Dante – Non conosceva i Greci: al suo
tempo non c’era un’idea dela classicità greca, se non attraverso i latini.
“Omero”, nota Ernest Robert Curtius, “Le letteratura europea e il Medio Evo latino”, 1948, “l’illustre progenitore, era
poco più che un nome nel Medio Evo. L’Antichità medievale è l’Antichità
latina”.
Curtius
spiega anche l’origine del “viaggio”. Che non è il viaggio di Maometto,
naturalmente. “Ma il nome doveva essere fatto”, nella “bella scola” del limbo:
“Senza Omero non ci sarebbe stata l’“Eneide”: senza la discesa di Odisseo
nell’Ade niente viaggio virgiliano nell’altro mondo; senza quest’ultimo niente
“Divina Commedia””. Quello che Dante sapeva della classicità greca, poco o
molto, era attraverso il filtro degli autori romani, e attraverso le traduzioni
medievali, inaccurate, adattate o falsificate, e allegorizzate.
L’appartenenza
di Dante ai Fedeli d’Amore è “dimostrata” da Gabriele Rossetti ne “La Beatrice
di Dante”, che La Vita Felice ripropone, analisi dei messaggi esoterici della
“Divina Commedia”. Apprezzata da molti, e in particolare da Pascoli.
Rossetti
aveva avviato l’esilio londinese approntando nel 1826-7 un “Commento analitico
alla Divina Commedia” - sarà pubblicato, in sei volumi, nel 1877, ventitré anni
dopo la morte. I Fedeli d’Amore erano una setta segreta per una riforma radicale
della Chiesa, con l’abbandono del potere temporale e il ritorno alla
spiritualità – insorgenza ricorrente nella storia della chiesa.
Poeta
in carica al San Carlo negli anni napoleonici, autore di alcuni libretti d’opera,
nonché conservatore del museo archeologico di Napoli, fu in esilio a partire dal 1820. Dapprima a
Malta, nel 1824 a Londra. Professore di lingua e letteratura italiana al King’s
College.
Falsi – Perché non ci sarebbe lo
scrittore di falsi, come c’erano i falsificatori in pittura? Tommaso
Debenedetti, nipote di Giacomo, il più famoso italianista del Novecento, figlio
di Antonio, lo scrittore, ci ha provato, e ci è riuscito. Nella sua bio
wikipedia, in inglese, Tommaso Debenedetti si dice anche insegnante a Roma,
insegnante di scuola. Ora cinquantenne, ha fabbricato una decina di anni fa
interviste con Gorbaciov, il Dalai Lama, Benedetto XVI, e con scrittori in
voga, Philip Roth, Grisham, Vargas Llosa (che lo ricorda nel suo ultimo libro,
“Note sulla morte della cultura”, dicendolo “un eroe della civiltà dello
spettacolo”), Saramago, Yehoshua. Pubblicate da giornali anche importanti,
della catena Riffeser.
Ha pure aperto falsi account twitter di
personaggi famosi, per diffondere bufale e cattiverie, riprese da giornali anche
importanti. “Guardian”, “New York Times”. Su wikipedia spiega che lo ha fatto
“per mostrare quanto è facile ingannare la stampa nell’età dei social media.
Tommaso Debenedetti si è esercitato di fatto in pastiches, imitazioni, genere nel quale Proust, che molto se ne dilettò, eccelleva.
I falsi in letteratura e nelle storie sono diffusi, dai Vangeli a Ossian, con gli artifici ricorrenti dei documenti ritrovati (Manzoni, la Donazione di Costantino...), e dei viaggi-scoperte (da Erodoto in poi), ma sono creazioni, artifici narrativi. Non opere falsate, plagi.
Tommaso Debenedetti si è esercitato di fatto in pastiches, imitazioni, genere nel quale Proust, che molto se ne dilettò, eccelleva.
I falsi in letteratura e nelle storie sono diffusi, dai Vangeli a Ossian, con gli artifici ricorrenti dei documenti ritrovati (Manzoni, la Donazione di Costantino...), e dei viaggi-scoperte (da Erodoto in poi), ma sono creazioni, artifici narrativi. Non opere falsate, plagi.
Gimpel - È il Giufà ebraico. No propriamente, c’è già uno Djha nel’ebraismo
sefardita: è il Giufà dell’ebraismo askenazita. Completa la figura del
“Candido” delle grandi tribù mediterranee: Gimpel va aggiunto ai repertori già
compilati, da studiosi e curiosi, del carattere nelle varie lingue e nazioni mediterranee,
il personaggio sciocco e intelligente: accanto al Giufà nordafricano, al Karayozi
greco, al Karaguz dei turchi jonici, Nasreddin
Hoca nell’originale sufi, in quello che si ritiene l’originale,Guha in Egitto,
Djoha nell’ebraismo sefardita, Djuha nel Maghreb, Giucà a Trapani, Giucca in
Toscana. Giufà è la moneta comune in quanto
personaggio ubiquo in ogni angolo del Mediterraneo. Con nomi anche simili,
oltre che con aneddoti comuni. Il prototipo è uno Giuha. Che diventa Djeha in Algeria e in Marocco, Goha in
Egitto, Jodja (Nasreddine Hodja) in Turchia, Giufà in Sicilia e Calabria, anche
Iugale, Giaffah in Sardegna, Gihane a Malta, Giucca in Toscana, Giucà in
Albania.
Gimpel è quello yiddisch dei racconti di Singer –
con cui Isaac Bashevis Singer, ebreo polacco da quasi vent’anni immigrato negli
Usa, esordì nel 1953 a 51 anni in inglese (tradotto da Saul Bellow), su una
grande rivista americana, la “Partisan Review”, col famoso incipit: “Sono
Gimpel l’idiota. Non che io mi senta un idiota. Anzi. Ma è così che mi chiama
la gente”.
Holodomor –
O la “morte per fame”: è una “celebrazione” al rovescio, con un luogo, oggi, il 23 novembre, dell’identità
ucraina, che i governi di Kiev tentato d’imporre in funzione antirussa. E
s’intende un genocidio degli ucraini in massa, nel 1932-33, come effetto della
carestia seguita alla nazionalizzazione delle terre. Si ridiscute, in chiave
nazionalista ucraina antirussa, l’ipotesi che la grande carestia sofferta in
Ucraina, il paese del grano, per effetto della collettivizzazione forzata nel
1933, non sia stata voluta da Stalin, per punire gli ucraini, che nella
guerra civile avevano parteggiato più
spesso per i Bianchi.
In questo senso
si era pronunciato a fine 1933 il poeta Mandel’stam, pur convinto bolscevico,
in un “Epigramma di Stalin” subito famoso: Stalin “il montanaro del Cremlino”,
“le cui tozze dita come vermi sono grasse” – da qui la persecuzione, che cinque
ani dopo portò il poeta alla morte in un gulag
presso Vladivostok.
Opinione pubblica – “Qualcosa di più forte
della verità, l’opinione pubblica”, R. Polanski.
Pinocchio – Conosciuto in tutto il
mondo eccetto che in Russia? Dove non è stato tradotto ma adattato, negli anni
1930, da Alekej Nikolaevič Tolstoj, lo scrittore sovietico lontano parente
dell’autore di “Guerra e pace”. Chiamato Burattino, è l’esatto opposto di
Pinocchio: un ragazzino “positivo”, in lotta contro il padrone del teatro dei
burattini, Carabas Barabas – la storia finisce con l’esproprio del teatro da
parte dei burattini di legno.
Sul Pinocchio vero, in compenso, è corsa
a lungo sulla rete in Russia dal 2003-2004, e tuttora circola, la favola che un gruppo di archeologi americani,
di Boston, scavando a San Miniato al Monte la tomba di un certo Pinocchio Sanchez,
vicino alla cripta di Carlo Collodi, hanno rinvenuto i resti di un Pinocchio:
una gamba e il naso di legno di un nano – protesi che avevano sostituito gli
arti perduti dal nano in guerra al fronte.
Rivoluzione francese – Lasciò i Carbonari,
e un po’ di massoneria, ma fu risentita
si comportò come orza d’occupazione e rapina: i soldati di Napoleone e
dei suoi ufficiali todos caballeros –
tutti generali e duchi, come poi nell’Italia dei telefoni bianchi, quando le
mantenute erano contesse – erano abilitati al bottino, i nobilastri loro
comandanti pure, e la “Rivoluzione” stessa si portava a casa tutto il trasportabile,
e anche di più. Alla mostra romana di Canova si espone distrattamente una delle
cose che si tacciono, a proposito dell’incarico che Canova ebbe, caduto Napoleone,
di negoziare a Parigi, con le sue amicizie, qualche restituzione. Una litografia,
una scena riprodotta quindi in molti esemplari, offerta al Consiglio rivoluzionario
il 21 Floreale del’anno V della Repubblica da due privati cittadini (due
funzionari addetti ai trafugamenti?), è intitolata dagli stessi: “Terzo
convoglio di Statue e Monumenti” da Roma “per il Museo nazionale di Parigi”. Vi
sono rappresentati quattordici carri stipati al massimo, grazie a legature
robuste, trainati da cinque e sei pariglie di buoi.
Russia – Si direbbe che con la
libertà ha perduto il genio. La Russia degli zar e quella sovietica abbondavano
di poeti, fino a Brodskij e Evtushenko, musicisti, sia compositori che
esecutori, narratori, anche non emigrati, compreso qualche pittore, poi più
niente.
Stupro per omonimia – Emanuelle Seigner,
nell’ultimo film di Polanski, “L’ufficiale e la spia” (“J’accuse” il titolo originale,
come quello del pamphlet di Zola
contro gli accusatori di Dreyfus – il film racconta il caso), premio della
giuria a Venezia, amante dell’eroe, il capitano Picquart dei servizi segreti, si
chiama nel ruolo Pauline Monnier. Pronta all’uscita del film l’ex modella e attrice
Valentine Monnier, oggi 63 anni, si è ricordata che nel 1975 Polanski l’ha stuprata.
Veganismo – Si può dire anticipato di un secolo
da Michelet, “Il mare”, al cap. VIII del libro II, a proposito degli aliotidi,
“meravigliosa conchiglia”, e di altri crostacei: “Poveri erbivori, della più
sobria alimentazione – refutazione vivente di quelli che credono oggi la bellezza figlia della morte, del sangue,
dell’assassinio, di una brutale accumulazione di sostanza”.
letterautore@antiit.eu