Il
giudice Carcasio ha convocato i tre a palazzo di Giustizia per sottoporli a visita medica, come dire che sono
tarati. Per poi compilare una “scheda minorile medica”, prevista da una
circolare del 1933, che lascia al giudice e al medico, in apposita colonna, una
personale valutazione. Di cui Carcasio non nasconde i termini, con pesanti
allusioni all’etica sessuale dei ragazzi e delle loro famiglie. La ragazza
rifiuta, telefona ai genitori, e un processo si avvia.
L’iniziativa giudiziaria seguiva alcune
proteste. Di un gruppo di genitori. Dei “Pariniani cattolici”, emanazione di
Gioventù Sudentesca di don Giussani (Gs prima di Cl, Comunione e Liberazione).
E il 22 febbraio, su sei colonne, del “Corriere Lombardo”, “Scandalo al Parini”
– uno degli ultimi numeri dell’influente giornale milanese del pomeriggio, fondato
e a lungo animato da Edgardo Sogno. Non c’era scandalo. Non a una rilettura, ma
nemmeno all’epoca: nulla di pruriginoso, tanto meno di osceno, come Carcasio
sosterrà.
“La zanzara” dava voce alla parte femminile del liceo, che all’epoca
ne aveva poca o nulla, su tutto: istruzione, cultura, lavoro, matrimonio,
morale, religione. Lo scandalo era che le ragazze parlassero? È quello che emerge
dalla ricostruzione di Alessandra Gissi.
La storica non nasconde che per l’opinione
corrente all’epoca l’inchiesta era una novità. E che le ragazze del Parini non
si sottrassero: “Le ragazze interpellate auspicano
l’introduzione dell’educazione sessuale nelle scuole, «libertà sessuale e
modifica totale della mentalità». Sostengono che «la purezza spirituale non
coincide con l’integrità fisica». La maggior parte si dichiara favorevole
all’uso di metodi anticoncezionali durante il matrimonio. Si pronunciano in
merito alla recente proposta di legge sul divorzio definita «cauta e limitata»,
criticano l’ipocrisia come unico collante dei rapporti sociali e personali.
Sperano in una vita indipendente”. Ma – erano pure gli anni di Mary Quant,
della minigonna e del no bra – niente
di osceno: “Insomma, rispondono con piglio ma soprattutto autonomia di
giudizio, incluse quelle che si dichiarano cattoliche”.
Segue un processo.
Preceduto da una mobilitazione larga in tutta Italia, e da una manifestazione a
Milano – “in giacca, cravatta e gonne sotto il ginocchio” - contro l’incriminazione. La difesa schiera un
battaglione di grandi nomi, gli avvocati Delitala, Dall’Ora, Crespi, Smuraglia,
Pisapia padre tra gli altri. Il 13 aprile, dopo sole tre udienze, l’assoluzione:
non c’era altro esito possibile. “Alla
metà degli anni Sessanta l’Italia è ancorata a valori e codici di comportamento
tradizionali, mentre il conflitto intergenerazionale non viene intercettato
dalla politica”,
commenta Alessandra Gissi. Dall’Italia istituzionale, ancora imbalsamata – la politica
aveva già svoltato, col primo centro-sinistra, del divorzio e il nuovo diritto
di famiglia, dello statuto dei lavoratori, della prima protezione ambientale, e
del sistema sanitario nazionale. Otto anni dopo, al referendum contro il
divorzio, le donne saranno determinanti nel no, 6-4 - le donne del Sud: in Abruzzo, Calabria e
Sicilia, dove i no all’abolizione del divorzio furono la metà, furono tutti di
donne.
“I ragazzi non stanno più
al posto previsto per loro”, scriverà la storica Anna Bravo a commento del
processo. In Italia. In una certa Italia. Nel 1966, mentre Milano processava “la
zanzara”, Mary Quant entrava a Buckingham Palace: la regina Elisabetta la
nominava cavaliere, per la liberazione dell’abbigliamento femminile.
Alessandra Gissi, 16 marzo 1966, “Il Mulino”
16 marzo 2020
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