La “peste pneumonica” dei libelli sarà l’occultamento
della verità, della catastrofe che si minaccia. Qui è propriamente tale. Una satira
del 1928 o 1930, quando Céline si chiamava ancor dottor Destousches. La sua
prima opera - pubblicata poi, in parte riscritta, nel 1933, un anno dopo il
“Viaggio al termine della notte”, per sfruttarne il successo. Una farsa più che
una commedia, molto svelta, con nomi che vorrebbero essere un programma invece
dei personaggi. A partire dal dottor Bardamu: non c’è Céline, ma c’è il Bardamu
che farà testo dal “Viaggio” in poi, per assonanza col poilu delle trincee, il soldatino senza difese, nella Grande
interminabile Guerra - l’esperienza della morte che segnerà per sempre il
giovane patriottardo volontario sergente di cavalleria Destouches. Niente più
si salverà, già in questa “Chiesa”, che è la Società delle Nazioni. Se non il corpo delle donne – l’impulso
sessuale, detto “la bellezza” - e anche quello incostante, una va, l’altra viene.
Lega l’azione, per così dire, il dottor Bardamu.
Al primo atto il dottore, epidemiologo in Bragamance (in Africa) per conto
della Società delle Nazioni, l’Onu di allora, della sezione che poi si chiamerà
Oms, insieme con un epidemiologo della fondazione Barrell (Rockefeller),
filosofeggia sull’inutilità della cooperazione allo sviluppo. In Bragamance si
muore infatti di “peste pneumonica”, che però le autorità sanitarie non ammettono:
“Qui non abbiamo la peste pneumonica. Ce l’hanno in Manciuria la peste
pneumonica!”.
Al secondo atto si rappresenta la futilità
delle fondazioni – oggi si direbbe del terzo settore. Che servono ai viaggi, e
alle avventure delle vergini. Fondazioni e missioni Sdn servono anche a contrabbandare
liquori, fumo, e morfina. Qui c’è pure il futuro medico dei poveri: “Mi farò
una piccola clientela a Bois-Colombes”, così Bardamu lusinga la ballerina newyorchese
dalla forti gambe.
Al centro della commedia, all’atto terzo, è la
Società delle Nazioni a Ginevra. Dove si dibatte l’unificazione dei sistemi e delle
terminologie di registrazione dei casi di morte – tale e quale oggi, che di
coronavirus si muore a decine di migliaia, oppure solo a decine. Prospettando
la costituzione di un comitato di esperti. E si lavora alla cresta sulle spese
di missione. Col balcanico profittatore, l’Idealista Scandinavo, il Ventrenord
Sassone. Nell’ufficio del direttore del Servizio Compromessi, di nome
Yudenzweck. Con un direttore degli Affari Transitori, di nome Mosaic. E un
direttore del Servizio Indiscrezioni, di nome Mosè.
Ma non c’è l’antisemitismo, non ancora. Yudenzweck
è “un omino vestito da ebreo polacco: lungo spolverino nero, lungo copricapo,
occhiali spessi, naso estremamente adunco, ombrello, ghette”. E licenzierà Bardamu,
che “non ha spirito amministrativo”. Ma non c’è livore antisemita. Qualche
elemento c’è: all’obiezione di Mosaic, “non ci staremo esponendo troppo, come i
gesuiti?”, Yudenzweck risponde: “I gesuiti non erano abbastanza ricchi”. Ma ha
sempre protetto l’incompetenza burocratica del dottor Bardamu. E lo licenzia
con queste credenziali: “Intelligente, temperamento artistico, scientificamente
mediocre, amministrativamente incapace, individualista, poco governabile” – che
è una colpa, perché alla Società vige “il collettivo”. Dicendo fra sé e sé di
Bardamu quello che il futuro Céline penserà di sé: “È un ragazzo che non ha
nessuna importanza collettiva, è solo un individuo”. Soprattutto gli pone, dopo
lunghe esitazioni, “era tanto che volevo chiederglielo”, la domanda ferale: “Ma
lei, perché ha studiato medicina?”
Una satira delle buone intenzioni. “Una rivista aristofanesca”, la annuncia Céline
scrivendo a un amico. Ma è anche un esame di coscienza a metà vita, quando
Céline rifiuta la vita comoda, il posto alla Sdn e la moglie ricca e
innamorata, per le forti ballerine americane, che vanno e vengono, l’ambulatorio
di periferia, e la scrittura, furiosa, in solitario. Yudenzweck è il vero capo
di Céline a quella che oggi è la Oms, l’organizzazione delle Nazioni Unite per
la sanità, il dottor Rajchman, che lo ha sempre protetto. Da lui Bardamu si fa
anche dire l’essenziale, quello che sarà il suo vangelo di scrittore: “Chiunque
conosce l’alfabeto è un autore che non va trascurato, Bardamu”. Il potere delle
lettere non è nella scrittura ma nel conformarsi. “Lei non dominerà mai niente,
mai nessuno”, trascurando i documenti, insiste: “I documenti sono un ottimo mezzo per dominare.
Quando un barbaro impara a scrivere acquisisce una nuova specie di vanità che
noi possiamo lusingare. Possiamo perciò farlo diventare un amico, cioè un
debole. La maggior parte di queste persone sono illeggibili tanto sono vuote, e
io le leggo”.
Un’ottima introduzione ne ricava fondati
elementi di quello che sarà Céline. Il nichilismo – acquisito, nella sporca
guerra. Il “rendu émotif” poi tanto
avocato, “per caratterizzare la sua scrittura aconcettuale e acontenutistica”.
L’incumbent di una vita dottor Semmelweiss,
da Céline incontrato per la tesi a Medicina, il benemerito della sepsi o
disinfezione batterica, già col semplice lavarsi le mani, licenziato per questo dall’ospedale a Vienna - morirà lui stesso di setticemia quasi procurata, un’infezione durante un
intervento chirurgico, subito dopo che Pasteur ne ebbe validato la teoria.
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