martedì 18 febbraio 2020

Oneupmanship romana

Succede in una giornata normale di questo assaggio di primavera a Roma di essere aggrediti da un fioraio, che vi contesta un posto di parcheggio che voi non cercate, ma non si smonta e anzi vi mette le mani addosso, malgrado i tremori della ragazzetta che lo serve, africana. E insiste. O da un controllore dell’Atac che emerge dalla fitta conversazione con una vergine ammirata e vuole multarvi: lei ha timbrato dopo che noi siamo saliti, tuona, dopo alcune fermate del tram numero 8, che va lento, mentre siete saliti insieme con lui, alla stessa fermata, dietro di lui che ostruiva l’ingresso, pretendendo il biglietto da chi scendeva, e non può non avervi visto, essendo voi l’unico passeggero in attesa sulla piattaforma.

Si viene catapultati nolenti nella cronaca nera che sembra remota, conati di violenza montando fuori e dentro – da fuori a dentro. Sarà questa la barbarie, quando la cronaca nera esce dagli angiporti delle questure. 
Anche i solleciti telefonici a cambiare operatore o gestore hanno da qualche tempo accenti romaneschi. Non diversi dagli altri, per la verità, ma più importuni, insistenti. E a rischio sicuro di maledizioni a microfono spento. Mentre l’Acea, che si è impadronita dei vostri codice Pod e codice Remi qualche decennio fa, non manca di mandarvi ogni paio d’anni fatture minatorie – quanto serve per metterle a credito nei bilanci.
Il tutto in romanesco di periferia, come vuole il trend – eccetto l’Acea, bisogna dire: l’Acea manda paginate avvocatesche, qualche piccola consulenza a qualche amico\a. Conviene dirsi di periferia, è il nuovo status. Che però è sancito dalla parlata, e quindi è discriminante: lascia senza difese.
Si è diffuso da qualche tempo nella paciosa Roma una sorta di sfida universale contro il mondo, una oneumanship individuale, l’ambrosiano-bossiano “ce l’ho più duro”. Contro nessuno in particolare e contro tutti. Tutti quelli che non pongono problemi per tatuaggi, pettorali, statura, ricchezza, turpiloquio.
Si aggirano queste “periferie”, sociali più che topografiche, di piccola borghesia, come mandrie impazzite, in cerca di non sanno che cosa. Hanno votato in massa Raggi, che gli ha promesso la teleferica e gli ha tolto l’Olimpiade, per “metterla in culo” al mondo. Dormono poco, tormentati dai debiti, che non pagano. Nell’Ottocento, prima e dopo Porta Pia, si accoltellavano, per ubriachezza. Ora non si ubriacano ma le spese hanno molte: tatuaggi, aperitivi, curva Sud, roadster, sfizi e scazzi, che finiscono costosi. Saranno gli insoluti – Roma ne è sempre stata la capitale, per la verità?

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