Non è un’apologia di Craxi
che Amelio fa. Né ci costruisce sopra un dramma. È un ritratto che tenta, anche
se con pochi tratti del personaggio storico. Solo e triste anche quando era al
potere. Come Garibaldi della cui memoria è cultore. Che il popolo unicamente
stimola, il benessere del popolo – è solo in questi termini che pensa e parla
bene della politica, per il resto dileggiando anche quella, che pure è sua
passione inesausta, fino a un attimo prima di morire. Uno che da ragazzo in
collegio, Amelio fa valere all’inizio e alla fine del racconto, rompeva i vetri
con la fionda. Tutto il contrario dell’immagine che se ne coltiva – Craxi
Forattini disegnava su “la Repubblica” con gli stivali del Duce.
Ma l’impressione che resta è
di un monumento. Forse, più che per la narrazione di Amelio, per la padronanza
che Favino mostra del ruolo. Una prova da mattatore, e insieme da Grande Interprete,
capace di modulare il personaggio nei dettagli anche minimi, le pause, i toni,
il soffio, l’occhio presente e assente. Trascurando sensibilmente, ma
questo non è colpa sua, la tragicità dell’uomo: un uomo tutto politica che non
ha saputo combattere la battaglia politica. Lasciando a Belzebù, dopo averlo
sfidato, l’eredità di un secolo di storia, tutta o quasi in positivo. Del
partito Socialista e dello stesso stolido Pci berlingueriano – la sinistra, che
contava stabilmente sul 42-45 per cento del voto, si è ridotta al 20, con
enormi sacche di astensione e dispersione. Sarebbe stato un altro film, storico
forse, o politico, e forse questo non interessava ad Amelio, o al pubblico.
Quale che sia la ragione, il
film attrae, benché non ci sia avventura, né sesso, né scandalo, né, si
direbbe, niente. E il personaggio sia sempre indigesto ai “trinariciuti”, gli ex
fascisti come Travaglio, o il giornale di Scalfari – fa senso vedere il film e
leggere nello stesso giorno su “la Repubblica” la rozza rievocazione dello
storico Crainz, “Craxi, l’altra faccia del leader”, uno storico che pure si
dice nato con Lotta Continua.
Più strano è che il racconto
di Amelio attragga un pubblico prevalentemente non di “vecchi compagni” ma di
generazioni intermedie e anche giovani. È un bisogno d’informarsi? È in qualche
modo la proposta – l’idea – di un’altra concezione della politica? È un film
politico in effetti, e forse l’Italia della disinvoltura qualunquista ricomincia
a sentirne il bisogno.
Gianni Amelio, Hammamet
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