Chi ha fatto la guerra – Il 19 settembre il Parlamento europeo ha approvato una mozione della Polonia sulla “importanza della memoria europea per il futuro dell’Europa”, in cui si dice che la guerra fu voluta da Hitler e Stalin: il patto Molotov-Ribbentrop, del 23 agosto 1939, “ha spianato la strada allo scoppio della Seconda guerra mondiale”. Accomunando nella condanna “le dittature comuniste, naziste e di altro genere”. Una risoluzione che ha suscitato una critica radicale sul “Manifesto” di una ventina di storici e intellettuali italiani, ex Pci e non, da Guido Liguori a Aldo Tortorella. E ha rischiato una crisi diplomatica, con la Russia, presa nella celebrazione della vittori contro il nazismo. Come dirà tre mesi dopo Putin, parlando ai presidenti delle ex repubbliche dell’Unione Sovietica in una di queste celebrazioni: “Quando parlano dell’Unione Sovietica, parlano di noi”.
L’1 settembre, anniversario dell’inizio
della guerra (una nave della marina militare tedesca attaccò la guarnigione polacca della fortezza di Westerplatte,
alla foce della Vistola, nell’area tedesca occupata dalla Polonia dal
1918: è l’atto che si ritiene l’inizio
dell’invasione della Polonia), la Polonia ha organizzato una cerimonia
celebrativa a cui ha invitato i leader delle potenze mondiali, eccetto Putin. Ha invitato anche
l’ex presidente ucraino Poroshenko, finito nella corruzione, e il suo primo
ministro Yatseniuk, autore della teoria che la guerra fu scatenata da Stalin e
non da Hitler. Alla riunione non parteciperà neanche Trump – con la falsa
giustificazione di impegni interni, per l’uragano Dorian, mentre si esibiva su
un campo da golf.
Gli ottant’anni della guerra sono insomma
una questione politica. Per il rinnovato antirussismo della Polonia. E per quelle
nuovo dell’Ucraina, sempre più radicale da una ventina d’anni a questa parte –
che ha già portato alla perdita della “repubblica autonoma di Crimea”, abitata
da russi, e rischia la secessione del Donbass, il bacino minerario nell’Ucraina
orientale, a forte presenza russa. C’è ampia materia di contesa, diplomatica e
non.
Il 30 dicembre Putin ha fatto ribattere
che all’origine della guerra c’è il patto di Monaco, sottoscritto nel settembre
1938 dalla Germania con l’Italia, la Francia e la Gran Bretagna. Che diede via
libera a Hitler per annettersi i Sudeti, smembrando la Cecoslovacchia. Mentre
la Polonia del maresciallo dittatore Piłsudski e l’Ungheria del dittatore
ammiraglio Horthy se ne prendevano vari pezzi – l’Ungheria di Horthy sarà poi
in guerra a fianco di Hitler. La dichiarazione pubblicata dal “Manifesto”
riporta le premesse della guerra all’invasione italiana dell’Etiopia (1935) e
alla guerra civile in Spagna (a partire dal 1936). Nonché all’Anschluss,
l’annessione dell’Austria ala Germania.
Sugli eventi che hanno preceduto l'ultimo conflitto mondiale è però tutto chiaro. I fatti erano stati accertati subito dopo la
guerra, nei primi anni 1950, dallo storico britannico A.J.P. Taylor con più
forza, e dalla storia diplomatica di Duroselle: non ci sono segreti diplomatici
né militari. A Monaco il 29 settembre
1938 Hitler, che il 13 marzo si è annesso l’Austria, ottiene l’annessione dei
Sudeti, l’area tedescofona all’interno di Boemia e Moravia. In pratica la dissoluzione
della Cecoslovacchia. Francia e Inghilterra si sono divise a Monaco, sulla
prospettiva di confrontare la Germania. A questo punto la Francia si muove nella
certezza che il prossimo attacco tedesco sarà sul Reno e al confine polacco, e
cerca l’alleanza russa. Ma senza concludere: la definizione di un’alleanza
militare ritarda, per le resistenze che i governi polacco e rumeno, per quanto
vicini alla Francia, oppongono al diritto di passaggio delle truppe russe in
caso di conflitto con la Germania.
L’argomento della Polonia oggi è quello
del suo fantomatico governo in esilio al tempo del blocco comunista. Un
argomento unico aveva negli anni 1960 a Roma l’ambasciatore in petto di questo governo presso la
Santa Sede, Casimiro Papée, nomen omen, papalino infelice: nel
1939 la Polonia fu aggredita non soltanto da Hitler ma anche da Stalin, che
intervenne a cose fatte, “alla maniera di Mussolini, per prendersi le spoglie”.
Aggredita a tenaglia con ferocia, aggiungeva, “per essere cattolica”. Per lo
stesso motivo nel 1944, quando la Polonia insorse, Stalin non l’aiutò. Senza il
patto Ribbentrop-Molotov del 23 agosto 1939, “Hitler avrebbe scatenato la
guerra?”, era l’argomento supremo dell’ambasciatore in petto Papée: “La risposta è no. E fu Stalin a proporre il patto,
divisione dell’Europa compresa”.
Non a torto, il Patto fu un momento di verità
e non un errore: l’Urss incamerò dopo le vittorie di Hitler più territori e
popolazioni della Germania. Ed è anche vero che in Francia il patto di
Hitler con Stalin condurrà a una sorta di sabotaggio, benché non dichiarato,
della produzione e dell’impegno militare da parte dei lavoratori e coscritti
comunisti o filocomunisti. Il patto Molotov-Ribbentrop fu salutato da
“L’Humanité”, il giornale del partito Comunista francese, con un titolo a tutta
pagina in rosso: “Hitler
et Staline sauvent la paix”.
Ma è
un fatto che all’Est Europa tutti i regimi erano fascisti, filotedeschi. Che
l’Anschluss fu un trionfo nazista, l’Austria era entusiasta di unirsi a Hitler.
E che Stalin
ha sempre saputo che il suo nemico era Hitler. All’approssimarsi della guerra,
dopo Monaco e la Cecoslovacchia, dopo la trionfale domenica delle Palme
viennese, non potevano non impensierirlo le presunte aperture diplomatiche francesi, e
anche inglesi: indecise – mai un vero negoziatore fu a Mosca - e comunque
mai su piani o prospettive specifiche. Mentre è vero che il patto con Hitler
gli diede due anni per preparare la guerra. E vincerla – poiché è vero che la
guerra Hitler l’ha persa in Russia.
Fenomeno
Hitler – C’era anche un uomo Hitler dietro il
dittatore. Ovvio, ma non per gli storici. A parere di Emilio Gentile, sul “Sole
24 Ore” di domenica, solo ora, con l’ultima biografia, dello storico e
giornalista Volker Ullrich, si comincia a “ricostruire la singolare e
sconvolgente esperienza di un individuo
che, dopo aver trascorso una giovinezza disordinata con la velleità di
diventare un grande artista, nel 1919, all’età di trent’anni, a Monaco di
Baviera, entra in politica come un ignoto reduce della Grande Guerra”. Il che
non è esatto: la personalità di Hitler è stata più che studiata subito dopo la
guerra, ma per concludere che era uno sciocco e un folle. Uno che, forse
sorpreso e inebriato dall’aver conquistato la Germania in poche elezioni nei
primi anni 1930, ha concepito il piano di impadronirsi dell’Europa operando in
contemporanea tre guerre, a Occidente contro l’Inghilterra e gli Usa, a Oriente
contro l’Urss e sul fronte interno contro gli ebrei - una macchina della morte
che, a prescindere dagli aspetti morali, ha impegnato ingenti risorse. Una follia, da ogni punto di vista.
Ma Gentile ha ragione in senso più
generale. C’è in atto una “umanizzazione di Hitler”. Dell’uomo prima del
dittatore. Vegetariano. Occhi blu magnetici, eccetera. Scapestrato fino ai
trent’anni. Figlio di un padre che ebbe tre mogli, in successione. Le ultime
biografie analizzano la storia e il carattere del’uomo. I narratori la sua vita
quotidiana e passionale – Geli Raubal, adorata nipote, suicida, Eva Braun,
Magda Goebbels, le assaggiatrici (Alexander, Postorino), l’architettura.
Risorge il “fenomeno Hitler”, come sempre,
quando si vuole sgravare la Germania dal peso di averlo adottato. Hitler non è
Mussolini: non è un politico di lungo corso, né il capo della destra politica, è uno che s’impadronisce
in un fiat della Germania sull’onda semplice del risentimento dopo la
sconfitta. Con un solo argomento: l’odio. Contro i vincitori, i traditori (il
colpo alla schiena), gli ebrei – per l’antisemitismo di cui Vienna lo ha
contagiato negli anni di bohème.
Uno che fece la guerra facile, panzer contro cavalli, con l’aiuto di
Stalin. E alla Francia cialtrona, con l’aiuto di Stalin via Comintern,
occupando le Fiandre indifese. Dove il gioco fu duro, in Russia, nel Caucaso,
in Africa, sempre ha beccato. Si scelse gli ebrei come nemici perché erano gli
unici indifesi, e gli zingari. Già gli
italiani gli sembravano invincibili.
Si vorrebbe accreditare a Hitler personalità
eccellente, volendo bene alla Germania. Ma era un vorace opportunista, di frasi
fatte beccate a destra e a sinistra, anche se di un’idea pagante, una
sola: per dieci anni capitalizzò sul bisogno
di ordine che affligge le democrazie. Adunate,
sfilate, film di Riefenstahl, sempre la viltà s’imbelletta - la viltà dei
tedeschi è categoria da instaurare.
astolfo@antiit.eu
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