La mossa, caduta alla vigilia della
catastrofe di Borsa per effetto del virus, ha perso il suo scopo. Per ora. Ma in
parte ne è anche rafforzata.
Lo scopo era colpire l’industria petrolifera
americana, che ha costi molto elevati, per le produzioni a grande profondità,
off-shore, e da scisti bituminosi. Per
un trade-off con le sanzioni. Che l’America applica, stancamente, a difesa
dell’Ucraina dopo l’annessione russa della Crimea – e l’Europa altrettanto.
Il crollo dei prezzi del greggio per
effetto del crollo delle attività produttive ha disinnescato la mossa russa. Ma
nel quadro di una crisi da bancarotta per l’industria petrolifera americana. Alla
quale il sostegno russo a un cartello produttivo che tagli radicalmente le esportazioni
diventa ora più che mai indispensabile.
La crisi si è acutizzata da un lato e
dall’altro. Anche la Russia è alle strette, ha urgente bisogno di valuta, e
quindi di vendere idrocarburi.
È un braccio di ferro tra Mosca e
Washington. Ma la Russia ha un regime monocratico monolitico, può ancora
stringere la cinghia. Mentre il petrolio americano rischia il fallimento, malgrado
la forte iniezione di liquidità pubblica, se il barile non risale sopra i 60
dollari.
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