È tutto detto nel primo capoverso del secondo saggio,
quello più onnicomprensivo. Che la poesia popolare pone tra virgolette, partendo
dall’invenzione della tradizione in Scozia e in Inghilterra, da Ossian in qua. Poi
“naturalizzata” e generalizzata dal pre-romanticismo tedesco, Herder, lo stesso
Goethe, Schlegel, Uhland, i fratelli Grimm. Con una curiosa inversione temporale:
“È evidente che già nel Vico o nel Rousseau germinano certe nozioni, sia pure appena
espresse, che si svilupperanno nella passione alto-romantica per la poesia
primitiva”.
Un’apertura confusa, “La poesia popolare
italiana”, tra pre- e alto-romantico, che sono la stessa cosa. E un “alto”
contemporaneo “di Vico e di Rousseau”, i quali invece si distanziano di due o
tre generazioni. Ma la confusione portando nello stesso capoverso iniziale
(conclusivo, riassuntivo, come di pratica saggistica) a ottimo termine: una
poesia “implicante un regresso nel parlante udito come specimen di un’idealizzata collettività, e quindi coincidente con
la scoperta, così densa di futuro, della «nazione», in senso etnico e patriottico
prima, socialistico poi”.
In questo inizio c’è tutto. Senza le incertezze
successive sul concetto di “popolare”, e della stessa poesia. I nodi sono noti,
e non si sciolgono – ma il tema, certo, non appassiona più (il populismo
esclude il popolare?). Popolare come adattamento del colto? allargamento della audience? della tematica? della finalità
(poesia per il popolo?)? È l’uso del
dialetto. Limitiamoci a questo. Pasolini si limita a questo. Anche se ne farà
pratica intellettualistica – il popolare verace vuole, col dialetto o con la κοινή, anche il ritmo, meglio se in
settenari o ottonari cantanti, con la rima.
Pasolini non è comparatista. Ma assumendosi il
compito di “formare” la tradizione popolare italiana, che ritiene scoperta, a
fronte di quella inglese e di quella tedesca, legge molto. E molto ha recuperato,
operando sulle raccolte precedenti: una tradizione che, quale che sia il senso
del popolare.
È la rassegna che mancava. O, in altri termini,
una ottima base censitaria per una storia della poesia popolare, che poi non si
è fatta. Ma molte annotazioni restano nuove. Il recupero del Nigra, il
diplomatico che fu studioso appassionato e acuto del genere - “L’Italia rispetto
alla poesia popolare (come rispetto ai dialetti) si divide in due zone: Italia
inferiore, con substrato italico; e Italia superiore, con substrato celtico”. E
di molto Croce. Oltre che di Gramsci, naturalmente, che per primo ha posto il
tema. Nonché del nazionalismo, che ha base etica, “nel binomio «Popolo e Dio», che vale tanto per il reazionario
von Arnim che per il rivoluzionario Mazzini”.
Molto se ne può ricavare su Pasolini stesso,
come si poneva - prima del mito. In nota, p. es.: “È di questi anni la scoperta
(dovuta a Bo) e la moda in Italia del popolareggiare andaluso (squisito) di
Garcia Lorca”. E nel testo: “Non avevano poi tutti i torti i romantici a
parlare, ingenuamente e apoditticamente, di una creazione collettiva ed
etnica”. Del poeta-vate: se “l’individuo inventante” non inventa se stesso ma
espone, sintetizza, “una collettività e una razza, considererebbe anzi
disonorante non essere tale”. Una sorta di manifesto.
Una ricerca che da sola vale una vita. Un Pasolini
ne viene fuori romantico-romantico. Anche questo in nota – citando da un saggio
di Pasquali, compresi i puntini di sospensione: “Romantico è il senso vivo per
l’unità integrale di tutte le manifestazioni dello spirito in tutta una età. E
romantica è anche la distinzione netta fra tradizione dotta e tradizione
popolare; romantica la fiducia soverchia riposta in quest’ultima…” Il ritratto
del poeta civile. Corroborato da una sorta di autoritratto in “Pascoli”, un
saggio che Pasolini ha collocato, nella compilazione successiva, “Passione e
ideologia”, subito dopo questo “La poesia popolare italiana”. Di quando non si era
ancora immerso-perduto nell’impegno, nella fedeltà al Partito, e
nell’attualità, inconclusivo – si ritroverà nel cinema. “La semplicità (o
altrimenti, per assurdo l’unilinguismo,
malgrado la materia semidialettale) dello stile popolare, è in effetti la superficie
– semplice, o semplificante per fossilizzazione, per fusione – di un mondo
complessissimo ed estremamente composito, babelico, d’influssi culturali e stratificazione
stilistiche” è la provvisoria conclusione.
Pier Paolo Pasolini, Canzoniere italiano, Garzanti, pp. 666 € 22
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