sabato 8 febbraio 2020

Il nuovo papa è il vecchio, barocco

Finale fastoso, maestoso - con recupero della sedia gestatoria e dei flabelli. Per il ritorno del papa moribondo, e il ritiro in villa del suo temporaneo successore – c’è materia per una terza serie.
Il tema è semplice: fondamentalismo chiama fondamentalismo, è la logica delle guerre di religione, inevitabilmente anche intestine (fra cristiani come fra mussulmani). Ma è giusto d’inciampo all’oratoria sfolgorante di Malkovich e Jude Law, anche al Vojello-Orlando breviloquente, alle cui abilità istrioniche Sorrentino offre più di un’occasione.
Sarà l’oratoria la cifra più personale di Sorrentino – le immagini sfolgoranti evocando sempre qualche precedente, recente? È impressionante: ateniese, ciceroniana, shakespeariana, molto teatrale. Orazioni mai banali, e anzi dense – rifacimento particolare è l’inevitabile Marc’Antonio del “Giulio Cesare”. Ma in un quadro barocco, barocchissimo, che forse è la vera cifra di Sorrentino: in continente, esagerato, arrotondato, grandioso, tra Witz e decoro, sensuale, alla vista e al verbo.

II papato è barocco, la chiesa la Controriforma l’ha fissata al grandioso e all’eccesso - autoaffermativa. Ma Sorrentino è barocco, a ripensarci, anche senza i papi, il giovane e il nuovo. Espressivo, un occhio dilatato sul mondo. Di cui non rifiuta nulla, e tutyo santifica.
Sorrentino è scrittore di peso, in senso proprio e figurato. L’unico forse, al cinema e fuori, in quest’epoca di selfie autoassolventi, assorbenti. Hoffa-Pacino-Scorsese di “The Irishman” e August Diehl del “Giovane Karl Marx” non si rifaranno a lui, alla “Grande Bellezza” prima dei due “Pope”?
Paolo Sorrentino, The New Pope

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