Minuzioso, dettagliato ma ben
raccontato. I capitoli introduttivi non lasciano alternative: la guerra non
fu casuale, era preparata da tempo, da tutti gli Stati maggiori e da tutti i
governi, Francia, Germania, Russia, Austria-Ungheria, Inghilterra. E data per
scontata – Bismarck ne aveva previsto anche l’innesco: “qualche dannato stupido affare
nei Balcani”. Solo il momento era incerto.
Il capitolo finale, attorno all’occupazione mancata di Parigi, che consentì alla
Francia la controffensiva, umanizza la Germania: anche il soldato tedesco si rifiuta di marciare, quando è stanco.
Le confessioni involontarie
dei protagonisti convergono, anche quando sono spiritose o autocritiche, verso
la follia – Barbara Tuchmann svilupperà questo aspetto nelle monografie de “La
marcia della follia”, da Troia al Vietnam: la guerra, anche scientifica,
preparatissima, studiatissima, è sempre un azzardo, crudele. Generali che non
si coordinano, e anzi si fanno la guerra. Armate che dormono in piedi, anche
sotto i colpi di cannone, dopo marce di 40 o 50 km., per due o più giorni. Una
Germania nettamente anglofila che fa la guerra all’Inghilterra. La guerra in
contemporanea su due fronti, all’Est e all’Ovest, eresia per Clausewitz, e per
l’intelligenza media.
Barbara Tuchmann, I cannoni d’agosto
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