domenica 9 febbraio 2020

Lo scrittore si vende, per scherzo

Quando esula dalla “infelice dimora”, a Roma, si trascina “a punto interrogativo”, fino alle due di notte, quando i casinò chiudono. Spesso accompagnato, “nel silenzio della notte”, dall’“ombra Nepomuceno”, il predicatore molesto – “ogniqualvolta ci siano guai in vista”, cioè debiti. L’economia di Landolfi essendo, a un elzeviro apposito, “La miseria” – l’argomento ritorna sul finale della raccolta con”I quattrini”, pensierosi.
È sempre Landolfi, anche in queste che sarebbero prose alimentari. Chiusa  con (l’insuccesso di) “Un amore del nostro tempo”, 1965, l’ambizione di sfondare nel romanzo, lo scrittore ciociaro – urbano per antonomasia e poliglotta, Landolfi era ciociaro di origini -  ripiega sui giornali, e in breve produce decine di elzeviri, di cui cinquanta qui raccolti nel 1978. Consolandosi con Dostoevskij, da slavista emerito: “è dolce la sconfitta se collaudata dalla letteratura”. Pur sapendo che “non si danno altrovi”. E con una figlia di diciassette anni, “bella anche, piena di vita, d’intelligenza: e io non ci capisco nulla”.
Ma non scrive elzeviri, che erano divagazioni sul più e il meno. Scrive del meno: del fantastico, sempre. Qui a passo breve e quasi di corsa: spezzettature. Ma, poi, pratica la letteratura del frammento, che in quegli anni Sollers e Jacqeline Risset teorizzavano e praticavano in Francia: appunti, fantasie, apologhi, folgorazioni, paradossi, incubi anche, aneddoti. Battute per la battuta, che all’epoca si dicevano teatro dell’assurdo.
Lanoldfi, non si creda, era un finto disperato, già da giovane alle Giubbe Rosse di Firenze, Montale & co. lo conoscevano per tale. Dispettoso per questo: il fiorentino decreta “lingua di femmine”, o Montale dispettoso con Gadda, “un tradizionalista impazzito”. Dispettoso in generale: il conferenziere diventa il baccelliere, e poi il baccalare. Anche con se stesso, ma meno. Una difesa della inconcludenza pratica è anche accennata. Perché non ha concorso a una cattedra – “io saprei il tedesco? E la letteratura tedesca?”, e il russo, si può aggiungere. Perché non un istituto italiano all’estero – proposta probabile: “La mia poppa è qui, qui in Italia, di qui io succhio, colle aure natali..,”. Perché non un ministero – altra proposta? “Sinecura? E la mia dignità?”.
Cè anche qui il ritorno alla casa dell’infanzia a Pico – sottinteso al notabilato, se non al benessere. E la mozione degli affetti, che ognuno sottoscriverebbe: se ci si vuole bene, perché tormentarsi? Lo discute con Nepomuceno, lo ripete qua e là. Con le novità cui ha abituato il lettore: l’oscitanza, pesceduovo (omelette), marca (beccaccia), eccetera – di cui ha dato la chiave nel racconto “La passeggiata”: parole desuete ma nel Devoto-Oli (vero, nell’edizione degli anni 1970 ne era ancora pieno: l’Italia aveva cambiato registro, il dizionario ancora no).
Tommaso Landolfi, Del meno, Adelphi, pp. 333 € 15

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