martedì 10 marzo 2020

Letture - 413

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Alfabetizzazione – Era alta in Italia nel Cinquecento. Alla fine del secolo il 33 per cento degli uomini e il 13 per cento delle donne risultavano alfabetizzati, in grado di leggere e scrivere. Le percentuali corrispondenti in Inghilterra erano il 12 e l’1 per cento.

Diotima – La platonica teorica dell’amore della bellezza di una persona come amore dell’idea di bellezza del mondo è elevata da Marsilio Ficino, nella lettura-interpretazione dei dialogo platonico, a metro dell’amore, con la “scala d’amore” - una misurazione dell’amore. L’identificazione non è immediata, arguiva, ma progressiva, dall’amore terreno alle sfere celesti, e senza interruzione o conflitto.

Fahrenehit – La distruzione dei libri è ricorrente. Si può dire che ogni “futuro” è previsto senza libri. Nievo non manca, nella “Storia filosofica dei secoli futuri”.  Il prototipo – anche di Nievo – è probabilmente Louis Sebastien Mercier, “L’An 2440”, 1770. Che comunque correttamente antevede la distruzione del libro: nell’ambito di una educazione di tipo russoviano - la natura non contempla cultura.

Femministo – Si disse di Alessandro Dumas jr., quello della”Signora delle camelie”, l’uomo che elogia e promuove la donna. Protofemministo si può dire Ariosto, al canto 37 dell’ “Orlando Furioso”, quello che celebra “le valorose donne” – in particolare le guerriere Bradamante e Marfisa, vittoriose sul tiranno Marganorre. Introducendo il canto, il poeta lamenta quanto sia difficile per le donne avere riconosciuti i loro meriti: “Non le vorrian lasciar venir di sopra,\ e quanto puon fan per cacciarle al fondo: \ dico gli antiqui” – anche se a seguire fa una lunga lista di celebrate grandi donne nell’antichità. In particolare ne difende l’eccellenza come scrittrici. Tante, dice, che non sa come procedere: “Ho da tacer d’ognuna,\ o pur fra tante sceglierne sol una?\ Sceglieronne una”, decide. E fa seguire sette ottave in lode di Vittoria Colonna. Concludendo: “Donne, io conchiudo in somma ch’ogni etate\ molte ha di voi degne d’historia avute”. Misconosciute finora “per invidia di scrittori”, ma “il che più non sarà, poi che voi fate\ per voi stesse immortal vostra virtute”.

Prima di Vittoria, eccellente in poesia, Ariosto elogia un’altra Colonna, eccellente in virtù: Isabella Colonna, la principessa di Sulmona, sposata Gonzaga. Una cugina di secondo o terzo grado di Vittoria.
Isabella era figlia di Vespasiano Colonna, duca di Traetto e conte di Fondi, figlio di Prospero dei Colonna di Traetto e Fondi, secondo cugino del capocasato Ascanio – di cui Vittoria era sorella. Sposato due volte, dapprima con Beatrice Appiani, madre di Isabella, e poi, da vedovo, con Giulia Gonzaga, un matrimonio senza figli, Vespasiano aveva legato tutto in morte, nel 1528, all’unica figlia. Ma Ascanio contestò la disposizione. Per decidere la lite dovette intervenire il papa, Clemente VII, col quale peraltro Ascanio era in lite, che ne tacitò le pretese passandogli la fortezza di Paliano.

Gran Premio della Crusca – Fu attribuito nel primo Ottocento, con periodicità variabile, sui fondi elargiti da Napoleone con decreto del 1809. Il decreto concedeva alla Toscana l’uso dell’italiano invece del francese, negli atti pubblici come nelle scritture private. E istituiva un premio letterario: “Fondiamo col presente decreto un premio annuale di 500 napoleoni, i di cui fondi saranno fatti dalla nostra lista civile e che verrà dato, secondo il rapporto che ci sarà fatto, agli autori le cui opere contribuiranno con maggiore efficacia a mantenere la lingua italiana in tutta la sua purezza”.
Resta famoso quello del 1830, che fu assegnato a Carlo Botta per la sua “Storia d’Italia”. Costringendo Manzoni, che ci teneva, a ritirare “I promessi sposi”. Leopardi, che aveva estremo bisogno dei mille scudi in palio, ottenne per le “Operette morali” un solo voto.
Il napoleone o marengo era una moneta d’oro con un peso netto di oro puro di 5,805 grammi. Lo scudo una moneta d’argento 900 da 25 grammi.

Marchio di stampa – “Stigma of print” è nella storia letteraria inglese il riserbo di scrittori e poeti, che non gradivano e quasi temevano la stampa delle loro opere, cioè la diffusione generalizzata,  come un marchio di disonore. Ramie Targoff lo rievoca a proposito di Vittoria Colonna, di cui fa la storia in “Renaissance Woman”, che protestò, benché blandamente, contro le varie raccolte dei suoi sonetti e poemi che si fecero da parte di editori a lei sconosciuti, a fini venali, per capitalizzare sulla sua rinomanza di donna bella, colta e di principi. Lo “stigma” Targoff dice forte soprattutto nel Rinascimento inglese, di cui è studiosa: “Perfino un grande poeta come John Donne descriveva il suo rincrescimento di sentirsi «sotto una inevitabile necessità» di pubblicare i suoi versi, come se volesse fare qualsiasi cosa pur di evitare questa sorte (alla fine, Donne riuscì a resistere alla stampa se non per un piccolo numero di poesie  d’occasione, col risultato che la prima edizione dei suoi «Songs and Sonnets» apparve nel 1633, due anni dopo la sua morte)”. I componimenti venivano dedicati e avevano ristretta circolazione, tra amici, e solo per chiara fama, non indistintamente.

Milesio – Marco – Milesio o Milesi – era “un uscocco da lui spasiamto”, secondo il conte perfido Carlo Gozzi. “Da lui” Carlo Goldoni. A Roma nel 1759. In arte Marco si chiamava Fosildo Mirtunzio.
“Milesio” sarà in De Roberto a volte Giolitti, ne “I viceré”, a volte Depretis, ne “L’Imperio”. Cioè sempre il capo del governo, ma uno del genere “trasformista”, che raccoglieva voti a sinistra e a destra.

Sepoltura congiunta – Esercitata in Inghilterra, fra uomini, è pratica che sir corda per i casi celebri di due religiosi letterati. Il cardinale Reginald Pole, che tornato in Inghilterra dopo una vita in Italia, chiese e non ottenne la dispensa papale per condividere la sepoltura col suo amico friulano di una vita, Alvise Priuli.  E il cardinale Newman, santo eccentrico, il cui motto era “cor ad cor loquitur”, i cuori si parlano: volle e ottenne di essere seppellito, 1890, insieme con Ambrose St.John, un frate suo amico dai tempi del collegio, “la cui morte”, disse, aveva pianto “più di un marito, o di una moglie”.
Pole, di famiglia di nobiltà, in contrasto con i Tudor, Enrico VII e, soprattutto, Enrico VIII, era sopravvissuto a vari tentativi di assassinio da parte di quest’ultimo. Uno in Veneto, a opera di un sicario inglese, nella villa di Priuli dove il cardinale riposava dalle fatiche del concilio di Trento.

letterautore@antiit.eu

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