La parte di Gide, quella
restante, è minore nel carteggio. Ma acuta. “La scrittura di Proust è”, non
dispiaccia ai Goncourt, “la più artistica
che io conosca”. Per “la sovracutezza dello sguardo interiore”, per “l’arte
magica che si impadronisce di quel dettaglio per offrircelo incantevole di
freschezza e di vita”, eccetera. Un prontuario di quello che sarà il proustismo
è nel “Biglietto a Angèle”, una breve saggio in forma di lettera che Gide
pubblicherà nel 1921, qui incluso. Sull’arte della frase lunga: le
“parole-supporto”, l’“orchestrazione”, il gioco fra “i diversi piani”, la
“gratuità”, la costruzione come “una foresta incantata: fin dalle prime pagine
vi ci si perde, e si è felici di perdersi”. Entrambi si ricordano
reciprocamente Balzac, trascurato dai loro critici.
Charlus Gide opina, non
contrastato, sia modellato sul barone Doasan – con una lode-riserva: “Il signor
de Charlus è uno stupendo ritratto, con il quale avete contribuito alla
confusione che si fa di solito tra l’omosessuale e l’invertito”.
Lettere di un altro mondo,
appena un secolo fa.
Nel sottofondo, alluse ma non
dette, la diversa posizione politica, e la condivisa “diversità” –
omosessualità. Nella prima lettera Gide si scusa della disattenzione con un
quasi insulto: vi conoscevo, dice, come un fatuo collaboratore del “Figaro”,
“vi credevo – devo confessarvelo? - «dalla parte dei Verdurin»”. Proust cerca
la Nrf, anche dopo il rifiuto, e sempre proponendosi per una prima edizione a
spese sue, perché la nuova editrice è progressista, e più nell’onda. Gide aveva
avviato il cammino che ora Proust intraprende quindici anni prima, firmando,
contro il parere di parenti e amici, la petizione Zola a favore di Dreyfus – e
quindici anni dopo finirà comunista. Proust arriva al guado confuso: a Gide
vanta e propone i suoi vecchi amici, di destra, Lèon Daudet, l’ “Action
Française”.
Marcel Proust, Lettere a Gide, SE, remainders, pp. 78
€ 6
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