giovedì 20 febbraio 2020

Il cane fedele a scuola di scrittura

National Book Award all’uscita nel 2018 per la narrativa, è in teoria il racconto della vita con un cane ereditato da un amico – il titolo è correttamente tradotto, l’originale è solo “The Friend”, trattandosi di una storia di animali, di gatti e, soprattutto, di un alano, che pesa il doppio della scrittrice. Interpolata con quella del padrone del cane (padrone del cane suona male, va corretto), morto suicida. Uno che era sempre stato sicuro di se stesso, e ancoraggio di molti. Amico della scrivente da una vita, dopo un giovanile coito riuscito male. Entrambi scrittori insegnanti a scuole di scrittura. E con storie da scuole di scrittura. Specie quelle di sesso, che i Regolamenti anti-molestie severi escludono, sia diretto (relazione insegnanti-alievi) sia indiretto (tema di scrittura) – un racconto è delle studentesse che, a scuola di Scrittura, contestano l’interpellazione o intercalare “cara” come aggressione sessuale. La flânerie. Le mogli Una, Due e Tre del defunto. I regolamenti condominiali, i condomini, i vicini di casa, i passanti. E varie questioni di scrittura, di fiction e non fiction, di scrittura in rapporto alla lettura, di insegnamento della scrittura, di insegnamento in sè, sempre più ristretto – mentre crescono a milioni ogni anno gli americani adulti analfabeti di ritorno. E di best-seller, con l’atroce racconto della giovane promessa che a metà del suo primo romanzo vince tutti i premi per esordienti, mezzo milione di dollari, compreso l’anticipo per il secondo romanzo, ma poi il primo, benché servito da ottimi blurb e quindi ottime critiche, non vende, e il secondo lei non riesce più a concepirlo. Nonché i dessous dei Famosi, Rilke, Wittgenstein.
Un divertimento, per cinofili e non. “Trova il tono giusto e puoi scrivere quello che vuoi”, spiega(va) l’amico morto all’autrice. Sulla traccia di Coetzee, per il quale la scrittrice condivide l’ammirazione dell’amico morto, “Vergogna”: l’avventura di un professore sudafricano, David Lurie, che perde il posto per l’accusa di violenza sessuale di un’allieva che lo ha circuito. Ma poi anche questa è abbandonata, e la storia somiglia più a una di amore, con l’amico morto e tuttavia presente a ogni curva, per procura o per contatto col suo cane, intelligente, bello e caldo, anche se un po’ vecchio.
Nunez - un po’ italianista, due volte premio Roma (dell’American Academy in Roma, di cui dovrebbe essere stata borsista ai suoi anni giovani), fan di Natalia Ginzburg, autrice di un “Sempre Susan”, titolo italiano, sui suoi anni in casa Sontag, segretaria di Susan e amante di suo figlio David - si diverte e diverte. Con un non-romanzo che è una satira lieve della critica della morte del romanzo – specialmente fiorente, pare, nelle scuole di scrittura. Nonché dei manuali Sexual Misconduct, del training obbligato in Sexual Misconduct, delle scuole di scrittura, e degli animalisti, a partire dai veterinari.
Il trattamento narrativo del cane ereditato segue quello eponimo di J.R.Ackerley, “My Dog Tulip”, 1956 - la convivenza di Ackerley è con un cane moglie, quella di Nunez con uno marito. Nel quadro della storia di Coetzee: la compulsione erotica, le mogli, la figlia assente, gli animali. Che però qui è un’altra cosa: non un pastiche, proprio un’altra storia. Con un lieto fine che non è lieto.
Un libro anche di citazioni, dichiarate e non. Con qualche ripetizione. Scrivere è una religione è di Rilke o di Edna OBrien? Ma perché non sarebbe di entrambi? Un altro motivo di garrulo spasso, le citazioni non vanno prese sul serio (assolutizzate). 

Sigrid Nunez, L’amico fedele, Garzanti, pp. 221, ril. € 17,60

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