domenica 16 febbraio 2020

Letture - 411

letterautore
Andersch – Lo scrittore italianista, di un romanzo anche su Venezia, “La Rossa” (Venezia), fu in guerra in Italia nel 1943-44, nella Wehrmacht durante l’occupazione, poco sotto la linea Gotica, nella Toscana che fu teatro di molti eccidi. Da dove scriveva divertito alla madre, nell’autunno del 1943, di un viaggio in side-car con un ufficiale superiore: “Pisa, la Torre pendente, la cattedrale … un meraviglioso paesaggio italiano con belle facciate sull’Arno che mi sono passate davanti…. Siamo alloggiati in un carinissimo piccolo villaggio… la sera è mite e tiepida, la bottiglia di Chianti fa il giro. E per tutto questo fare il soldato al 100%. Ma è divertente”.

Costanzo Show – Sarà stato la fucina degli scrittori più amati, seppure in età – senza glamour, o appeal fisico: Camilleri e Merini.

Dante – L’ultimo remake, non tradotto, della “Divina Commedia” sarebbe (è stato così presentato, ed è reputato) di Peter Weiss, 1965, “L’istruttoria”. Un piccolo “Inferno” teatrale, “un “oratorio”, in undici canti. Limitato a un solo gruppo di condannati, i diciassette del primo processo in Germania per la persecuzione degli ebrei, a Francoforte nello stesso anno.

Sebald, “On the natural History of Destruction”, p. 189 (l’edizione anglo-americana, che comprende anche due saggi su Jean Améry e Peter Weiss), lega le pene dell’Inferno a un’esperienza personale che Dante avrebbe maturato, a Parigi: “Dante, bandito dalla città natia sotto pena di morte per fuoco, era probabilmente a Parigi nel 1310, quando cinquantanove Templari furono bruciati vivi in un solo giorno”. Un’esperienza del genere il critico dice necessaria per “la giustificazione della preoccupazione sadomasochistica, la ripetuta e virtuosistica rappresentazione della sofferenza”.

Giallo – Ha molti antenati. Del Buono faceva risalire alla Bibbia pure il giallo. Calvino invece a “Zadig”, il racconto di Voltaire, “la narrazione a procedimento induttivo” - argomentando il 24 ottobre 1972  con Franco Ferrucci, che gli aveva prefato il racconto per la collana Centopagine.

“La gabbia più vera per uno scrittore è il romanzo giallo”, Sciascia confidava a Camilleri (“La testa ci fa dire”, 81). Per imporgli un piano un piano di lavoro, una scrittura a progetto e non rabdomantica.

Italiano – I “Racconti italiani contemporanei”, una antologia di 700 pagine pubblicata in rumeno a Bucarest a maggio del 1964, tirata in ventimila copie, era andata subito esaurita – la traduttrice di Calvino, Despina Mladoveanu, lo comunicava en passant allo scrittore il 25 maggio. 

Mabuse – Il “Dr. Mabuse” di Thea von Harbou e Fritz Lang Sebald vede al finale della “Storia naturale della distruzione” ricalcato sull’ebreo prototipo dei “Protocolli di Sion”: uno di incerta origine che cavalca il potere, speculatore, baro, falsificatore, provocatore, falso rivoluzionario, ipnotista – anche il sesso praticando in forme ignobili.

Montalbano – È Sciascia, e un po’ anche Sgarbi, assicura Camilleri a Sorgi in “La testa ci fa dire”, 105-107, delineando il carattere del personaggio: “In tante cose ho preso da Leonardo Sciascia”. Non dalle opere, dall’uomo:  “Tra quelle riconoscibili, c’è il suo caratteristico impaccio nel parlare in pubblico”. Più il turpiloquio, che invece dice proprio suo, di Camilleri.

Morselli - Ovunque si è trovato contro Vittorini, che tanta pessima letteratura ha promosso da Einaudi, e tanta ottima ha bocciato da Mondadori, il Gattopardo, Živago, Simenon, Grass.
Calvino, che ha pubblicato anche lui boiate immense, ha dedicato al romanzo della vita di Morselli un viaggio in treno fino a Milano, un’ora e mezza da Torino, e gli ha negato la pubblicazione. Ma Torino è fatale, si sa, alla letteratura.

Nievo – Ha estimatore anche Camilleri, “La testa ci fa dire”, 157: “Giustamente si considera un capolavoro «Le memorie (sic!) di un ottuagenario» di Ippolito Nievo, ma nessuno parla più di un altro libro di Nievo, il fantastico «Barone di Nicastro», dal quale nasce tutto intero Calvino”.
Camilleri estimatore in aggiunta allo stesso Calvino, e a Gadda. E a Carducci, che lo ha copiato per la migliore della sue poesie, “La nebbia a gl’irti colli”.

Oscar – “Parasite”, dopo “Roma”, dopo “La forma dell’acqua”, gli Oscar sono un’altra cosa: non premiano il miglior cinema. Film senza soggetto, non degno di memoria, senza sceneggiatura, senza più immagini da repertorio, e anche professionalmente film a tirare via, i vecchi film di serie B, superpremiati. Forse perché la platea dei votanti si è moltiplicata, da tremila a forse diecimila e oltre. Di essi 5.100 erano attivi secondo una inchiesta del “Los Angeles Times” del 2012. E quasi tutti, allora, “caucasici”, cioè americani ed europei. Dopo di allora la platea, tenuta confidenziale, si sarebbe allargata molto all’Asia. Salvatores, uno di quelli che vota sempre (i premiati sono di diritto membri dell’Academy hollywoodiana), pensa che gli aventi diritto siano oltre diecimila.

Pavese – Calvino, “I  libri degli altri”, 545, lo collega a “un nietzschianesimo torinese, che ebbe in Pavese il più originale rappresentante”.

Popolare – Per la musica si è dovuto aspettare Roberto Leydi, che nel 1973 stampò “I canti popolari italiani”. Una sfida: vent’anni prima, quando Lomax realizzò la strepitosa raccolta di canti italiani, e da Einaudi uscì la “Musica Popolare” di Bartók, Calvino sul suo “Notiziario Einaudi” fece scrivere a Mila che Bartók non se ne intende, che la musica popolare non esiste, che quella di Bartók è musica colta volgarizzata. E a Carpitella, che aveva aiutato Lomax e rispettosamente lo segnalava, Mila consigliò di leggersi qualche libro, prima di andare in giro col registratore. Calvino che del popolare si è voluto un paio di anni dopo cultore, di leggende, fiabe, orchi e sirene.
Ma è vero che il popolare è difficile: molti canti della tradizione scozzese inventata da Walter Scott erano di David Rizzio, il segretario della regina Maria, assassinato nel 1566, che era nato Riccio a Torino, ed era stato ambasciatore del duca di Savoia in Scozia - lo riconosce pure Hawkins, nella “General History of the Science and Practice of Music”.

Sciascia – “Quel gioco di verità e impostura – di ascendenza pirandelliana”, in realtà “contestazione cervantino-unamuniana-pirandelliana”, con “il Gogol via Brancati”, ne è la cifra per Calvino”, che gli scrive dopo aver letto la pièce “L’Onorevole”. Vedendolo - lo consiglia in tal senso - “sul punto di liberarsi” della “compostezza manzoniana”: “Non è la compostezza illuminista che devi rompere ma quella manzoniana (Manzoni da Voltaire e Diderot aveva imparato moltissimo, ma Voltaire e Diderot i loro demoni li avevano e come; Manzoni no)”. Personalmente riservandosi con l’amico - non solo lui, anche altri nell’editrice, assicura: “Ma possibile che questo accidente di uomo sia sempre così controllato e cosciente e funzionale nella sua missione di moralista civile, possibile che mai salti fuori in persona col suo demone, il suo momento lirico e privato in contrapposizione a quello pubblico e storico, il suo «mito», la sua «follia»?” Personalmente Calvino lo individua quale “saggista letterario, sociologo della civiltà di massa e riformatore giansenista”.

Torino – Calvino, che vi visse a lungo, forse suo malgrado, non ne ha grande opinione, non come città d’arte o poesia. A Grazia Marchianò, che gli prospettava una pubblicazione sulla “piemontesità” in letteratura, arguisce (“I libri degli altri, pp. 644-645): “Ma, a parte l’abbinamento Zolla-Calvino, che è la Sua tesi, gli atri nomi non pensa che siano messi insieme un po’ a caso? Questo Piemonte, lei è ben convinta che esista?” Anche se obietta in realtà alla scelta dei nomi: “Perché c’è Arpino e non Fenoglio…? …Perché c’è Zolla e non Citati, mentre erano compagni di scuola fin dai banchi del ginnasio…. E Giacomo Debenedetti”? Di fatto la ex capitale è stata terra di geni precoci, Giaime Pintor, Gobetti, lo stesso Gramsci. Negli anni 1930 era fervida capitale delle arti: Lionello Venturi all’università, con forte presenza di architetti /Giuseppe Pagano, Carlo Mollino, Ettore Sottsass, Alberto Sartoris), scultori, pittori e letterati. E intellettuali, Pavese, Soldati, Antonicelli, Ferdinando Neri, Arnaldo Momigliano, Carlo Dionisotti. Negli anni Cinquanta i “ragazzi di via Po” di Cazzullo, i giovani alluniversità , che sono e resteranno fuori dalla costellazione Einaudi (Vittorni-Cavino): Eco, Vattimo, Magris, Furio Colombo, Ceronetti, Sanguineti, Casorati, Cremona, Spazzan. A parte il nazionalpopolare: Gozzano, Guglielminetti, Salgari  eccetera.

letterautore@antiit.eu

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