquela: il levantinismo è una condizione dell’animo?
D’Alema, altro “pugliese” illustre,
deputato di Gallipoli, è invece fattivo – il Salento, dove se ne è occupato
D’Alema, è diventato ricco e ricchissimo. Ma lui è di Roma, è stato mandato in
Puglia per punizione, quando aveva già trent’anni, il Pci usava così. Si può
dire forgiato dall’esilio.
Il Salento ha molte ricchezze, che infine,
con la spinta del romano D’Alema, ha messo in valore. Quelle naturali, ambientali. Quelle storiche
e artistiche hanno avuto un solo patrono, la lombarda Maria Corti.
Sono alcuni anni che non si sente più la
famosa Procura di Trani, a un quarto d’ora da Bari. Nel Millennio ha provato a
inquisire Berlusconi e le agenzie di rating. Ma senza impegno: serve a doppiare
le carriere.
Canale 5 intervista i tifosi interisti delusi
che hanno affrontato la trasferta nell’inospitale Dortmund. Tre sono pugliesi –
con un lucano e due calabresi.
leuzzi@antiit.eu