Nel passaggio alla nuova frontiera del digitale, il
5G, l’Europa rischia di essere tagliata fuori dal futuro, ma in questa fase non
può fare a meno di Huawei, di Zte, della Cina. I gruppi europei potenziali competitors, Ericsson e Nokia, hanno in
Cina i centri di ricerca e i fornitori. Avendo come tutti smarrito il senso comune,
di gruppo o nazionale, per via del costo del lavoro, infinitesimale, delle
leggi draconiane sul lavoro, e del capitale pubblico-privato a nessun costo, o
allora irrisorio, grazie ai consoci locali d’obbligo (“opportuni”) in Cina.
Finché c’è questa disparità normativa non ci sarà
concorrenza possibile. Il riallineamento delle condizioni concorrenziali con
Pechino può non seguire la via tentata da Trump. E forse non è possibile –
bisognerebbe avere la potenza contrattuale degli Stati Uniti. Ma è necessario.
Gli interessi aziendali e di gruppo hanno favorito
la Cina, che può operare liberamente nell’ambito della Wto, l’organizzazione
del commercio mondiale, benché fuori, o in contrasto, per aspetti fondamentali
del ciclo produttivo, dagli standard dell’organizzazione. Ma è indilazionabile.
La delocalizzazione fa boomerang – per tragica ironia si vede ora nelle produzioni
paramediche e ospedaliere antivirus che l’Occidente è costretto a importare. Gli
stessi gruppi che hanno beneficiato dell’assetto produttivistico cinese ora ne
sono minacciati.
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