Naufragata cinquant’anni
fa nella polemica democristiana e comunista contro il centro-sinistra socialista,
la programmazione è stata ed è la chiave dell’interminabile boom cinese. Ciò per
effetto della monoliticità del potere, controllato dal Pcc, il partito
Comunista. Ma articolato e flessibile. Occhiuto. Le “purghe” ci sono sempre,
anche se non si dichiarano, anche di grandi capitalisti o proprietari, in
teoria autonomi. Ma per errori manifesti o contestazioni serie, approfondite:
il mercato vuole sentirsi libero.
È una
programmazione a lungo termine, strategica. Sull’Africa, sull’Europa. E
tattica, adattabile – sui dazi di Trump, sulle reazioni al coronavirus. Avendo
fatto un caposaldo dell’ideologia del mercato,
sornione.
Le catene di valore
cinesi sono strettamente controllate. Dal costo e orario di lavoro, agli investimenti,
agli incentivi fiscali, alla politica monetaria condiscendente. E tenute fuori
da occhi indiscreti – concorrenti: c’è inflazione in Cina, oppure no, chi sa?
Una programmazione
di successo perché mette in campo risorse pubbliche, senza limiti. Direttamente,
attraverso l’Esercito, il più grosso soggetto capitalistico in Cina (e probabilmente
nel mondo), la Polizia, e lo stesso Partito, grandi centrali d’investimento. E
indirettamente, attraverso la banca centrale e le banche di Shangai, a
controllo più o meno pubblico. Una struttura non dichiarata - alla Cina tutto è
in questo mercato globale permesso, nel quale cioè tutti i concorrenti ci
guadagnano, giapponesi, americani, europei - ma sotto gli occhi di tutti.
Non c’è probabilmente
popolo più difficilmente disciplinabile dei cinesi. Ma il partito Comunista
Cinese è solido e avvertito: ottiene i risultati che si propone.
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