Della sua attività Karski
aveva già reso conto per iscritto in numerosi rapporti, inoltrati a Parigi e
Londra dalla Resistenza. Non era del resto il solo. La sua testimonianza ha
assunto valore storico per essere stata resa di persona, da perfetto
poliglotta, nelle capitali Alleate. Per giornate, settimane e mesi, in sedute
di botta e risposta che dice “estenuanti”. E poi trascritta, nel 1944, a New
York, in un libro, che è poi questo ma intitolato “The Story of a Secret
State”, stampato in 400 mila esemplari subito esauriti, ristampato
immediatamente in Gran Bretagna, e nel 1945 in Svezia. Forte anche
dell’esperienza personale. “Karski” o “Witold” nella Resistenza, di suo
Kozielewski, era stato giovane diplomatico, e tenente dela riserva. Evaso due
volte dai tedeschi, la prima dopo essere stato scambiato dai russi, di cui era
prigioniero militare, con gli ucraini e bielorussi prigionieri della Germania,
ai termini degli accordi Ribbentrop-Molotov, o Hitler-Stalin, del 1939. La
seconda dopo essere stato arrestato dalla Gestapo in Slovacchia come
resistente. Una liberazione che costò la vita a 35 persone: 32 dei locali abitanti, tra essi due preti, fucilati dai tedeschi per la cosiddetta responsabilità oggettiva, è tre dei quattro del commando liberatore, deportati a Auschwitz.
Karski lavorò in clandestinità per la propaganda del maggiore movimento di Resistenza polacco, Armia Krajova, Esercito Nazionale, e per il collegamento con il governo polacco in esilio, in Francia nel 1940 e a Londra nel 1942. Qui redasse il “Rapporto Karski” propriamente detto, sulle esperienze vissute nel ghetto di Varsavia e nel lager presunto di Belžec, che il governo polacco in esilio fece conoscere ai governi britannico e americano, incaricandolo poi di una missione di propaganda negli Stati Uniti.
Karski lavorò in clandestinità per la propaganda del maggiore movimento di Resistenza polacco, Armia Krajova, Esercito Nazionale, e per il collegamento con il governo polacco in esilio, in Francia nel 1940 e a Londra nel 1942. Qui redasse il “Rapporto Karski” propriamente detto, sulle esperienze vissute nel ghetto di Varsavia e nel lager presunto di Belžec, che il governo polacco in esilio fece conoscere ai governi britannico e americano, incaricandolo poi di una missione di propaganda negli Stati Uniti.
È una testimonianza in
realtà, come dice il titolo originario, della Resistenza polacca. Delle
persecuzione anti-ebraica, sia attraverso le Einsatzgruppen del tiro libero al bersaglio, le squadre speciali
(tedesche, baltiche e ucraine), sia con le prime deportazioni di massa, si
sapeva. Le Nazioni Unite, che il 17 ottobre 1942 avevano creato una UN War
Crimes Commission, una commissione d’inchiesta sui crimini di guerra,
prepararono una “dichiarazione solenne” il 17 dicembre di condanna dei
“massacri criminali degli Ebrei dell’Europa centrale”, a firma dei dodici Stati
alleati, più il Comitato della Francia Libera (De Gaulle). La testimonianza di
Karski aveva il merito di riferire le cose viste, invece che de relato. Ma alla persecuzione degli
ebrei dedica solo due capitoli, il XXIX e il XXX, dei trentatré totali. Una
trentina di pagine in tutto, molte prese dalla parte organizzativa delle
incursioni (contatti, documenti, camuffamenti). E con l’ottica sempre della
Resistenza, delle formazioni anche ebraiche, politiche e militari, della
Resistenza.
Questo forse è quello che
nocque alla testimonianza di Karski: perché la Polonia era, già nel 1942, di
ostacolo alla relazione privilegiata con Stalin. A Londra e a Washington solo
l’Unione Sovietica contava, che si era annessa una parte della Polonia in base
agli accordi con Hitler, e per il dopoguerra ne aveva già disposto la
condizione di Stato satellite, attorno ai socialisti polacchi che si erano
rifugiati nella zona annessa da Mosca. Il successo di Karski col libro fu
immediato ma non durò. La rivista “Soviet Russia Today”, allora diffusissima
negli Stati Uniti, lo censurò con asprezza, la riedizione non si fece, il libro
restò dimenticato.
La graphic novel di Rizzo e Bonaccorso privilegia la denuncia della persecuzione ebraica. Che resta oggi il maggior
titolo della memoria di Karski - dopo la guerra, interdetto di tornare nella
Polonia sovietizzata, sarà professore di Relazioni internazionali
all’università gesuita di Georgetown a Washington. Il Karski oggi ricordato è
riemerso nell’ottobre 1981 a una Conferenza internazionale dei liberatori dei
campi di concentramento organizzata da Elie Wiesel e dal Consiglio Americano
del Memoriale dell’Olocausto. L’anno dopo nominato “giusto tra le nazioni” in
Israele – successivamente anche cittadino onorario. E nel 1985 testimone nel
primo film sullo sterminio, “Shoah” di Claude Lanzmann. Ma “La mia
testimonianza”, sottotitolo “Ricordi 1939-1943”, resta importante per la
storia, quando si farà senza più l’ottica della guerra fredda, degli assetti
europei postbellici decisi nel corso della guerra tra gli Alleati – specie
nell’edizione francese (derivata dalla riesumazione polacca post-1989, la
stessa tradotta in italiano), molto bene annotata. E per comprendere la
Polonia, quella di ieri come di oggi. A partire dall’assunto che Karski ripete
variamente: che la Polonia è stato il solo paese occupato in cui non si sia prodotto
nessun collaborazionismo – “nessun Quisling” è il leitmotiv della testimonianza. Vittima di Hitler come di Stalin.
Le testimonianze di Karski
sulla Polonia annessa da Stalin sono scarse e sempre radicali, ma incisive.
Molto è detto del contributo militare polacco alla guerra antitedesca, con i
circa 150 mila soldati dislocati in Francia e in Gran Bretagna, con i duemila
piloti nella battaglia d’Inghilterra , con l’armata di Anders. E con varie
curiosità, che dovranno prima o poi essere assunte nella storia. La più strana
e la percorribilità della Germania, andata e ritorno, di resistenti e anche di
ebrei.
Il titolo originario, della
prima edizione in America, “Storia di uno Stato segreto”, propone la continuità
dello Stato polacco, di prima, durante e dopo l’invasione, attorno alle
coalizioni della Resistenza che si riconoscevano nel governo in esilio a
Londra. Nel “rapporto sul libro” che scrisse per il governo polacco in esilio –
ancora per poco - a Londra nel 1944, così ne precisa lo scopo: 1) il movimento
di Resistenza non è solo un una forza di combattimento, è lo Stato, con l’auctoritas, le istituzioni, il
funzionamento di uno Stato democratico; 2) il governo legale si trova a Londra;
3) la Polonia è il solo Stato occupato a non aver collaborato in nessuna forma
con l’occupante - “nessun Quisling”; 4) “la nazione polacca è animata da una
volontà di democrazia, di libertà, di progresso”.
Ma la Polonia nel 1944, e già
nel 1943, era considerata un ingombro, sia a Londra sia a Washington. E nella
stessa Polonia post-1989 troverà problemi a riemergere: la testimonianza di
Karski è stata tradotta solo nel 1999, poco prima della sua morte. Un tentativo
nella Polonia di Jaruzelski e Solidarnosc’, nel 1982, era finito nel nulla. Il
riallineamento delle posizioni in Europa, della storia europea durante e dopo
la guerra, non è stato ancora avviato, a trent’anni dalla caduta del Muro, ma
con ogni evidenza si impone. Il racconto di Karski, a tratti anche noioso
(meticoloso, puntiglioso), propone fondati motivi per la revisione. Prima di
essere riscoperto da Wiesel e Lanzmann, Karski è stato soprattutto, come
storico a Georgetown, l’autore di una ricerca d’archivio, settecento pagine,
“The Great Powers and Poland. 1919-1945. From Versailles to Yalta”, che non si
cita nemmeno tanto è eretica. “Un libro triste” lo dirà lo stesso Karski. Ma
necessario: “Churchill sbagliò di più, ma Roosevelt fu più nocivo”, ne è la
sintesi, dello stesso Karski. Troppi i lutti postbellici. E quanto necessari?
La graphic novel che Bonaccorso e Rizzo hanno tratto dalla
testimonianza di Karski è la riedizione del volume già pubblicato da Rizzoli
Lizard, 2014.
Lelio Bonaccorso-Marco Rizzo,
Ian Karski, l’uomo che scoprì
l’Olocausto, la Repubblica, pp. 160, ill. € 9,90
Ian Karski, La mia testimonianza davanti al mondo,
Adelphi, pp. 513, ill. € 32
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