Il ritmo veloce di Johnson ne fa una farsa. Ma
anche così l’epopea dell’intrigo che è questo “romanzo storico” non dispiace –
forse nemmeno a Camilleri, che comunque ha fatto in tempo a contribuire alla sceneggiatura.
Una risata, amara. Della giustizia – della giustizia in Sicilia. E della
Sicilia, che si rappresenta tutta falsa: l’amicizia - abusata, tradita, la
donna – infoiata, il potere – truffaldino, la mafia – stupida, la furbizia. La
sola Sicilia che non si rappresenta (Camilleri non rappresenta) falsa, la
cucina, e il mare, qui mancano: è una storia terragna, chiusa, cupa.
Una superba produzione di Carlo Degli Esposti,
lo stesso dei “Montalbano”, che ha creato e alimenta il mito di “Vigata”. La
chiave di Camilleri è lo sberleffo e qui vi si dà incontenibile. Ce n’è, sul niente
(il telefono a casa), per tutti, in abbondanza. Donne, uomini, in età e
giovani, prefetti e vice-prefetti, uomini d’onore e no, amici e amiche, lettere
anonime e veritiere, Sicilia e Napoli. Sola eccezione la Polizia, come sempre
in Camilleri, opposta ai Carabinieri intriganti e ottusi. Qui nella veste - marginale: il coro della commedia classica,
il controcanto - del questore e del
delegato (commissario). E un’immagine fa sorgere impensata di Camilleri: una
sorta di Aretino. Altrettanto conformista (“sono stato fascista, e sono comunista”)
quanto irriverente, di tutto e tutti.
Roan Johnson, La concessione del telefono
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