In realtà non conversazioni
ma una serie di imbarazzi. Nessuno vuole raccontare di come fa o pensa al
sesso, non a lui, non allo scrittore e regista, non davanti alla macchina da
presa. Chissà cosa avrebbero detto se richiesti, per esempio i contadini, di
altre cose anche non tanto intime, da estranei per quanto di gran nome,
accompagnati da operatore, macchinista, aiuto macchinista, pareti antiriflesso,
fari, generatori rumorosi e ingombranti, tutto il trambusto che il cinema
richiede.
Pasolini non ci pensa. Trova
tutti reticenti, ricchi e poveri, intellettuali e ignoranti. E con l’aiuto
delle due M finisce per dire al solito gli italiani, anche per questo verso,
brutti, sporchi e cattivi. Ipocriti, ignoranti, razzisti, sessuofobi (gli
italiani?).
“La furberia e l’arte di
arrangiarsi sono poi in fondo l’unica filosofia italiana”, è anche qui la
filosofia di Pasolini. Musatti veramente no: a Moravia in terrazzo obietta che
di fronte alla cinepresa “la gente o non risponde o risponde il falso” – oppure
si atteggia, perché no, a tutti piace recitare, il palcoscenico, l’esibizione.
Ma solo Moravia per la verità sembra credere al cinema-verità. Pasolini, che
sembra praticarlo, è sornione. Vuole dare scandalo, piccolo, minimo, e lo dà.
Della sua idea dicendo “una sorta di crociata contro l’ignoranza e la paura”.
O non sono questi gli
argomenti eterni dei sessuologi, sia pure analisti – altrimenti che ci stanno a
far e? Li ripete pari pari oggi, sul “Robinson” di “la Repubblica”, la
professoressa Chiara Simonelli conversandone con Massini: “Siamo reticenti,
preferiamo le mezze bugie. Ne derivano stereotipi e, peggio, omofobia e femminicidi”. O: “Il
linguaggio dell’insulto ci consegna due archetipi fortissimi: l’uomo è
coglione, la donna puttana. Già questo ci dice molto”. Già. Anche dei
sessuologi.
Si dice di Pasolini che era
un mini-D’Annunzio, in ritardo – fuori epoca. In realtà ha raccolto,
scientemente, proprio di mestiere, giornalisticamente e autorialmente,
l’eredità di Malaparte. Che qui si vede plateale, oltre che nelle rubriche
giornalistiche del tipo “Battibecco”. Di un dannunzianesimo prosastico: legato
alla realtà, all’attualità. Sui toni savonaroliani, del contraddittore.
Un libro per il resto da
collezione. Con un saggio di Cerami e uno di Foucault, e un articolo di Dario
Argento. A cura di Graziella Chiarcossi - che nel film interpreta l’unica scena
non documentaria, quella finale del matrimonio con l’abito bianco - e Maria
d’Agostini. Con le fotografie di Mario Dondero, che hanno servito per il
documentario, e quelle di Angelo Novi, da molti anni non più in circolazione.
Con i dialoghi e materiali prepatori – non era meglio un dvd col film, e le
foto di scena di Novi e Dondero, o se ne sarebbe vista la pochezza?
Pier Paolo Pasolini, Comizi d’amore, Contrasto, pp. 200,
ill., € 19,90
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