I khomeinisti hanno adottato e esacerbato la pretesa imperiale dell’Iran a quarta – perfino terza – potenza mondiale che era del defunto scià. Approfittando delle debolezza dei presidenti americani con i quali si sono confrontati, Carter, Reagan e Obama, o benign neglect. E delle furie inter-arabe, in Libano, in Siria, e dopo Saddam Hussein nello stesso Iraq. Ma sempre minacciando molto, e limitando il fatto.
La risposta di Trump li ha spiazzati. Non hanno gli strumenti militari per reagire, a parte i missili terra-terra a pioggia, a caso. Contro l’America perdono l’ombrello di Putin. Mentre riattizzano l’animosità araba e islamica anti-sciita, per esempio in Turchia.
La Shiia predica il sacrificio, ma l’Iran è stanco degli ayatollah: avrebbe dovuto essere la Turchia del Millennio, un paese trasformatore e integrato nei mercati, e ristagna nell’arretratezza, con infrastrutture (strade, acqua, luce) primitive. Proteste spontanee in tutte le città a dicembre sono state confrontate con decine di morti, e la censura più rigida.
La violenta reazione verbale è il segno della debolezza dei religiosi che hanno sottomesso l’Iran. Contro Trump è d’uso dire tutto, e non costa agitare folle qui o là per i video. Ma l’Iran è diviso e stanco, e gli ayatollah lo controllano poco.
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