Dante –
Tolkien leggeva Dante in italiano. E ha voluto molte espressioni “tradotte” con
“formule dantesche”, quali gliele proponeva la sua prima traduttrice, Vicky Alliata
di Montereale. Alliata, accusata dal
nuovo traduttore di Tolkien, Fatica, di aver travisato “Il Signore degli
Anelli”, lo spiega sul “Venerdì di Repubblica”: all’epoca “mandavi per posta in
Inghilterra l’unica copia del testo tradotto, e pregavi che Tolkien la leggesse
e l’approvasse… Tolkien leggeva Dante in italiano e così cercai formule
congeniali all’orecchio di chi a scuola aveva studiato la «Commedia»
e Petrarca”. Tolkien è nato filologo e glottologo, professore per venti ani di
antico inglese, e per altri quindici di lingua inglese.
Delrio – Si
direbbe “del reo” nei “Promessi sposi”, al cap. XXXII, il “funesto Delrio”,
Martino. Il gesuita della Controriforma “le cui veglie costaron la vita a più uomini
che l’imprese di qualche conquistatore”. Autore delle “Disquisizioni magiche”,
un prontuario di pratiche stregonesche, che, “divenute il testo più
autorevole, più irrefragabile, furono, per più di un secolo, norma e impulso
potente di legali, orribili, non interrotte carneficine”.
Grouchy – Sophie de Grouchy nel 1819 fu afflitta per oltre un mese da
Alessandro Manzoni, convenuto da Milano in casa sua con undici persone: i genitori, cinque figli, nonna
Giulia e tre domestici. Perché, vedova di Condorcet, si era portato in casa Fauriel, italianista
come lei, ma in più amico e corrispondente di Manzoni.
Condorcet aveva una moglie, Sophie de
Grouchy, nipote di Condillac, italianista, anglista, bella, che gli fu compagna
negli studi, nel salotto rivoluzionario che illustrò la buona società di
Auteuil, con quelli di Olimpia de Gouges e di Fanny de Beauharnais, e infine
nella cattività, quando il marchese rivoluzionario fu imprigionato da Robespierre. Ma fino a un certo punto, poi se ne separò per salvare il
patrimonio. Sophie tradusse Smith, “La teoria dei sentimenti morali”, curò le
opere del marito, indirizzò al cognato Cabanis le “Lettere sulla simpatia” che ancora si leggono, scrisse biglietti
ardenti a Mailla Garat, aitante nipote semianalfabeta e baro di Joseph, il
ministro degli Esteri del Direttorio. Infine si era preso in casa Fauriel, il
letterato più fico su piazza, più giovane di una decina di anni, senza
sposarlo, perché non era nobile.
La Pentecoste – Il più bello degli
“inni sacri” costò a Manzoni una vita di fatica – anche se le bibliografie lo
dicono redatto “in soli cinque anni”, dal 1817 al 1822. L’“operosissima Pentecoste” Manzoni la rifece
per trentott’anni, dal 1817 al 1855. Sembra una poesiola, in cantabili settenari,
e invece ha posto all’autore problemi ardui. Due per trovare la rima a ebrei e
Sinai. Di più per infilarci Haiti, che è facile per la rima, “liti”, “riti”,
“uniti”, ma fa scadere l’altisonante geografia. Di cui Manzoni è maestro, “dal
Manzanarre al Reno”, e nella stessa “Pentecoste” tra Vistola e Tebro, Senna e
Ebro. Fuori d’Europa probabilmente la vena gli s’inaridiva. Forse per mancanza
di un atlante, uno dettagliato - negli inventari della biblioteca non c’è. Haiti,
che Manzoni prima assimila alla Brianza, terra di agricoltori, e poi scopre
montuosa, potrebbe essergli stata evocata da qualche figlia di schiavi a Parigi. In
francese in effetti Haiti suona bene, fa pure rima con Tahiti.
La sterilità della fede dopo il fervore della
conversione potrebbe essere in rapporto con la scrittura faticosa della Pentecoste. Che, chissà, fu causa e non
effetto: la fede più robusta può essere scossa da una cadenza non riuscita, e
il settenario è traditore.
Migranti – “Il naufragio del
Deutschland” Carlo Ossola propone (“Dopo la gloria”, 80) a inno europeo oggi,
“un canto del dolore”. È un poemetto di Gerald Manlely Hopkins, il poeta gesuita,
recuperato in Italia da Montale, e poi da Fenoglio.
Occidente – Largesse e Gelassenheit, tutta la sapienza dell’Occidente
in uno slancio”, C. Ossola, “Dopo la gloria”, 121. Imperiale?
Opinione pubblica – “Pubblica follia” la dice Manzoni al principio del cap. XXXII
del romanzo, dove assimila la credenza negli untori a quella nelle magie – la
credulità, si direbbe, la stessa che alimenta le fake news debordanti: “Da’ trovati
della gente istruita, il volgo prendeva ciò che ben poteva intendere, e come lo
poteva; e di tutto si formava una massa enorme e confusa di pubblica follia”.
Ma già, al cap. precedente, con meno sussiego: “L’opinione di quello che i poeti
chiamavano volgo profano, e i capocomici, rispettabile pubblico”:
Tempi – Scrivendo di Proust nel 1921 (“Biglietto a Angèle”) Gide dice anche conclude: “È strano
che simili libri vengano alla luce in un’epoca in cui l’evento trionfa dovunque
sull’idea, in cui il tempo manca, in cui l’azione si burla del pensiero, in cui
la contemplazione non sembra più possibile, più permessa, in cui, prosciugati
dalla guerra, non abbiamo più considerazione se non per ciò che può essere
utile, che può servire”. Per “vengano alla luce” Gide intende “abbiano
successo”, di pubblico prima che di critica – Gide, che rifiutò “Dalla parte di
Swann” alla prima lettura, vi si convertì subito dopo, e non cesserà di
apprezzare Proust.
Allora non era così, non ancora,
ma un secolo dopo è più che vero. Anche senza guerra. Un Proust non è più possibile,
e nemmeno Gide.
Tolkien – Stroncato da Vittorini, e
quindi escluso dall’editoria che contava, attorno al 1968, fu infine proposto da Vicky Alliata di Montereale, che lo traduceva
per sfizio, al neo editore Rusconi. Per il quale Quirino Principe operò una
revisione della traduzione per ridurre Tolkien alla nietzscheana volontà di potenza,
per un pubblico di destra – erano gli anni in cui i libri Rusconi erano banditi
dalle librerie Feltrinelli.
Per decenni Tolkien è stato nume e totem dei giovani di destra, dal missino Fuan (che però non leggeva) ai gruppi extraparlamentari, nelle loro letture e nelle esercitazioni paramilitari, soprattutto nei campeggi in Abruzzo e Alto Lazio, denominati “Aragorn” etc.. La sua riscoperta, con accettazione non più di parte, è degli ultimi venti anni, a seguito dei film del “Signore degli Anelli”, della trilogia.
Per decenni Tolkien è stato nume e totem dei giovani di destra, dal missino Fuan (che però non leggeva) ai gruppi extraparlamentari, nelle loro letture e nelle esercitazioni paramilitari, soprattutto nei campeggi in Abruzzo e Alto Lazio, denominati “Aragorn” etc.. La sua riscoperta, con accettazione non più di parte, è degli ultimi venti anni, a seguito dei film del “Signore degli Anelli”, della trilogia.
Vicky Alliata ne propone una lettura
aggiornatissima, al politicamente corretto di oggi: “Tolkien vuole dimostrare
quanto sia possibile lottare insieme tra diversi, rispettandosi l’un l’altro”.
Wagner – In Italia fu “bolognese”,
rappresentato e idolatrato a Bologna in contemporanea con Parigi (Baudelaire),
e anche un po’ prima che in Germania. Ne fa racconto goloso Valerio Cappelli
sul “Corriere della sera”, con la scusa della prima della stagione operistica,
“Tristano e Isotta” – in una articolo compresso per lo spazio o “tagliato”: la
cultura non fa più informazione.
letterautore@antiit.eu
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