venerdì 27 marzo 2020

Petrolio vs. sanzioni

La Russia ha rotto il cartello degli esportatori di petrolio, facendone crollare il prezzo. Pur essendo in bisogno di valuta, in estremo bisogno.
La mossa, caduta alla vigilia della catastrofe di Borsa per effetto del virus, ha perso il suo scopo. Per ora. Ma in parte ne è anche rafforzata. 
Lo scopo era colpire l’industria petrolifera americana, che ha costi molto elevati, per le produzioni a grande profondità, off-shore, e da scisti bituminosi.  Per un trade-off con le sanzioni. Che l’America applica, stancamente, a difesa dell’Ucraina dopo l’annessione russa della Crimea – e l’Europa altrettanto.
Il crollo dei prezzi del greggio per effetto del crollo delle attività produttive ha disinnescato la mossa russa. Ma nel quadro di una crisi da bancarotta per l’industria petrolifera americana. Alla quale il sostegno russo a un cartello produttivo che tagli radicalmente le esportazioni diventa ora più che mai indispensabile.
La crisi si è acutizzata da un lato e dall’altro. Anche la Russia è alle strette, ha urgente bisogno di valuta, e quindi di vendere idrocarburi.  
È un braccio di ferro tra Mosca e Washington. Ma la Russia ha un regime monocratico monolitico, può ancora stringere la cinghia. Mentre il petrolio americano rischia il fallimento, malgrado la forte iniezione di liquidità pubblica, se il barile non risale sopra i 60 dollari.

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