Si scopre con i 50 (cinquanta)
prepensionamenti di giornalisti chiesti dal “Corriere della sera” che i
giornali in attivo, specie i più ricchi, lo stesso “Corriere della sera”, “la
Repubblica”, “la Stampa”, ristrutturano a spese dell’Inpgi, l’Inps dei
giornalisti. La cosa viene ora sotto accusa perché anche i concorrenti, “la
Repubblica” e “la Stampa”, vogliono un altro giro di prepensionamenti, e temono
che il “Corriere della sera”, arrivato prima, prosciughi le risorse.
L’Inpgi ha speso 128
milioni in ammortizzatori sociali negli ultimi cinque anni, 260 in dieci anni.
Cifre intollerabili per un
istituto dalle dimensioni ridotte, con una platea assicurativa limitata e in contrazione. Per
cui oggi è – sarebbe – tecnicamente fallito.
Ma più della contabilità
pesa la politica. Non quella propriamente detta, quella dei giornalisti, dei
settarismi che li sottogovernano. L’abuso dell’Inpgi quale finanziatore degli
editori è stato denunciato da tempo. Per esempio da G. Leuzzi, “Mediobanca
Editore”, 1997:
“Gli assetti autonomi dei
giornalisti (previdenza, cassa mutua, contratto) sono stati scossi nella crisi
Rcs” – c’era una crisi Rcs anche allora, ma vera, per un buco di 1.300 miliardi
di lire. I governi Ciampi e Dini ne avevano aggredito l’autonomia “imponendo
che gli utili dell’Inpgi, circa 30 miliardi l’anno, vengano prestati al Tesoro
senza interessi come contributo di
solidarietà”. Non erano stati i soli: “Tiziano Treu, ministro del lavoro dei
governi Dini e Prodi, ha operato costantemete a favore degli editori e a danno
dei giornalisti e dell’Inpgi nell’esecuzione degli accordi sindacali”. Si sapeva, ma non si poteva
dire, e comunque non valeva.
Valeva ancora la spessa cortina – dirigenti di
redazione e rappresentati sindacali - che dominava i giornali per conto di un partito
che non più esisteva, ma continuava a controllare l’opinione. Mediante accordi
di realpolitik con gli editori: io ti tengo a
bada le redazioni, tu mi sostieni.
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