Ha fatto presto Putin a trovarsi
impantanato nel deserto, non solo in Libia: non c’è politica di grande potenza
con il mondo arabo, se non per attrazioni remote. E quelle, oggi come ieri,
sono occidentali: l’attrazione è dei mercati ricchi e avanzati, di finanza
facile.
Putin ha seguito passo passo la
decisione di Obama e Hillary Clinton di retrenchment
dal Medio Oriente, rafforzata da Trump. Sostituendosi in tutti gli spazi
lasciati liberi. Dapprima in Turchia, poi in Siria, da ultimo in Libia. Ha
tentato approcci anche verso l’Arabia Saudita e verso Israele. Una espansione
diplomatica, che non costa. Forte se necessario di forniture militari avanzate,
l’unico settore in cui la Russia è concorrente paritario con gli Usa – forniture
che sono in realtà un mercato chiuso, di vendite senza concorrenti, e questo
suscita risentimenti più che gratitudine (succedeva pure al tempo dell’Unione
Sovietica: “ i compagni russi ci sfruttano”). Ma altro non ci trova.
La “presenza nel Mediterraneo” è
residuo ottocentesco. Oggi solo costoso. E sul piano economico non ci sono prospettive,
a parte la vendita di armi: su petrolio e gas i due mondi sono concorrenti, mentre
la tecnologia e i bond il mondo arabo
trova sempre oltre Atlantico.
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