martedì 17 marzo 2020

Il soft power cinese

“Questa è una guerra. È come se fossimo stati invasi dagli alieni”. È la sintesi un un economista americano, Kenneth Rogoff, che nel 2007 ci aveva azzeccato nell’analisi e il decorso della crisi bancaria, e ora non trova il filo, se non questo. Dove però gli alieni sono tra noi, a capo di tutte le “catene di valore”, di tutte le catene produttive, tradizionali e innovative, per costi, qualità, e anche tecnologia, innovazione.
La Cina è uscita dall’epidemia in un mese o poco più, e manda fuori medici e medicine. È il “soft power” cinese, che si presenta col sorriso, generoso: commercio, consumi, lavorazioni per conto, e investimenti, investimenti, investimenti. Un forziere inesauribile. Se necessario con capitali pubblici e comunque con la protezione litica.
Un potere soft ma accorto. Il Covid-19 è diventato epidemico perché in Cina era “sfuggito” l’86 per cento dei casi quando Wuhan fu isolata, il 23 gennaio. Era sfuggito a una struttura di comando e controllo a cui non sfugge niente. Senza complotto naturalmente – né creazione in laboratorio del virus: è il mondo così com’è.
“Cecinesi”, raccontava una vecchia barzelletta toscana sugli abitanti di Cecina in provincia di Livorno, reputati per poco vispi, che così interpellati da un comiziante (in toscano “c’è i cinesi”), scapparono via. Ora i cinesi ci sono davvero, anche in forma di virus, ma bisogna tenerseli. Le “catene di valore” altrimenti si ridurrebbero, gli affari.

Nella contesa fra Stati Uniti e Cina per la leadership mondiale, il partito Comunista cinese viene senz’altro al primo posto, col soft power degli affari. Le “catene di valore” come catene di comando.

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