National Book Award
all’uscita nel 2018 per la narrativa, è in teoria il racconto della vita con un
cane ereditato da un amico – il titolo è correttamente tradotto, l’originale è
solo “The Friend”, trattandosi di una storia di animali, di gatti e,
soprattutto, di un alano, che pesa il doppio della scrittrice. Interpolata con
quella del padrone del cane (padrone del cane suona male, va corretto), morto
suicida. Uno che era sempre stato sicuro di se stesso, e ancoraggio di molti.
Amico della scrivente da una vita, dopo un giovanile coito riuscito male.
Entrambi scrittori insegnanti a scuole di scrittura. E con storie da scuole di
scrittura. Specie quelle di sesso, che i Regolamenti anti-molestie severi
escludono, sia diretto (relazione insegnanti-alievi) sia indiretto (tema di
scrittura) – un racconto è delle studentesse che, a scuola di Scrittura,
contestano l’interpellazione o intercalare “cara” come aggressione sessuale. La
flânerie. Le mogli Una, Due e Tre del
defunto. I regolamenti condominiali, i condomini, i vicini di casa, i passanti.
E varie questioni di scrittura, di fiction
e non fiction, di scrittura in
rapporto alla lettura, di insegnamento della scrittura, di insegnamento in sè,
sempre più ristretto – mentre crescono a milioni ogni anno gli americani adulti
analfabeti di ritorno. E di best-seller,
con l’atroce racconto della giovane promessa che a metà del suo primo romanzo
vince tutti i premi per esordienti, mezzo milione di dollari, compreso
l’anticipo per il secondo romanzo, ma poi il primo, benché servito da ottimi blurb e quindi ottime critiche, non
vende, e il secondo lei non riesce più a concepirlo. Nonché i dessous dei Famosi, Rilke,
Wittgenstein.
Un divertimento, per cinofili
e non. “Trova il tono giusto e puoi scrivere quello che vuoi”, spiega(va)
l’amico morto all’autrice. Sulla traccia di Coetzee, per il quale la scrittrice
condivide l’ammirazione dell’amico morto, “Vergogna”: l’avventura di un professore
sudafricano, David Lurie, che perde il posto per l’accusa di violenza sessuale
di un’allieva che lo ha circuito. Ma poi anche questa è abbandonata, e la storia
somiglia più a una di amore, con l’amico morto e tuttavia presente a ogni curva,
per procura o per contatto col suo cane, intelligente, bello e caldo, anche se
un po’ vecchio.
Nunez - un po’ italianista,
due volte premio Roma (dell’American Academy in Roma, di cui dovrebbe essere
stata borsista ai suoi anni giovani), fan
di Natalia Ginzburg, autrice di un “Sempre Susan”, titolo italiano, sui suoi
anni in casa Sontag, segretaria di Susan e amante di suo figlio David - si
diverte e diverte. Con un non-romanzo che è una satira lieve della critica
della morte del romanzo – specialmente fiorente, pare, nelle scuole di
scrittura. Nonché dei manuali Sexual Misconduct, del training obbligato in
Sexual Misconduct, delle scuole di scrittura, e degli animalisti, a partire dai
veterinari.
Il trattamento narrativo del
cane ereditato segue quello eponimo di J.R.Ackerley, “My Dog Tulip”, 1956 - la
convivenza di Ackerley è con un cane moglie, quella di Nunez con uno marito. Nel
quadro della storia di Coetzee: la compulsione erotica, le mogli, la figlia
assente, gli animali. Che però qui è un’altra cosa: non un pastiche, proprio un’altra storia. Con un lieto fine che non è lieto.
Un libro anche di citazioni, dichiarate e non. Con qualche ripetizione. Scrivere è una religione è di Rilke o di Edna O’Brien? Ma perché non sarebbe di entrambi? Un altro motivo di garrulo spasso, le citazioni non vanno prese sul serio (assolutizzate).
Un libro anche di citazioni, dichiarate e non. Con qualche ripetizione. Scrivere è una religione è di Rilke o di Edna O’Brien? Ma perché non sarebbe di entrambi? Un altro motivo di garrulo spasso, le citazioni non vanno prese sul serio (assolutizzate).
Sigrid Nunez, L’amico fedele, Garzanti, pp. 221, ril.
€ 17,60
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