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lunedì 30 marzo 2020

Secondi pensieri (414)

zeulig
Contratto sociale – L’idea di Rousseau è la più sottile di ogni concezione politica: il contratto è l’accettazione, latente e continua, di ogni individuo di far parte di un certo gruppo, anche se in minoranza o in dissidio. Non è però la regola della democrazia – si può accettare anche la tirannia.
È un principio di identificazione, e la misura della stessa.

Dio – È la più grande invenzione: dell’Inventore Universale.
È il cervello umano all’ennesima potenza - collere incluse, anche manesche. Non è altrimenti pensabile.
È il vecchio animismo, con i libri di storia e filosofia – e con Einstein.

“L’unica immagine di Dio è l’uomo vivo”, Giovanni Gennari?

Entropia – È (anche) social, argomenta Lévi-Strauss, “Primitivi e civilizzati” 47-55: “Le società somigliano un poco alle macchine, e vi sono due tipi di macchine: le meccaniche e le termodinamiche”. Le prime “possono in teoria funzionare indefinitamente con l’energia iniziale”. Le seconde “consumano la loro energia e progressivamente la distruggono”. Le prime propone di chiamare “fredde”, “orologi paragonati a macchine a vapore, che producono pochissimo disordine (i fisici lo chiamano «entropia»)”. Le macchine a vapore vano invece per differenza di potenziale, e le nostre lo ottengono “attraverso forme diverse di gerarchia sociale” – “schiavitù, servitù, divisione di classe”.
Se non che la differenza, più o meno irriducibile, è produttiva: “La società è una macchina e contemporaneamente è il lavoro prodotto da questa macchina. In quanto macchina a vapore essa crea entropia ma in quanto motore fabbrica l’ordine”. L’entropia sociale attiene alla cultura – “la cultura fabbrica l’organizzazione: coltiviamo la terra, costruiamo case, confezioniamo oggetti…”. La società è altro, ma è complementare alla cultura, che causa l’entropia.

L’entropia entra nelle scienze sociali con Gobineau, afferma ancora Lévi-Strauss: “Per primo ha intravisto l’elemento entropia, cioè il disordine, che è un fattore concomitante del progresso e caratterizza in modo essenziale la società”. Ma, situandolo “«naturalmente» il più lontano possibile dalla cultura”, naturalmente per il suo tempo, “lo ha situato nella natura, a livello delle differenze razziali”.

Religione – Si propone il papa a ogni ora del giorno durante il contagio, sulla piazza di san Pietro da ultimo come in un film della serie di Sorrentino (“The Pope Alone” subito bollato sui social), dopo aver detto messa la mattina, e dato la benedizione a mezzogiorno con un fervorino, e si vede, si sa, si sente che è solo, che dice messa e si parla da solo. L’immagine di desolazione rinnovando originaria, della sua passeggiata sul Corso deserto, una giornata livida, verso San Marcello miracoloso. Si propone intercessore della grazia divina, ma con effetto energizzante o deprimente? La funzione della religione non è nella compassione, nelle buone intenzioni, nell’opera buona – quella è di tutto il creato, anche delle bestie, anche degli alberi e dei fiori. del’acqua, del vento.  Della terra.

Schopenhauer - Nietzsche correva troppo. Rohde, l’amico più amato, disse che veniva “da un paese dove non abita nessuno”. O il suo problema è che divenne filosofo avendo letto, rapidamente, Schopenhauer. Il quale invece è stanziale, scriveva ponderoso e immutabile. Pretendendosi Budda, pieno di sorprese: “Coloro che agiscono per fede sono simili a coloro che agiscono per avidità”, diceva cose simili. E:“Coloro che si lasciano guidare dall’intelligenza sono simili a coloro che si lasciano guidare dall’odio”. Come Budda distinguendo sottile: “Nascendo morimur”. La vita è la morte: “La vita migliore è la morte. La morte è il più alto grado di guarigione. La morte è da considerare il vero fine della vita”. Il mondo si preserva distruggendosi. I popoli sono astrazioni, le masse non sono più dei singoli – l’argomento del sorite rovesciato: non sapeva fare le somme. A lui si deve la scoperta che “l’uomo era all’origine un animale nero e pulito”.
L’“Herald” riferì il 16 luglio 1836 che al tribunale di Londra, dopo l’arringa del difensore, l’imputato pianse esclamando: “Non credevo di aver sofferto la metà di quello che ho qui sentito”. Su questo aneddoto Schopenhauer costruì la filosofia del pianto e le passioni. Ma ha fatto di peggio. L’uomo è il sesso, diceva, i genitali il fuoco della volontà. Si basava sulla scoperta dei suoi anni che Venunft, la ragione tedesca, viene da vernehmen, afferrare. Ma è filosofo poco tedesco: non c’è differenza tra coito e polluzione, sosteneva, con entrambi si afferra una ombra. Si riteneva specialista di baci, possedendo una letteratura in tema, e di rapporti intimi, di cui scrisse la metafisica. Volendo ravvivare la natura, che ripetitiva genera tanti uomini quante sono le donne, ideò il sistema variabile a scalare della donna in uso a due uomini, da surrogare via via con una più giovane. Proposta migliore se ne potrebbe ricavare dai cavalli semibradi, tra i quali è diffusa la poligamia ma non la comunione delle giumente: lo stallone, rinchiuso quando la forza monta con una dozzina di femmine coetanee e poi da esse separato, sa ritrovarle alla nuova stagione degli ardori, le infedeltà equine sono rare. Questa gli sfuggì, e d’altra parte soddisfare una dozzina di fedeltà non è impresa lieve.
L’odium figulinum è per Schopenhauer fatale: “Tra uomini è limitato alla sola professione, tra donne riguarda l’intera categoria, giacché esse hanno tutte un solo mestiere”. Ebbe “due bastarde”, confidò, cui fece un paio di bastardi, rimasti ignoti. Ma solitamente riversava l’amore per la madre, confessato a Goethe nel 1815, su serve e prostitute. Una sola poesia d’amore scrisse, per Caroline Jagemann, che però era amante prolifica del duca di Weimar - al quale impose il licenziamento di Goethe. Il 27 maggio 1822, tornando dall’Italia, trovò la sua “principessina” Caroline, detta Medau o Medon, impegnata a fare un figlio, non con lui, ma non gliene volle: si scambieranno doni e biglietti fino in vecchiaia.
Oltre che dell’amore Schopenhauer fu filosofo unico degli spiriti, di cui pure fece la metafisica, nonché della “Metafisica della musica”, sul basso continuo – quello che fa poropò, poropò, poropò, anche se stridulo, di solito alla spinetta. Autore del famoso detto “felicità è non esser nati”, spiega che l’allegria nasce dall’insufficienza della ragione: ridono dunque gli stolti. Tante essendo le “luminose verità” per le quali egli a venticinque anni scoprì di essersi “affaticato tutta la vita”. Per esempio: “Il mondo è una mia rappresentazione, il mondo è la mia volontà”. O: “Dopo di me si potrà andare in larghezza, ma non in profondità”. E: “Se non ci fossero i cani io non vorrei vivere”. Patapùm, patapùm, patapùm, la voluttà di scrivere in prima persona il figlio di Johanna - romanziera famosa, italianista per amore, dell’insegnante di italiano - la esercitò senza limiti, ridando al filosofo l’orizzonte aperto dell’infante. Ebbe un barboncino, cui diede nome Atma, che in sanscrito è tutto, “mondo anima”. Ma sui cani Jean Paul l’ha preceduto, col progetto di appositi bordelli: “Il cane, come l’uomo, ha sempre prurito”. Anche questa non è male: “La storia letteraria è il catalogo di un gabinetto di aborti”. O questa: “La prova prediletta della creazione – di Dio – è che l’esistenza presuppone la non-esistenza”.

Woody Allen ipotizza che Schopenhauer negli ultimi anni divenne sempre più pessimista perché si accorse di non essere Mozart. Fu anche seguace del barone von Halberg, che possedeva il segreto delle ciliegie senza nocciolo – il barone asportava a questo fine il midollo al ciliegio e ne fasciava il fusto. La volontà è sempre attiva e decisa, diceva, la conoscenza invece sempre degenerata, tra follia e idiozia. Il brutto della vita, disse anche, è che c’è sempre uno più stupido di te.
A Berlino, dove la fama di Fichte era al culmine, e il potere di Hegel, cercò cattedra con un libro in cui sberleffava Hegel, Fichte e ogni altro. Per dieci anni poi inseguì invano una carriera di docente, sempre a Berlino.
Fece testamento per i mutilati e reduci di tutte le guerre, sotto l’insegna “Date obolum Belisario”. Si credeva nel Sei-Settecento, fino a Goethe, che Belisario, dopo aver restaurato Giustiniano, fosse caduto in disgrazia e sopravvivesse con le elemosine. Il lascito fu deciso nel ‘48 in odio alla rivoluzione, e restò immutato. Schopenhauer era figlio dell’“orgoglioso repubblicano” Heinrich Floris, un libertario che all’amato figlio insegnò il portamento eretto, e per non diventare suddito prussiano lasciò Danzica nel 1793, a quarantesi anni, per ricominciare daccapo a Amburgo, città libera. Aveva ingranato bene Heinrich a Danzica, nel commercio: l’ultima festa per Arthur vi celebrò coi fuochi d’artificio. Arthur nel ‘48 preswtò il cannocchiale a un tenente perché aggiustasse la mira contro i rivoluzionari. E tenne sempre la pistola a portata di mano, da ragazzo a Gottinga fino alla morte. Ai pedoni voleva imporre la destra, “come gli inglesi”, i quali invece, è notorio, tengono la sinistra. E sostenne che il passo agile va con le doti intellettuali, i contadini per questo vanno lenti. Ne scrisse ripetutamente, e nei “Parerga e Paralipomena”, essendo egli un camminatore - figlio della madre, tipicamente, come Nietzsche del padre.
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Scienza – È l’effetto della paura? È ipotesi non peregrina di Louis-Ferdinand Destotuches, in arte  poi Céline, medico epidemiologo, per la Fondazione Rockefelelr e per la Società dele Nazioni, nella sua prima opera letteraria, il dramma satirico “La chiesa”: “In  fondo, la scienza, non è che il tentativo di capire, e se ci teniamo tanto a capire, sono arrivato a pensare, è perché abbiamo paura di tutto”. E fa l’esempio degli animali, in umanizzazione postumana: “Gli animali ad esempio, mica cercano di capire, è che hanno meno paura di noi. Noi abbiamo una strizza tremenda, e dalla nascita fino alla morte non ci molla un momento”.

zeulig@antiit.eu

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