“La vita di Vittoria Colonna” si direbbe
un’impresa impossibile: il racconto, la storia, di un personaggio-non-personaggio.
Certo, la prima donna ad avere pubblicate le sue poesie in vita – che comunque
circolavano, le leggevano tutti quelli che volevano e dovevano, anche se
autografe. Corrispondente e confidente in tarda età di Michelangelo, per il
comune straziante bisogno di fede. Amica e protettrice di molti letterati. “La
più famosa donna d’Italia”, Burckhardt. Ma personaggio stinto, tra lutti e
sacrestie (la marchesa di Pescara, come veniva indirizzata, da vedova visse a pensione
nei conventi), eccetto che per la passione letteraria. Su cui Targoff
costruisce una storia affascinane. Veritiera, non d’invenzione. Singolare per
la capacità di entrare in confidenza con un mondo per tanti aspetti
estraneo, di epoca ma anche di modi, gusti, mentalità, e farlo sentire
nostro, contemporaneo - perfino a un pubblico americano: un capolavoro di filologia. E affascinante di scrittura.
Di sapienza drammatica e finezza filologica.
Una vita anche di solido impianto storiografico.
Il contesto è talmente dettagliato e qualificato da risultare nuovo perfino a chi non è digiuno del primo Cinquecento. Dalle famiglie Colonna e
d’Avalos (Vittoria fu sposata a un d’Avalos) alle Guerre d’Italia tra Francia e
Spagna, che negli anni della marchesa di Pescara, primo Cinquecento, tentarono
la distruzione della penisola - con particolare accanimento di Carlo V, cui
Vittoria era devota - e comunque la spogliarono e la divisero. Alla scena
letteraria italiana di quegli anni, all’ingrosso e in dettaglio, da Castiglione
a Giovio, Aretino (aveva una componente sacrestana), Bembo, Ariosto, Tasso
(Bernardo) et al. Celebrata anche dal Berni, si può aggungere
alla copiosa documentazione presentata dall’autrice, in un sonetto a lei
dedicato, “Alla marchesana di Pescara”, già nel 1525, alla morte del marito
alla battaglia di Pavia, quando ancora non era conosciuta come poetessa e dama
munifica, e anzi meditava il suicidio.
Una trattazione anche, semplice e acuta, dei temi controversi e non propriamente affascinanti della Riforma e della Controrifoma. Con acribia filologica, soprattutto nelle innumerevoli traduzioni di lettere, sonetti e poemi di Vittoria e a Vittoria. Estesa ai particolari.
Una trattazione anche, semplice e acuta, dei temi controversi e non propriamente affascinanti della Riforma e della Controrifoma. Con acribia filologica, soprattutto nelle innumerevoli traduzioni di lettere, sonetti e poemi di Vittoria e a Vittoria. Estesa ai particolari.
Un Rinascimento si direbbe delle donne,
attraverso Vittoria Colonna. Anche questo in Italia, prima che l’Italia
perdesse, con la libertà, l’intelligenza e la fantasia.
Specialmente si segnala la cura dell’italiano
nel testo. Degli originali di Vittoria, lettere e poemi. E dei termini d’epoca
di cui non c’è equivalente esatto in traduzione, “sprezzatura”, “cortigiano”,
“bramare”. Un solo errore di stampa è riscontrabile - ma si direbbe da 5 Stelle: “vitilazi”
per “vitalizi”. E una rocca di Astuna, che dovrebbe essere Astura. Nessun libro
italiano, di ricerca o di narrativa, è così perfetto nella compitazione e nella
toponomastica. Uno solo l’errore anche di fatto – una inavvertenza più che un
errore: nel 1556 è papa Paolo IV, non più Giulio III, ed è lui a scomunicare
Ascanio Colonna, il capofamiglia fratello di Vittoria. E una omissione notevole: dei sei madrigali indirizzati fra i tanti alla marchesa da Egidio da Viterbo, il superiore degli Agostiniani al tempo di Lutero, filosofo e oratore di rilievo, protagonista della Roma papale del primo Cinquecento.
Un’opera tanto più apprezzabile in quanto non
si fa più da tempo, in Italia, storia dell’Italia, non di questa qualità. Di una specialista peraltro non
specialista: Targoff è professore di
Inglese, anche se codirige alla sua università, Brandeis, il programma di studi
italiani. Studiosa di John Donne e del Rinascimento inglese.
Ramie
Targoff, Renaissance Woman, Farrar,
Straus and Giroux, pp. 342, ill. € 16
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