In trattamento per il cancro al
seno, l’inizio di una lunga vicissitudine, Susan Sontag reagisce contro la
colpevolizzazione del malato. Sia pure indiretta, attraverso le nozioni non tanto
di punizione, individuale, personale, ma di colpa sociale, epocale. La tbc, il
cancro, malattie insidiose, non prevenibili, e degenerative, sono associate a
significati in qualche misura morali. Un’opinione sbagliata scientificamente,
dice subito Sontag. E, nel linguaggio degli anni 1970, reazionaria: effetto della
fantasia reazionaria di un mondo senza cancro come senza sovversivi.
Il titolo italiano, della vecchia
traduzione Einaudi, 1979, “La malattia come metafora”, è traditore, come di una
predica quaresimale - siamo polvere e in polvere torneremo. Il titolo, e il
saggio, è sulla “malattia come metafora politica”. Che poi Sontag aggiornerà
all’Aids. Qui esamina le due malattie finoa ad allora tipicamente “metaforiche”,
la tbc e il cancro.
La malattia resta una metafora
forte. Male, malattia, che differenza c’è – di un castigo senza colpa? Il senso
morale c’è tutto. E tuttavia il discorso di Sontag filerebbe oggi, che non è
più in ballo la malattia come castigo di Dio, ma come effetto della mobilità
connessa alla globalizzazione. Di una non “efficientizzazione” – in Italia, per
esempio, rispetto alla Corea, a Singapore, a Hong Kong, a Taiwan, o alla stessa Cina continentale, in
tema di corona virus.
Curiosa, nelle “metaforizzazioni”
che Sontag assume, quella della leucemia. Di cui non riscontra colpevolizzazione
nella “letteratura commerciale”, perché, spiega, è una forma di cancro non tumorale, il
nome la associa al bianco, colore della purezza, e non si cura con mutilazioni chirurgiche.
Metaforizzazione curiosa perché, alla fine, morirà di leucemia. .
Susan Sontag, La malattia come metafora
Disease
as political metaphor,
“The New York Review of Books”, 23 febbraio 1978, free online
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