Un tema allettante: il
“giallo” dell’esistenza. Non c’è risposta al quesito, benché l’indagine sia
laboriosa, con molti testimoni, anche molto intelligenti. Ma bisogna saperlo.
La “detective story filosofica” del sottotitolo si legge per questo,
pur subodorando che il dénouement non ci sia, con
soddisfazione – indigesto, impensabile, un giallo senza svolta finale, ma qui
vale il criterio opposto: vediamo come tutti vanno a sbattere.
Il proposito è semplice:
“Veloce dimostrazione del perché esiste qualcosa piuttosto che il nulla, per
gente moderna e parecchio impegnata”. Veloce no, Holt interroga numerosi
“esperti” o comunque cultori della materia. Per pagine molto lunghe a corpo
minuto. Partendo da Leibinz, quello del “migliore dei mondi possibile” che
tanto Voltaire si occupò di irridere, in “Candido” e non solo.
E dal presupposto:
assurdo io, assurdo un universo senza spiegazioni. Scartando le “cause finali”,
che portano sempre “a pessimi esiti” – quelle che facevano ridere Voltaire, del
tipo “perché piove?” “per far crescere le piante”, ma questo in primavera, e in
autunno? Interpellando “filosofi, teologi, fisici delle particelle,
cosmologi, mistici, e perfino un grandissimo scrittore americano”, che è John
Updike, ma anche fisici teorici, matematici, e moralisti, nonché le Scritture.
Il problema è recente.
Prima, nella Bibbia, c’era il caso, non il nulla. Sono i primi padri della Chiesa
che trovano più conveniente all’onnipotenza di Dio la creazione ex
nihilo. Poi imitati dalla teologia islamica. E dal pensiero ebraico
medievale - Maimonide. E resta un problema cristiano, da filosofi
cristiani, Holt si fa spiegare da un arguto ateista, Adolf Grünbaum, “il più
grande filosofo della scienza vivente” – ora morto, due anni fa: nonché la
Bibbia, i greci e gli indiani non se lo pongono.
Heidegger lo ripropone,
spiega Holt arguto, nel 1935, al corso accademico da rettore nazista di
Friburgo, “sostenendo che «Perché vi è l’essente e non il
nulla» è «la più vasta», «la più profonda» e «la più originaria»
delle domande”. In realtà il corso estivo del 1935, che sarà poi pubblicato
come “Introduzione alla metafisica”, è di oltre un anno dopo la “dimissione” di
Heidegger da rettore.
Il libro riepiloga e
spiega tutte le ipotesi storiche: “l’argomento cosmologico”, “l’argomento
ontologico”, il “multiverso”, il “principio di fecondità”, etc. una casistica énaurme direbbe padre Ubu. Di passaggio
Holt, saggista, esperto divulgatore di filosofia, per un periodo “Archilochus
Jones” sul web, esplora e ripropone eventi e concetti sorprendenti o trascurati.
L’avventura dello zero. Il gesuita di Lovanio che “inventò” il Big Bang nel
1927, Georges Lemaître. L’“insieme vuoto” - l’insieme delle
presidentesse americane. Ma non insegna nulla, la sua è piuttosto una
passeggiata tra i divertimenti, seri, di fisici, filosofi, ontologi, teologi,
eccetera, tutti quelli che sanno, e non sanno perché. Però, forse è
come dice Max Scheler, “il diplomatico e filosofo tedesco”: “Chi non abbia mai,
per così dire, gettato lo sguardo nell’abisso del Nulla assoluto, finisce
fatalmente col perdere di vista il carattere eminentemente
positivo della consapevolezza che esiste qualcosa, anziché il
nulla”.
Con
qualche pointe, qua e là, per alleggerire
il mattone. Sartre è “Hegel al café Flore”. “Oltre Reno, horresco referens”, c’è solo “il
“farraginoso Heidegger” – si cita, di sfuggita. Contro il multiverso, in tutti
i versi - anche quello che Woody Allen (sic!) confessa a una rivista cattolica.
Stringhe comprese. Divertito con i “platonici”, Gödel (Escher), Thom, Feynman,
Penrose, e per essi Leslie, con cui Holt dialoga a lungo. Gradevolissimo si
manifesta da ultimo Updike, filosofo della domenica, studioso di Karl Barth, in un paio di romanzi (“La
versione di Roger” è uno) e al telefono, e (forse) il più vicino alla cosa. Prescelto
tra i luminari per la formula della
poesia “Midpoint”, 1969: COSCE = 1 / ANGOSCE, ma scelta non anomala, tanto per
ingolosire il lettore fra tanto filosofame - lo scrittore è di sicuro il più
chiaro, leggere per credere, quello che meglio ha presente e presenta il
problema.
Uno degli autorevoli,
simpatici, testimoni, Richard Swinburne da Oxford, anche lui epistemologo di
rango, semplifica il problema: “Resta il fatto che un universo c’è, mentre
potrebbe non esserci stato”. Holt non prende posizione. L’ultima sua parola è
“all’apatia cosmica”.
La traduzione, di Luca Fusari, è un gran lavoro d’invenzione.
Jim Holt, Perché
il mondo esiste?, Utet, pp. 365 € 16
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