giovedì 6 febbraio 2020

L’Africa non è diversa – ma ancora da scoprire

Gireranno queste fiabe, Calvino si chiedeva nel 1955 introducendo la raccolta: entreranno nel nostro patrimonio, il Numero Undici come Pollicino? Calvino era fiducioso, era ingordo di fiabe, preparando di suo la raccolta italiana, ma la vicina Africa resta lontana, per non dire estranea.
Calvino del resto ne trovava traccia nelle interiezioni dei fumetti americani, “modellate su quelle dei negri”. Opinabile, nell’Africa di allora come in quella di ora – forse tra gli afro-americani, che però non sono Africa. E nelle “favole di Uncle Rems, introdotte nel folklore nordamericano dai negri, e di cui il ciclo disneyano di Mickey Mouse non è che una tarda progenie”. Sarà, ma l’Africa non ci si ritrova.
Il curatore Radin fa molta metodologia folklorica, che poco o nulla tiene conto del contesto africano. Sul presupposto che “tutti i popoli sono ugualmente dotati d’immaginazione mitopoietica”, e in tutti i popoli operano “individui artisticamente dotati”. Unica specificità è che “la letteratura popolare dell’Africa indigena costituisce un’unica entità” – per l’Africa al di sotto del Sahara, va precisato. A dispetto della frantumazione etnica e linguistica. Per intrecci. Espedienti letterari: “Per esempio, la funzione dei canti nel contesto prosastico, la frequenza dei finali moralistici, la riconoscibile prevalenza delle spiegazioni eziologiche”. Per “il crudo realismo” anche, e insieme “l’alto grado di consapevole artificio”. E per il geocentrismo: niente divinità se non scese in terra - “è raro trovare una rappresentazione dove l’uomo appaia ancorato in questo mondo in modo più totale e indissolubile, vincolato alla terra in modo più ossessivo”.  
Una anamnesi ancora nell’ottica della scoperta dell’Africa, da fare, di un altro mondo. Da compatire certo, vecchio missionarismo coloniale, naturalmente buono, ma perché non partire alla scoperta del continente, senza pregiudizi, neanche di bontà? L’Africa attende ancora di essere scoperta.
Niente di meglio, è pure da dire, è venuto dall’Africa dopo le indipendenze, mezzo secolo fa. Prima gli africani studiavano, anche il folklore, seppure nelle università europee. Poi si è smesso.
Restano i racconti, vivaci, per una lettura non compassionevole. Di suspense (sorpresa), di moralités o sapienziali, specie degli animali, di furberia, di violenza. Propp non si sarebbe scandalizzato: niente di diverso o scandaloso. Anche i temi non sono speciali: l’innocenza perseguitata, l’incoscienza giovanile, di ragazzi e di ragazze, la lotta per il premio, l’ingiustizia (la forza). L’Africa non è diversa.
Paul Radin (a cura di), Fiabe africane

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