Il delitto
d’onore, ora più spesso femminicidio, era anche in Goethe, “I dolori del
giovane Werther”, alla lettera del 12 agosto: “Chi scaglierà la prima pietra
contro il marito che in giusta ira immola la moglie infedele e il suo miserabile
seduttore?”
Di
uno che insolentisce i cinesi, vecchi di settemila anni, asserendo che “mangiano
i topi vivi”, si direbbe che è un cretino. Oppure uno che si diverte a lanciare
“topi” in rete, un buontempone. Invece è
Zaia, serissimo presidente leghista, cioè superiore a tre quarti d’Italia
(quella “oltre l’Appennino”, diceva il professor Miglio), della regione Veneto.
L’erede dei dogi.
Si
fosse diffuso il coronavirus da Napoli?
E
da Palermo?
Storie senza
storia
Si
gira per le Apuane tra nomi, Ugliancaldo, Culaccio, Cipollaio, Frigido
(torrente), Bizzarro (sentiero), Pelato (monte forestato, uno dei pochi), le
Calde, Volegno, Gabberi, Tambura, Contrario (monte), Penna di Sumbra, Pania
Secca, monte Altissimo, che è il più basso, di cui nessuno conosce l’origine e
il significato. Si gira per la Calabria meridionale come in Grecia, sapendo
leggere l’alfabeto ellenico. Le targhe dei luoghi: Platì, Calabretto, Misuraci,
Geraci, Iatrinoli. I nomi delle persone, i cognomi: Romeo, Tripodi, Foti, Laganà,
Marino, Surace, Macrì, Cordì, Crea. Di una
storia ancora recente, all’inizio dell’anagrafe comunale, che nessuno
conosce, nemmeno i professori.
La memoria si esercita più spesso sulle storie,
che può inventare, che sulla storia.
O
è la gente di montagna che perde la memoria?
Messina bis
Ritornando
a Messina dopo quarant’anni, nel 1906, nel ricordo dei mesi che vi passò di guarnigione
al primo incarico dopo l’Accademia di Modena, Edmondo De Amicis non ne sa dire
gli incanti. “I graziosi colli che le sorgono da dietro”, e “le grandi ali
bianche lungo il mare a perdita d’occhio”. I nuovi viali “eleganti e ridenti”,
“le antiche vie ariose e linde”, le piazze “ornate di palme”, i tramway che
vano fin al Faro, “distante dal centro parecchie miglia”. E “la grande strada
della Marina, su cui si stende una lunga schiera di grandiosi edifici” – la
“palazzata”. Attorniata da villa Marullo alle spalle, il grande parco verde aperto
al pubblico, un trionfo mediterraneo, di corbezzoli e sorbe in stagione, timo,
eriche, cisti, lecci. in stagione prodiga di corbezzoli e sorbe. Poi ci sarà il
terremoto.
Un
reportage lirico. “Luminosa è l’aggettivo
che mi è rimasto nella mente congiunto alla sua immagine. Come biancheggiava
splendidamente fra l’azzurro vivo del mare e il vivo verde della lussureggiante
vegetazione che copre l’anfiteatro dei suoi colli e dei suoi monti”. L’aria
“limpidissima”, i due mari, lo Jonio “turbino carico”, il Tirreno “azzurro
argentato”, per “una veduta immensa, serena, tranquilla”. Con una lunga storia
“di guerre atroci e calamità spaventose, che a poco a poco emerge “davanti alla
giocondità e alla freschezza di questa città d’aspetto così giovanile, che pare
sorta ieri per incanto dal seno delle acque!”
Ma
il danno era già fatto: “La bella Messina, privilegiata d’una delle più
favorevoli situazioni geografiche del mondo, dove due mari si congiungono,
posta quasi a contatto dell’Italia continentale e dotata d’un vasto e sicuro
porto naturale, è piuttosto in decadenza che in via d’incremento”. Era, già nel
1906. “Essa patì, forse più di ogni altra grande città siciliana, i danni di
cui si risentì in generale tutta l’isola dopo il primo rapido sviluppo di
ricchezza seguito al 1860”. Che in realtà – De Amicis laico non può dirlo – non
fu uno sviluppo, ma un mercato vivace dei beni della chiesa, la manomorta, a
favore dei traffichini vecchi e nuovi, degli “amici” e degli “amici degli
amici”, “fratelli” ma anche “sacrestani”, e senza quasi entrate per lo Stato.
Mentre pesavano i “danni prodotti dalla filossera, dalla chiusura del mercato
francese, dall’aggravamento spropositato delle imposte, dall’improvvida politica
doganale del Governo italiano, tutta rivolta a vantaggio delle industrie e
degli industriali dell’alta Italia e a scapito dell’agricoltura del Mezzogiorno
e delle isole”.
Milano
Il
processo della Procura di Milano a Berlusconi per le feste - il terzo, con i
primi due non sono riusciti a beccarlo - è suddiviso in sette stralci, Milano,
Roma, Torino, Monza, Siena, Pescara e Treviso. Si dice che cane non morde cane,
ma a Milano si può.
Lui invece, Berlusconi, trova il tempo, al tempo della peste, è del ritorno in politica tra alleati recalcitranti, a 84 anni, di lasciare la fidanzata di 34 anni per una di 30, con la quale passare una vacanza segreta (appassionata?) In Svizzera. Fidanzate più giovani dei suoi figli, che ormai gli fanno da padre e madre, ma questo non vuol dire. È che il meglio che Milano propone, colto, insomma semicolto, e con esperienza di mondo, è questo festaiolo.
Lui invece, Berlusconi, trova il tempo, al tempo della peste, è del ritorno in politica tra alleati recalcitranti, a 84 anni, di lasciare la fidanzata di 34 anni per una di 30, con la quale passare una vacanza segreta (appassionata?) In Svizzera. Fidanzate più giovani dei suoi figli, che ormai gli fanno da padre e madre, ma questo non vuol dire. È che il meglio che Milano propone, colto, insomma semicolto, e con esperienza di mondo, è questo festaiolo.
La
strategia della tensione, o l’autunno della Repubblica, prima di Mani Pulite e della
fine proclamata della Repubblica, è passata tutta da Milano. Fino
all’incriminazione di Sofri nel 1989. Ci sarà una ragione. Gli affari si
vogliono liberi.
Si teorizzava il
demiurgo, da ultimo da Burzio, l’amico di Gobetti, due torinesi dunque, come
aspirazione delle società deboli – il risolutore. Milano non è città debole,
perlomeno non in Italia. Ma ha sempre amato e imposto gli uomini forti, da
Napoleone a Mussolini, e a Bossi e Salvini.
A
Milano fu pure violentata Franca Rame. Da un gruppo di fascisti dichiarati:
Angelo Angeli, Biagio Pitarresi, un Patrizio, un Muller, nomi non meridionali.
Così, di passata, dentro un furgone, tra botte e bruciature.
Si
è brindato per questo alla caserma Pastrengo, una caserma milanese. Dei
Carabinieri. Comandata da un napoletano, è vero, il generale Giovanni Maria
Palumbo, volontario di Salò. Il tipo di napoletano che piace a Milano, gente
d’ordine, giudici, camorristi, che li aborre invece se maestri di eleganza,
eloquio, cucina.
I
carabinieri della Pastrengo sapevano da sempre, cioè lo dicevano, che Sofri
aveva fatto uccidere Calabresi. Ma non trovavano le prove, neppure un
confidente. Bisognerebbe restaurare a Milano il iudex maleficiarum dei tempi degli Sforza, la città potrebbe avere
il malocchio.
Un
vigile urbano nel fiore dell’età si suicida perché ha fermato la macchina in un
parcheggio disabili, subito fotografato, e insultato con asprezza su facebook e
twitter. È successo a Palazzolo sull’Oglio, Brescia.
I
lombardi sono inflessibili. Anche i disabili.
Un
“Coglionissimo” milanese ricorre, in italiano, maiuscolo, in Lawrence Sterne,
“La vita e le opinioni di Tristram Shandy” – al cap. diciannove del volume secondo.
A proposito di “quel certo, finissimo, sottile, e fragrantissimo succo”, la
sede dell’anima, “che il Coglionissimo Borri, il grande medico milanese,
afferma in una lettera a Bartolini di avere scoperto nelle cellule delle parti
occipitali del cervello”.
Giuseppe
Francesco Borri wikipedia dice un alchimista mediocre e un avventuriero del Seicento.
Come
un certo virologo del rispettabile, un tempo, San Raffaele di Milano, al tempo
del coronavirus e subito prima.
Il
Po da Piacenza alla foce è un acqua parco per la pesca sportiva. Monopolizzato
da skipper tedeschi, che danno le barche anche in affitto, un paio di centinaia
sono stazionate lungo il fiume. Non
pagano le tasse, scrive “Il Venerdì di Repubblica” e “si portano dalla Germania
perfino la benzina perché costa meno”. C’è sempre uno più furbo. Tra
settentrionali non è un’offesa?
Calci
e pugni a una giovane capotreno di Como, e alla stazione di Seregno (Monza
Brianza), di viaggiatori senza biglietto, nell’indifferenza degli altri
passeggeri. Milano come Napoli?
Ma
si potrebbe anche dire che i viaggiatori insensibili erano napoletani emigrati
in Brianza – questi “napoletani” sono dappertutto.
L’Italia
è ben dentro il virus cinese, l’area euroamericana più aggredita e peggio
difesa. A partire dalla Lombardia, il Wuhan italiano. Che però non si scusa, e
nemmeno si mobilita. Se non per le partite di calcio: l’Inter, la squadra
milanese-milanese (ora per la verità milanese-cinese), fa fuoco e fiamme,
denunciando imbecillità (altrui) e complotti per non farla vincere – che
equivale, nel suo sentito, a non farla vincere.
Senza
nessuna vergogna e con gusto anche degli interisti. Che non sono soltanto
milanesi. Milano è un virus? Letale?
leuzzi@antiit.eu
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