Barba – È segno
di libertà, secondo la “Storia della barba”, alla voce “Barba”. Che la vuole
anche in correlazione con la conoscenza: più barba più saggezza. Fu decorazione consueta tra gli
ecclesiastici, papi compresi, ai tempi dell’esilio avignonese per la perduta
libertà. Successivamente proscritta da Adriano V, in obbedienza al
diritto canonico, barbis rasis per i
preti, fu ripresa in segno di
lutto nel secolo che seguì al sacco di Roma. In Oriente è sempre stata
il segno della distinzione maschile e della saggezza.
II rigido papa Fieschi sarà contraddetto a fine Cinquecento
dal cardinale Cesare Baronio, cresciuto dal 1557 all’ombra di Filippo Neri, che
aveva adottato anche lui la barba in segno di lutto, nell’Oratorio. Richiesto di una consulenza da
Carlo Borromeo, Baronio stabilisce nel “De Clericorum Barbis”, sull’autorità di
Ezechiele (“Sacerdotes caput suum non
radunt”) c di una lunga serie di Padri, ai quali l’onore del mento
conferiva un aspetto venerabile, che la barba è un segno di virilità, che
distingue l’uomo dalla donna, e che “la barba è segno di buona salute”.
Infatti, spiega il cardinale, “come l'albero senza fronde, la faccia abrasa
appare deforme”.
Più vicino a Baronio e a Filippo Neri viene l’imperatore Giuliano,
autore di un “Misopogone, o il nemico della barba”, da intendere come barbosità, poiché l’apostata,
glabro in carriera in obbedienza alla tradizione (l’uso romano non voleva la
barba), si rifece pelosissimo appena incoronato — un rapporto rafforzato dal
comune spirito ecumenico e dall’insofferenza per l’immagine pubblica e per la
porpora.
La barba è vecchia materia di discordia. A un certo punto la
barba ritornò rivoluzionaria anche fuori delle chiese. Per Marx il suo avvento
segna la fine della borghesia: “La rivolta degli uomini moderni con la barba
sta minando le basi su cui la borghesia focalizza la sua attenzione. La sua
caduta e la vittoria della barba sono ugualmente inevitabili”.
Poi la borghesia ha vinto, ma
imbarbarendosi. Mentre Marx il 28 aprile 1882 ad Algeri, dov’era in vacanza per
risollevarsi dalla morte della moglie, è andato dal barbiere e si è fatto
tagliare la barba. I ruoli della barba si sono invertiti?.
Bérillon – Coevo,
tra Otto e Novecento, del criminologo quasi omologo, se non per una consonante,
fu uno psichiatra francese, famoso per praticare l’ipnosi. E per avere
individuato nella Grande
Guerra la bromidrosi fetida, e la polichesia della “razza tedesca”. La
polichesia è la quantità di cacca che si produce. Quella dei tedeschi Bérillon
attestava abnorme: “I francesi si rendono conto di essere in territorio tedesco
dalla dimensione degli stronzi”.
Aveva dei
precedenti, sul vino puro, bevuto in moderate quantità: “L’uso moderato del
vino naturale nuoce alla salute, se uno è artritico, degenerato, o sedentario.
L’uso del vino puro esercita un’azione particolarmente dannosa sul carattere
delle donne. Le rende irritabili e bisbetiche. È qui il punto di partenza di
buon numero dei problemi nei matrimoni. C’è di certo una relazione tra l’uso
del vino puro e molti dei dissensi coniugali che portano al divorzio”. Sfuggì
forse in quanto astemio alla deportazione durante l’occupazione tedesca nella
seconda guerra, e morirà a novant’anni nel 1848.
Bertillon – Ricorre nel film di Polanski sul
caso Dreyfus, “L’ufficiale e la spia”, come l’esperto grafologo che avalla come
autentiche, di mano di Dreyfus, le false scritture che vengono sottoposte alla
sua perizia. E quando le scritture risultano di un altro ufficiale, non si
rassegna: “Si vede che gli ebrei hanno imparato a copiare la grafia” dell’ufficiale
spia.
La sua fu
la “prova”, artatamente falsificata, del processo. Polanski ne fa una
macchietta. Di fatto era un personaggio importante della criminologia
all’epoca. Con una lunga esperienza alla questura di Parigi. E da una ventina
d’anni prima del caso, dai primi anni 1870, creatore del primo laboratorio di
analisi criminale, inventore delle foto segnaletiche, da allora utilizzate per
la catalogazione dei criminali condannati, e dell’antropometro, un sistema di
riconoscimento biometrico fondato su 14 misurazioni. Si sbagliò sul Dreyfus per
professo e mai disconosciuto antisemitismo.
Alphonse
Bertillon era figlio di uno statistico famoso e fratello minore di un demografo
altrettanto famoso, Jacques, il precursore dello standard di classificazione
delle malattie Icd (International Classification of Disease”), con un sistema,
pubblicato nel 1893, denominato “Classificazione delle cause di morte
Bertillon”. Al padre Louis-Alphonse, antropologo amico di Michelet, e poi
demografo, risaliva una prima nomenclatura delle cause del tasso di mortalità.
Nonno
materno di Alphonse e Jacques, i due fratelli, padre della madre Zoé, era
Achille Guillard, al quale si fa ascendere la parola demografia e la relativa
disciplina, o ambito di studi.
Biki – La stilista di cui si celebrano i
vent’anni della morte è nome d’arte di Elvira Bouyeure (sposata B.)
Leonardi, figlia cioè di una sorella dei Crespi del “Corriere della sera”,
industriali tessili. Quindi cugina di Giulia Maria Crespi, che negli anni
Sessanta già gestiva il giornale. In qualità di vedova del conte Marco
Paravicini, una bella figura di socialista, ex giovane della Resistenza,
sposato nel 1953, morto in un incidente d’auto nel 1957, apprezzato al giornale
per le sue qualità umane, più che da azionista. Nel 1961 Giulia Maria aveva
bocciato la candidatura di Spadolini, direttore del “Resto del Carlino”,
designato da Missiroli a succedergli alla direzione del “Corriere della sera”
(Missiroli aveva voluto Spadolini praticante giornalista al “Messaggero” nel
1947, e ne 1953 lo aveva chiamato al “Corriere della sera” come editorialista).
Nel 1968 invece chiamò Spadolini, per la mediazione del bel Giovanni Sartori,
amico di famiglia del marito defunto.
Nel 1972 Biki entra nella storia del “Corriere della sera”
vendendo la sua quota a Angelo Moratti, che si portava compratore per conto
dell’Eni - del presidente dell’Eni Girotti, che voleva far contare la quota
dell’Eni stesso in Montedison.
Nel 1961 Biki si era fatta nominare commendatore della
Repubblica. Fu alla sua festa per la commenda che Missiroli apprese che Giulia
Maria lo aveva liquidato.
Scisma d’Oriente – La divisione della chiesa dopo la
separazione di Bisanzio fu più volte per essere superata, ma sempre fu impedita
da questo o quell’interesse particolare. L’occasione migliore per superarla fu la possibilità che un
orientale diventasse papa, molto concreta nel Quattrocento con Bessarione.
Glielo impedì la barba, secondo una tradizione aneddotica: i cardinali in
conclave non la gradivano. Ma più concretamente la Francia, che non voleva
dismettere il peso preponderante che aveva, anche dopo Avignone, sulla chiesa
di Roma, e giunse con ogni
verosimiglianza ad avvelenare il possibile papa orientale.
Nel conclave di Callisto III, nel 1455, l’elezione di
Bessarione fu bloccata da Alain de Coëtivy, cardinale d’Avignone. Nel 1472,
narra Benedetto Orsini, vescovo di Alessio in Albania, nella “Verità
essaminata”, “permise Iddio che il detto cardinale finisse in breve tempo la
sua vita, con grandissimi dolori colici, e tutti l’altri suoi seguaci finirono
con poca loro riputazione l’un dopo l’altro”: reduce da un’ambasceria al re di
Francia Luigi XI, “s’ammalò in Torino, “con sospetto di veleno”, e a Ravenna
morì. Lo stesso giorno e degli stessi sintomi del podestà veneziano di cui era
l’ospite, Antonio Dandolo – che era sbarbato.
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