Autore – È uno stratega. In primo luogo di se stesso: distaccato, misurato.
La prima persona al presente storico è
ingombrante, una rappresentazione doppia - del soggetto che rappresentando se
stesso si situa e si capisce. Ma anche alla terza persona: l’autore è un
personaggio della propria narrazione. Non necessariamente l’agente primo, ma
sempre primattore.
In
Aristotele il personaggio è al plurale – è più d’uno. E si chiama “agente”. Non
di polizia, ma quello che agisce, fa la realtà.
Dio
- Su Dio non si può contare, poiché ha
abbandonato Gesù: se c’è, è una presenza assente. Ma vale sempre la proposta di Tacito: meglio (“è più santo e
reverente”) credere all’esistenza di Dio che discettarne.
E
poi basta poterla raccontare, un incipit è già tutto, come sapeva Platone:
“L’inizio è anch’esso un dio che, finché resta con noi, salva tutto”.
Psicoanalista
–
Il “Dr. Mabuse” di Thea von Harbou e Fritz Lang termina il suo periplo di
potere, da un comando all’altro, con l’etichetta professionale sulla porta “Dr.
Mabuse – Psicoanalista”. Il personaggio di Thea von Harbou e Fritz Lang è derivato
– sembra, ne sceneggia il nucleo – dai “Protocolli di Sion”, e quindi, in
maniera più o meno indiretta, rispecchia l’antisemitismo dei “Protocolli”,
dell’Internazionale ebraica del dominio. Ma la professione finale non è
incongrua con la “carriera” del personaggio: speculatore, baro, capo criminale,
falsificatore, provocatore, finto rivoluzionario, ipnotista. Lo psicoanalista
non è uomo di scienza, ma in qualche modo un manipolatore – su basi o pretese
scientifiche.
Rimozione
–
È l’“oblio attivo” che Nietzsche, “Genealogia della morale”, dice il guardiano della
pace mentale e dell’ordine. Invitando a “chiudere ogni tanto le porte e le
finestre della coscienza…. un po’ di tranquillità, un po’ di tabula rasa della
coscienza, per fare ancora spazio a qualcosa di nuovo”.
In lui non ha funzionato, ma non
vuol dire – si potrebbe arguire che rimuoveva poco, iperattivo.
Risentimento
–
È un’esigenza - una forma di compensazione, auto gratificazione - ma
disfattista? Di fatto autopunitiva.
Si prendano i sopravvissuti ai
campi di sterminio hitleriani. È stato d’animo che Primo Levi con sicura
coscienza ha combattuto in tutta la sua opera. Améry – da cui pure Guia Risari
ha potuto estrarre un “Il risentimento come morale” – arguisce sintetico il
rischio in “Jenseits von Schuld und Süne”: “Il risentimento inchioda ognuno
sulla croce del suo passato. Assurdamente, pretende che che l’irreversibile sia
rigirato, che il fatto sia disfatto”. Assurdo perché lega a una impossibilità.
È altra cosa che la vendetta? E
la vendetta libera?
Storia
–
La vita è breve, la storia è lunga. Per pieghe sue inesauribili, e per
l’attitudine a volersi spiegare.
“La scrittura e la fotografia
probabilmente distruggono più del passato di quanto mai ne preservino”, Sigrid Nunez,
“L’amico fedele”, 216.
Suicidio
–
La morte di Socrate – poi dei martiri - non lo è? Sacrificarsi per la libertà è
comunemente accettato. Ma per la verità – nel caso di Socrate di un metodo di
verità?
Per quanto, Jacopo Ortis si uccide per essere ugualmente ostile al terrore
assolutista e a quello democratico. Che sembra ridicolo. Ma non si può dire che
è stato inutile.
Si
legge nei libri sui suicidi – sui suicidi scrittori? ce ne sono così tanti? -
che scrivere in prima persona è segno caratteristico di tendenze suicide. O non
piuttosto celebrative – ostensive, superbe? Nel caso dello scrittore poi
suicida che racconta in prima persona si può pensare che, poiché la sta
raccontando, non si uccida, questa suspense andrebbe esclusa. Oppure certo, si
può pensare a un testamento, lungo.
Goethe lo teorizza, e lo fa condannare,
nella lettera del 12 agosto – quella che ammazza prolisso il “Werther”, anche i
geni fanno rigaggio: “Il suicidio non si può considerare che come una
debolezza. Certamente è più facile morire che sopportare con costanza una vita
dolorosa”.
Chi accetta il suicidio giustifica
l’assassinio: è fine argomento, più o meno, di Camus.
È contagioso? La predisposizione al suicidio si acquista frequentando
un suicida.
Non sembra - se
così fosse, la Svizzera con le sue cliniche della buona morte sarebbe già a
corto di manodopera. Ma così dicono i terapeuti.
Delle morti controverse di Esenin e
Majakovskj, Tsvetaeva sostenne:
“Il suicidio non esiste, esistono solo gli assassini”, che poi s’impiccherà
povera e sola, nel Tatarstan. “Il suicidio”, aveva scritto Majakovskij,
“isolato dalla sua complessa situazione sociale e psicologica, con la sua
momentanea negazione immotivata, opprime per il tono di falsità”. Un complotto
dunque ci vuole se a spararsi è Majakovskij. O, poi, Tenco.
Yourcenar giovane sosteneva che “il
suicidio è un modo di turbare il prossimo: la vittima s’insedia nella memoria
degli antagonisti, che non può conquistare altrimenti”. Ma la morte non
cancella le persone? Il ricordo è altra cosa.
Yourcenar è vera nel senso della drammatizzazione
che del suicidio Camus fa in “Sisifo”: teatro. E bestemmia, va aggiunto. Anche
se la più oltraggiosa è dell’autore della “Città di Dio”, XXI, 14: “C’è
qualcuno che, di fronte alla scelta tra la morte e una seconda infanzia non
inorridirebbe dalla paura di fronte a questa seconda ipotesi e non sceglierebbe
di morire?”
La bestemmia di un santo? Freud al
confronto è un dilettante.
Allo stesso sant’Agostino, che però amava
la sua mamma, va attribuito l’errore-orrore di essere stati concepiti nel
peccato.
Kant
non ne aveva grande opinione: le seghe, diceva, sono peccato peggiore. Benché
sia difficile da accertare, all’ultimo momento, non si sa.
Piace anche
morire in coppia. Kleist non fu il primo, solo il più famoso, in antico usava.
Kleist fu
speciale in questo, che lo fece presto, di 34 anni, in un’epoca, il
1811, in cui il mondo era in armi contro Napolone, e trovò lei, malata di
cancro terminale, solo entusiasta all’idea: banchettarono prima, e lei pregò il
marito nelle ultime volontà, di
seppellirla accanto al poeta, non consumandosi un tradimento, ma un sogno
interminabile di romantica felicità.
Morire in coppia
adesso è più facile. E su appuntamento. Ci sono agenzie per questo, benché
sotterraneee, di anime gemelle, e siti web. Un omone della Norvegia ne ha
trovato uno in Nuova Zelanda, ha preso l’aereo, lo ha raggiunto, e insieme si
sono lanciati da uno spuntone.
È anche rituale. I giapponesi, che si
suicidano anche in gruppo, lo fanno di preferenza nella foresta Aokigahara, ai
piedi del monte Fuji, il sito per eminenza del romanticismo nipponico.
E vale anche qui
l’effetto annuncio? Il maggior numero di suicidi, in Europa e in America, si
sarebbe registrato nel Settecento, quando venivano regolarmente registrati,
come ogn altro annuncio pubblico, sui giornali.
zeulig@antiit.eu
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