“Nell’ottobre del 2008,
come ministro dell’Economia e delle Finanze italiano, ho scritto alla
presidenza di turno europea, al ministro Lagarde, una lettera. In quella
lettera, scritta mentre la crisi stava esplodendo, c'erano un punto generale
sul bisogno di regole per l’economia e un punto particolare europeo sull’esigenza
di un Fondo salva Stati per gestire la crisi. Punto primo: in sede G20 il
governo italiano proponeva di stendere, insieme all'Ocse, un trattato
multilaterale denominato “Global legal standard” (Gls). Il senso era: si deve
passare dal free trade al fair trade. Non basta
che a valle il prezzo di un prodotto sia giusto (free trade), è
necessario che a monte ne sia giusta anche la produzione, rispettosa di tante
altre regole (fair trade). Ad esempio, all'articolo 4, si era scritto:
regole ambientali ed igieniche. Il trattato fu votato dall’Ocse ma questa filosofia
politica fu battuta dal “Financial stability board” (Fsb), ispirato dalla
finanza come dice il nome stesso”.
Del Financial Stability Board era parte, per
l’Italia, Draghi.
Al secondo punto della
lettera “il governo italiano faceva notare che nei trattati europei non c’era la
parola crisi. Trattati che erano stati tutti scritti in termini progressivi e
positivi dove il bene era la regola e il male era l’eccezione non prevista. Si iniziò,
quindi, sulla base della nostra proposta, la discussione sulla crisi e sulla
necessità di introdurre un fondo anti crisi. Alla fine, una notte, fu invitato
in Eurogruppo un notaio per incorporare con strumenti di diritto privato il
primo fondo europeo. La logica della discussione, in quelle lunghe notti, era: sopra serietà, pur se non austera, nel fare i bilanci nazionali, sotto
solidarietà per chi andava in crisi e, in mezzo, il fondo europeo come
piattaforma da cui lanciare gli eurobond. Sugli eurobond ricordo l'articolo
scritto sul Financial Times da me e Juncker”.
Poi tutto si è rotto quando è esplosa la
crisi della Grecia... “Al tempo ero presidente dei ministri
dell'Economia del Ppe. Quando Juncker chiese di usare il Fondo salva Stati per
salvare le banche, risposi: ‘Potrebbe, ma a patto che la contribuzione
nazionale al fondo non sia basata sul Pil, come giusto nella funzione salva
Stati, ma sul rischio, come giusto nella funzione salva banche. Sulla Grecia le
banche tedesche e francesi erano a rischio per 200 miliardi di euro, l’Italia
solo per 20. L’ipotesi del passaggio nel calcolo dal pil al rischio innescò la
crisi. Qualche giorno dopo esplosero gli spread
e fu spedita la lettera Bce-Bankitalia del 5 agosto”.
La lettera, che doveva
essere riservata e fu resa pubblica, portando l’Italia al quasi fallimento, fu firmata per la Banca d’Italia da Draghi.
Segue nell’intervista una coda velenosa, che assimila Draghi a un quisling: “Obiettivo
di queste manovre non era solo prendere i nostri soldi per salvare le loro
banche ma anche mascherare gli altrui vizi di sistema e, passando dal calcolo
sul Pil al calcolo sul rischio (“dal calcolo sul rischio al calcolo sul Pil” è probabilmente la redazione giusta - n.d.r.), evitare di far venir fuori la vera causa della
crisi, una crisi bancario-sistemica che era più nel Nord che nel Sud dell’Europa”.
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