“Tulipani – Amore, onore e una
bicicletta”, del regista olandese Mike Van Diem, premio Oscar 1998, è una
commediola fiabesca su un olandese trapiantato in Puglia dopo la guerra, che
finisce ubriacone ma la spunta con i tulipani: la sua piccola fattoria si riempie
all’improvviso di tulipani. La cosa non piace, al capoccione locale, ai mietitori,
agli altri contadini, ma lui tira dritto e alla Bud Spencer li rimette a posto: il capoccione finisce sbeffeggiato eremita - anche se con una coltellata a tradimento
ha ragione dell’olandese. Il ridicolo non ha ucciso nessuno? Come no. Se al Sud
la gente si abituasse a farsi giustizia dei soprusi.
Nella
graduatoria dei paesi che più dedicano tempo, ogni giorno, ai social vengono
prime le Filippine, con quattro ore a testa, la Nigeria, con tre ore e mezza, e
il Messico, con tre ore e un quarto – in Italia l’uso medio dei social sarebbe
di un’ora e tre quarti. Sono statistiche inverosimili – quattro ore sono tante.
Ma indicative. Della natura del sottosviluppo – i primi tre paesi dei social
appartengono a quello che si chiamava il Terzo mondo, l’area del sottosviluppo,
e tuttora hanno problemi di connessione elettrica. Che è anche di risorse
economiche (materie prime, infrastrutture, istruzione, credito), ma soprattutto
è psicologica e mentale. Per accumulare bisogna avere, ma avere è soprattutto
opera d’ingegno.
Immortale ‘ndrangheta
Forse per
magnificare la retata ordinata dal giudice di Catanzaro Gratteri, i comunicati
parlano di arresti in tutta Italia e all’estero. Mentre i 334 arrestati
risultano tutti di Vibo e provincia, più una dozzina di Cinquefrondi ma con
attività a Vibo, uno di Alessandria, e uno o due di Roma. Ma non si magnifica
piuttosto la ‘ndrangheta, diventata grande piovra , furbissima, accortissima,
intrallazzatissima, al comando in Olanda come in Bulgaria?
Lo stesso con i
filmati che vengono offerti ai media. Per la retata del giudice Gratteri i
Carabinieri hanno riproposto il vecchio filmato di Polsi, che definiscono il
cuore della ‘ndrangheta, mentre è un luogo di culto - probabilmente il più
longevo di Europa.
Si dice la retata fatta
di “politici, avvocati, commercialisti, funzionari dello Stato, massoni”. Ma un buon terzo, forse la metà, dei 334
carcerati in un colpo solo dal giudice Gratteri in Calabria è identificato col
nomignolo. Segno che tanto moderna e avveniristica la ‘ndrangheta non
dev’essere. Trenta-quarantenni identificati col nomignolo sono in Calabria di
un certo ceto, non propriamente branché.
Una cosca di 334 persone è in guerra un
battaglione e modernamente un reggimento. Tutti concentrati a Vibo Valentia e
dintorni. E non sono i soli: arresti di calabresi si fanno a dozzine ogni
giorno, in Calabria e altrove. Specie in questa stagione di nomine aperte al
Csm nelle grandi Procure. Possibile che gli ‘ndranghetisti siano così tanti?
Perché stando in Calabria se ne avverte la presenza malgrado gli arresti.
Non è che si arrestano le persone
sbagliate, magari su confidenza degli ‘ndranghetisti veri? Una precedente
retata del giudice Gratteri e dei Carabinieri, un legione di mille militari, a
Platì nel 2003, con 112 arresti, compresi il sindaco e il pazzo del paese, si è
conclusa con 109 assoluzioni.
E comunque il problema resta di Salvini.
Che è senatore della Calabria, con 59 mila voti. È vero che la Calabria è la
regione dove Salvini ha preso meno voti – appunto 59 mila. Ma ci sono 59 mila
calabresi non ‘ndranghetisti o non collusi?
Il
Sud non ha testa
Niente più dopo i “notabili”. Nessuna
novità dopo Salvemini. Un secolo abbondante cioè: il Sud è fermo a prima della
prima Guerra. È da allora che non ha una borghesia, per quanto compradora, asservita. O come si dice
oggi, con rinnovato linguaggio elitario, non ha classe dirigente. Non ha testa,
si dice in dialetto calabrese.
Ne ha, anche buoni amministratori e
qualche politico, e molta imprenditoria, ma piuttosto disperata, senza
infrastrutture, e comunque non abbastanza per competere. È per questo che va
indietro? È la causa più probabile: le società meridionali in larghe parti, in
Campania, in Calabria, in Sicilia, sono destrutturate. Un’inesistenza che
compensano con un assurdo anarchismo in forma di democrazia, che
inevitabilmente finisce nell’imbuto della mala economia. Dell’assistenzialismo,
quando non della corruzione, o della violenza.
“Il divario tra Nord e Sud è troppo
ampio e la qualità nelle scuole troppo variabile. Lo dico con sofferenza, da
mezzo calabrese di origine e da mezzo italiano all’estero”, lamenta Vittorio
Colao, il manager italiano di successo più internazionalizzato, con Ferruccio de Bortoli su “7 Corriere della sera” – rammaricato
(“Vorrei sbagliarmi però”). Lo dice per dire, è impensabile un Colao nato al
Sud – lui è nato a Brescia e ha studiato a Milano? No, tanti nati al Sud sono
altrettanto vispi e intraprendenti. Il problema è quello che lui dice: la
scarsa qualità.
Che non è etnica, naturalmente, Colao
testimone. E non è culturale, ci sono buone scuole anche al Sud. Nemmeno
determinata dall’emigrazione: l’emigrazione c’è sempre stata, al Sud come al
Nord, dal Veneto alla Padania e alla Liguria, senza impoverire le aree di
origine. La scomparsa della classe dirigente meridionale, in una col
meridionalismo, l’attenzione meridionale al meridione,
viene con la scomparsa di chi le aveva meglio
onorate: Moro, Mancini, Colombo, e la Cassa per il Mezzogiorno. Dal picco, anni
1970, il salto è al nulla, senza progressività. La generazione di grandi
politici si estingue, si abolisce la Cassa e ogni legge speciale, si abolisce
l’Iri e ogni altra impresa pubblica, i fallimenti al Sud si moltiplicano, nella
sanità, nell’amministrazione, nella banca – falliscono tutte le banche meridionali, Sicilia, Napoli, di risparmio,
popolari.
O forse no, politici e intellettuali di razza non sono più emersi al Sud,
a seguire dietro Mancini, Moro, Colombo, per l’inabissamento anteriore del
corpo sociale, databile anni 1960, quando camorra, onorata società (‘ndrangheta) e mafia uscirono
dalle fogne e si presero gli appalti, i terreni e gli affari, con bombe,
pistolettate, incendi, grassazioni, anche omicidi, nonché rapimenti di persona.
Senza essere contrastati.
I Carabinieri (si dice i CC per dire i
tutori della legge) non intervenivano a difesa della proprietà. Non è vero? Chi
ci è passato lo sa, e sono molte migliaia. Nessuno – cioè: nessuno – ha mai
avuto difeso un avviamento commerciale, un’impresa edile o di altra materia, un
campo, una fabbrica, quando è andato soggetto alla violenza. Se si è arrivati a
processare i criminali, si è dovuto “difendere” da solo in Tribunale: nessun
atto istruttorio, nessuna prova. I “Carabinieri” vanno per dirizzoni, e la
proprietà non è mai stata uno. Nemmeno quando c’erano i rapimenti di persona,
che hanno coinvolto il Nord: zero.
E non è finita, anche se ogni mattina si denunciano decine di arresti. Saranno gli arretrati – l’anno scorso sono stati arrestati un gruppo di Alvaro di Sinopoli, che da almeno sessant’anni imperversano, in nome proprio, non si negano. O è l’effetto dei dirizzoni: ora sono di turno i sindaci (gli Alvaro sono stati arrestati per arrestare un sindaco), dopo le processioni, dopo il caffè degli impiegati, dopo le pensioni fasulle, e in mancanza di altro il voto di scambio, reato vasto e intramontabile. Insomma, i tutori dell’ordine non stanno con le mani in mano. Ma se voi uscite di casa, un semisconosciuto ha bisogno urgente di 500 euro che vorrebbe da voi, voi naturalmente non avete disponibilità sul bancomat, e la mattina dopo le quattro gomme sono squarciate, o la notte la macchina ha preso fuoco, non succede nulla, assolutamente. Il controllo del territorio non prevede nemmeno un ammonimento.
E non è finita, anche se ogni mattina si denunciano decine di arresti. Saranno gli arretrati – l’anno scorso sono stati arrestati un gruppo di Alvaro di Sinopoli, che da almeno sessant’anni imperversano, in nome proprio, non si negano. O è l’effetto dei dirizzoni: ora sono di turno i sindaci (gli Alvaro sono stati arrestati per arrestare un sindaco), dopo le processioni, dopo il caffè degli impiegati, dopo le pensioni fasulle, e in mancanza di altro il voto di scambio, reato vasto e intramontabile. Insomma, i tutori dell’ordine non stanno con le mani in mano. Ma se voi uscite di casa, un semisconosciuto ha bisogno urgente di 500 euro che vorrebbe da voi, voi naturalmente non avete disponibilità sul bancomat, e la mattina dopo le quattro gomme sono squarciate, o la notte la macchina ha preso fuoco, non succede nulla, assolutamente. Il controllo del territorio non prevede nemmeno un ammonimento.
Mancano le scuole? In un certo senso
sì.
Milano
Ambrogino
d’oro ex aequo quest’anno per l’Immacolata a Borrelli, il Procuratore Capo
dello sfascio, e a Penati, il sindaco di Sesto San Giovanni, carcerato per
tangenti e “disconosciuto” dalla politica (dal Pd), prima di essere assolto.
Milano si cautela, non è ipocrisia, Milano non è ipocrita. Ha anche smesso il
collo torto.
“A
Milano la ‘Dolce Vita’ di Fellini fu fatta conoscere per la prima volta dai
gesuiti di San Fedele”, Montale, “Auto da fé”, p. 290 – “(non senza qualche
‘conseguenza’ per alcuni dei promotori)”. Era il 1960.
Capitale
sicuramente è, degli hater. Da tempo,
da prima di Bossi e la Lega. Quando usavano le targhe di provincia, e la targa
Roma veniva mutata, inevitabilmente. O contro Craxi, “figlio di un siciliano”,
benché avvocato rispettato e prefetto della Liberazione a Como – l’odio è forte ancora a vent’anni della
morte, contro i suoi figli, nei social, nelle lettere ai giornali, che le
pubblicano, il “Corriere della sera” riquadrate.
La città dove si
vive meglio è quella dove uno su quattro non riesce a pagare l’affitto – la
città col più alto tasso di morosità. E dove uno su sette è povero. Si può
permettere molta eroina, questo sì – quella dell’oppio. Ma perché la Procura
“napoletana” chiude un occhio.
E si può
permettere, certo, “Il Sole 24 Ore”, che fa le benefiche classifiche.
“La
terra dei fuochi? È giù al Nord”, ironizza “la Republica”. Anticipando una
ricerca sull’inquinamento diffuso, a cielo aperto, concentrata su “50 criticità
ambientali dimenticate, luoghi perduti – e ancora pericolosi – distrutti da
sversamenti, amianto, inquinamento industriale, devastazione del suolo”. Una
denuncia particolareggiata – “solo in Lombardia si contano più di1.800 siti
contaminati o potenzialmente pericolosi”, etc.. Ma confinata al magro
supplemento “Scienze”, che nessuno legge. Per la buona coscienza. .,
Dell’azienda
napoletana che lavora à façon per i
grandi milanesi della moda scoperta con decine di lavoratori in nero non si fa
il nome. Nemmeno degli stilisti milanesi per cui lavora. Solo si fa sapere –
“Corriere della sera” - che “le aziende dell’alta moda richiedono situazioni
trasparenti e lavoratori «in chiaro»,
preferibilmente italiani – per questo tanti si rivolgono agli opifici
napoletani che non impiegano manodopera cinese”. Non è mafia.
Di
un giovane faccendiere milanese dice un comico milanese alla trasmissione di
comici “Stati generali” su Rai 3: “Non c’è un momento in cui non si senta
superiore”. Ma è una debolezza o una forza?
Juventus-Milan:
il Milan gioca bene ma perde. Cancan di “Corriere della sera” e Gazzetta dello
Sport” contro l’arbitro. Nelle grandi e nelle piccole cose, la legge Milano è quella:
produrre molta spazzatura, e buttarla accanto, di sotto, dove capita: aggredire
per essere.
Sei mesi prima l’arbitro Rocchi “fa” letteralmente la partita per il
Milan in Milan-Lazio. Dà al Milan un rigore che non c’è, nega alla Lazio un
rigore che invece c’è, ammonisce chi gli pare, eccetera. Ma questo non si sa:
il “Corriere della sera” gli dà 6.5, la “Gazzetta dello Sport” 7, “un arbitro
che il calcio italiano rimpiangerà”.
Questo
lunedì. Il giorno dopo, quando la polemica monta e i fatti non si possono
nascondere, la “Gazzetta dello Sport “ astuta la annacqua con ben due pagine
sugli errori degli arbitri. In cui quelli di Milan-Lazio sono annegati con
tutti gli altri, della serie A, e anche della serie B.
Il “Corriere della sera” si distingue
nella contorta campagna della Procura di Milano contro Eni. Il gruppo
petrolifero pubblico è l’unico fattore di corruzione a Milano, città in affari
pulita per eccellenza: la città dove si vive meglio senza Eni vivrebbe ancora
meglio?
Il più curioso qui è che i processi
terminali della Procura di Milano contro Eni non intimoriscono, come
dovrebbero, gli investitori istituzionali e i grandi fondi, che continuano a
comprare.
I processi in corso vanno iscritti dalle
società nelle comunicazioni periodiche agli azionisti. Ma quelli della Procura
di Milano contro l’Eni non fanno paura. Nessuno crede a Milano?
leuzzi@antiit.eu