A Napoli
ci saremmo salvati
Il virus a Napoli invece che a Milano? La
reazione non sarebbe stata pronta e radicale?
Napoli sarebbe stata subito circondata da
cordone sanitario, isolata tempestivamente, con durezza, i controlli sarebbero
stati rigidi. In Lombardia invece no, non si è potuto – e tuttora non si può.
Milano addirittura si compiace, all’insegna del
“non lasciamoci abbattere”. In strada per la fitness, il primo week-end
della chiusura, per la temperatura gradevole. Con il “Corriere della sera” che
dovutamente documenta l’indisciplina, ma a Delia e a Secondigliano – Delia è in
provincia di Caltanissetta, quattromila abitanti.
Milano alla vigilia del coprifuoco nazionale si
voleva città aperta. Riaperta, con appello del sindaco, pure manager
accorto, “riprendiamoci la città”. Forse
non per arroganza, per superficialità.
Il numero dei medici contagiati in Lombardia,
uno su cinque a oggi, è spropositato, fuori da ogni comprensione. Si vanta il
numero come segno di abnegazione. No, è superficialità, improvvisazione. O il
numero dei milanesi in libera uscita malgrado i divieti e le raccomandazioni, quattro su dieci: mai visti in tempi normali
tanti milanesi per strada.
La Lombardia ha superato Wuhan, epicentro del
virus, per numero di contagi e di morti – senza contare il contagio indotto nella
Bassa padana, l’Emilia finitima. Un fatto di gravità eccezionale. Per tutti. Eccetto
che per i presidenti e gli assessori locali, che si specchiano compiaciuti, fluviali,
sugli schermi.
D’improvviso
omerici
Però è vero, almeno ventimila pugliesi, forse
trentamila, e trentumila siciliani sono scappati da Milano per infettare le
terre (e le famiglie) d’origine. Un’improvvisa epidemia di νοστοι, di ritorni
nostalgici alle origini? Si riscopre casa nell’occasione, la parentela,
l’isolamento, l’aria buona, tutto quello che si detestato e da cui si è
fuggiti. Ma la presunzione di sé è la stessa dell’abbandono, della fuga. Ci
sono delle tare tribali.
E disamministrazioni. “In Puglia ci sono 15
mila addetti alla sanità in meno rispetto all’Emilia-Romagna, che ha lo stesso
numero di abitanti”, denuncia il virologo Lopalco, nominato dalla Regione
Puglia a capo del coordinamento anti-virus. Ma il bilancio della sanità è
uguale: 7,5 miliardi in Puglia contro 9,6 in Emilia-Romagna, per una popolazione
di 4 e 4,6 milioni di persone.
Può darsi che Lopalco esageri, che i 15 mila
siano solo 1.500. Ma sono sempre tanti.
L’informazione
è l’anima del commercio
C’è stato “un esodo” dalla Lombardia e la Bassa
padana verso la Liguria, la Versilia, la Romagna (seconde case) e il Sud, ma
non l’abbiamo saputo.
C’è stata, la prima domenica della serrata a
Milano, una invasione delle strisce verdi per la fitness. Vista in qualche social, ma non nei giornali né in tv.
Eccetto in una tv, in breve e senza le immagini, giusto per esibire il sindaco
di Milano Sala con gli occhi bassi, che invita i concittadini che hanno
protestato per l’invasione a non dividersi. Le uniche cronache di “violazione
delle regole” il “Corriere della sera” fa da Secondigliano e Delia (Cl).
Riprende anche severo le raccomandazioni dei sindaci di Roma, Bari e Lecce.
Le mafie
e gli anni
Motivando la condanna per mafia della famiglia
o clan Fasciani a Ostia la Cassazione
evidenzia “condotte di sistematica valenza criminale consumate e
sedimentate nel corso degli anni”. Nel corso degli anni – dei decenni’? Ma non
è come incriminare le forze dell’ordine, e la stessa giustizia? L’azione penale
è obbligatoria, perché per le mafie si aspettano decenni?
È l’impunità che costruisce le mafie. Che non
nascono per arcani, per eredità, o per investitura, come elucubra certo
sensazionalismo. La mafia si costruisce atto per atto, prevaricazione per
prevaricazione, grazie all’impunità. Riina non era un Beato Paolo o un Carcagnosso.
Era uno che pensava di poter ribaltare a Repubblica, avendo trascorso
cinquant’anni nell’impunità, cinquant’anni di grassazioni, di centinaia di
assassinii perpetrati, molti nell’ignominia, e di stragi, ai massimi livelli
della stessa Repubblica.
Un giorno si dirà che le mafie furono l’inerzia
o incapacità dell’azione di contrasto. Certo, non ci vuole molta sociologia per
questo.
Leghismo 1960 e scrittura lombarda
“Carne magra la proprietà”, spiega al
“meridionale di Vigevano”, dell’omonimo romanzo di Lucio Mastronardi,
l’“industrialotto”, uno dei tanti, della città (allora) delle scarpe: “Se un
qual santo mi dice: Arnaldo, vuoi la proprietà o una malattia, serna!, me serni
la malattia”.
Sarà la proprietà, la “roba” verghiana,
pirandelliana, la malattia del Sud? La casa a n piani, interminata, la
litigiosità plurigenerazionale, l’improduttività, la sterilizzazione di ogni
energia - a parte i mutui a vita, per la
casa interminabile.
“Il
meridionale di Vigevano”, 1964, ha già l’antropologia bossiana del meridionale,
leghista: troppi figli, dieci in una stanza, ignavi, sporchi. E l’altra verità
del “non si affitta a meridionali”. Per metterli quattro o cinque in una
stanza, con quattro o cinque affitti – come tuttora usa nelle periferie romane,
sulla pelle di rumeni, ucraini, albanesi e altri avventurati.
Non c’è in Mastronardi l’altro stigma del
meridionale: parlare a voce alta. Mentre i suoi lombardi parlano in continuazione, veloci, a voce alta
e altissima.
Hanno una peculiarità di cui però non c’è
memoria, i meridionali di Mastronardi: parlano agli alberi. Quando hanno
problemi, soprattutto le donne, vanno a confidarsi con gli alberi. Quando muore
il suo bambino, la madre dice: “L’albero me lo disse: la terra che dà vuole
pegno di sangue”. Peggio: “Mi disse: a questa terra piace la carne vergine”.
Questo è il Meridione “altro” – bizzarro, demente, stupido: un mondo di ombre,
immaginabile a volontà.
Mastronardi, nato a Vigevano, di madre
lombarda, era di padre abruzzese. Un padre che si penserebbe importante in
famiglia, perché antifascista e per questo, dipendente pubblico (ispettore
scolastico) messo in quiescenza dal
regime. E invece non ce n’è traccia. Mastronardi figlio scrive da lombardo. C’è
una “scrittura da lombardo”? Sì, epidermica: sociologica. Di quello che e come
si vede, da Porta a Camilla Cederna – Manzoni era cresciuto a Parigi, ha
vissuto a Firenze, era credente, e una personalità forte: non sfugge al
sociologismo, ma lo sa usare.
Il “Calzolaio di Vigevano” si ambienta a
cavaliere della guerra. Alla mobilitazione, il medico militare incorruttibile è
“quel terrone dell’ostia”. Anche il commercialista - nei venti anni della
trilogia vigevanese, è sempre lo stesso - è meridionale, Racalmuto,
magniloquente ma preciso, corretto.
leuzzi@antiit.eu
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