È sempre Landolfi, anche in
queste che sarebbero prose alimentari. Chiusa con (l’insuccesso di) “Un amore del nostro tempo”,
1965, l’ambizione di sfondare nel romanzo, lo scrittore ciociaro – urbano per
antonomasia e poliglotta, Landolfi era ciociaro di origini - ripiega sui giornali, e in breve produce
decine di elzeviri, di cui cinquanta qui raccolti nel 1978. Consolandosi con Dostoevskij,
da slavista emerito: “è dolce la sconfitta se collaudata dalla letteratura”. Pur
sapendo che “non si danno altrovi”. E con una figlia di diciassette anni, “bella
anche, piena di vita, d’intelligenza: e io non ci capisco nulla”.
Ma non scrive elzeviri, che
erano divagazioni sul più e il meno. Scrive del meno: del fantastico, sempre. Qui
a passo breve e quasi di corsa: spezzettature. Ma, poi, pratica la letteratura
del frammento, che in quegli anni Sollers e Jacqeline Risset teorizzavano e
praticavano in Francia: appunti, fantasie, apologhi, folgorazioni, paradossi,
incubi anche, aneddoti. Battute per la battuta, che all’epoca si dicevano teatro
dell’assurdo.
Lanoldfi, non si creda, era un
finto disperato, già da giovane alle Giubbe Rosse di Firenze, Montale & co.
lo conoscevano per tale. Dispettoso per questo: il fiorentino decreta “lingua
di femmine”, o Montale dispettoso con Gadda, “un tradizionalista impazzito”. Dispettoso
in generale: il conferenziere diventa il baccelliere, e poi il baccalare. Anche
con se stesso, ma meno. Una difesa della inconcludenza pratica è anche
accennata. Perché non ha concorso a una cattedra – “io saprei il tedesco? E la
letteratura tedesca?”, e il russo, si può aggiungere. Perché non un istituto
italiano all’estero – proposta probabile: “La mia poppa è qui, qui in Italia,
di qui io succhio, colle aure natali..,”. Perché non un ministero – altra
proposta? “Sinecura? E la mia dignità?”.
Cè anche qui il ritorno alla
casa dell’infanzia a Pico – sottinteso al notabilato, se non al benessere. E
la mozione degli affetti, che ognuno sottoscriverebbe: se ci si vuole bene, perché
tormentarsi? Lo discute con Nepomuceno, lo ripete qua e là. Con le novità cui
ha abituato il lettore: l’oscitanza, pesceduovo (omelette), marca (beccaccia), eccetera – di cui ha dato la chiave
nel racconto “La passeggiata”: parole desuete ma nel Devoto-Oli (vero, nell’edizione
degli anni 1970 ne era ancora pieno: l’Italia aveva cambiato registro, il dizionario
ancora no).
Tommaso Landolfi, Del meno, Adelphi, pp. 333 € 15
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