Il tema è semplice: fondamentalismo
chiama fondamentalismo, è la logica delle guerre di religione, inevitabilmente
anche intestine (fra cristiani come fra mussulmani). Ma è giusto d’inciampo all’oratoria
sfolgorante di Malkovich e Jude Law, anche al Vojello-Orlando breviloquente, alle
cui abilità istrioniche Sorrentino offre più di un’occasione.
Sarà l’oratoria la cifra più
personale di Sorrentino – le immagini sfolgoranti evocando sempre qualche
precedente, recente? È impressionante: ateniese, ciceroniana, shakespeariana,
molto teatrale. Orazioni mai banali, e anzi dense – rifacimento particolare è l’inevitabile
Marc’Antonio del “Giulio Cesare”. Ma in un quadro barocco, barocchissimo, che forse è la vera cifra di Sorrentino: in continente, esagerato, arrotondato, grandioso, tra Witz e decoro, sensuale, alla vista e al verbo.
II papato è barocco, la chiesa la Controriforma
l’ha fissata al grandioso e all’eccesso - autoaffermativa. Ma Sorrentino è barocco, a ripensarci, anche senza i papi, il giovane e il nuovo. Espressivo, un occhio dilatato sul mondo. Di cui non rifiuta nulla, e tutyo santifica.
Sorrentino è scrittore di
peso, in senso proprio e figurato. L’unico forse, al cinema e fuori, in
quest’epoca di selfie autoassolventi,
assorbenti. Hoffa-Pacino-Scorsese di “The Irishman” e August Diehl del “Giovane
Karl Marx” non si rifaranno a lui, alla “Grande Bellezza” prima dei due “Pope”?
Paolo Sorrentino, The New Pope
Nessun commento:
Posta un commento