lunedì 6 aprile 2020

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (421)

Giuseppe Leuzzi

A Nord del Nord
Si sono visti, si vedono tuttora, foto di mercati pieni di gente a Genova, a Torino, perfino a Bergamo. A Milano il sindaco Sala ha chiesto ai Carabinieri di bloccare i flussi, dopo vari appelli
andati a vuoto alla disciplina. Le cronache invece si tenta di farle con le bizzarrie e le indiscipline del Sud, ma sono sterili, niente al confronto. La superiorità può fare danni.
 “Se l’intero Sud collassa, il Nord cessa di esistere” è il commento del governatore uscente della banca centrale d’Olanda, Nout Wellink, a proposito del che fare contro la pandemia. “Se il Nord non aiutasse il Sud, perderebbe non solo l’Europa ma anche se stesso”, gli fa eco un gruppo di intellettuali tedeschi, Habermas, Schneider, l’ex ministro degli Esteri Fischer, l’ex vice-cancelliere Gabriel, la regista von Trotta tra gli altri. Lapalissiano. Ma non per il Nord d’Italia.
La Germania non vuole aiutare la Lombardia? È colpa della Magna Grecia, scrive Cazzullo sul giornale lombardo, il “Corriere della sera”: “Il pensiero di pagare gli stipendi ai Forestali della Magna Grecia e le pensioni ai falsi invalidi non entusiasma i contribuenti tedeschi”. A prescindere dal fatto che i fasi invalidi sono in Germania proporzionalmente più che in Italia, e che i forestali non esistono più dal 2017, che cosa non si fa per un “Corriere della sera” – per la gloria di Milano? della Lega?
Questo mentre almeno la metà della Germania, la “Süddeutsche Zeitung”, “Die Welt”, “Tageszeitung”, il giornale della Confindustria “Handelsblatt”, e perfino la “Bild”, il tabloide superpopolare, non trovano tante giustificazioni. Solo il giornale omologo del “Corriere della sera”, la “Frankfurter Allgemeine Zeitung”, si contorce: stessa obbedienza? Se il Sud collassa, crolla il Nord, chiunque lo vede.
C’è sempre un Nord più a Nord del Nord, si è sempre detto: Nord è soprattutto avvantaggiarsi degli altri – il che si fa passare per concorrenza, ma è jugulazione (voglia di). Anche in questa crisi: basta truccare i dati dei morti e si possono fare lauti affari, nonché conquistare posizioni di mercato, a danno di chi è in lockdown, costretto all’inattività – e lunga vita al coronavirus. Non sono pregiudizi o paranoie, è quello che è avvenuto, e tutt’oggi avviene, in Svezia, Olanda, Germania, Svizzera, perfino in Austria.
La Svezia, che poteva evitarsi il contagio essendone stata toccata per ultima, lo ha superbamente ignorato. Salvo ricredersi di fronte ai morti. Non l’ha fatto per incoscienza, sapeva naturalmente di cosa si tratta: l’ha fatto per ribadire la patente di superiorità – tutto ciò che è “svedese” è meglio, non solo Greta. Non hanno il sole, ma ancora per poco.

Mafie virali
La preoccupazione maggiore nella crisi del virus è di “mettere in salvo” le grandi imprese italiane, Eni, Enel, Leonardo, Intesa, Unicredit – l’elenco s’ingrossa ogni giorno. In salvo dai raider. Si dà per scontato che interessi mafiosi siano in agguato: banche d’affari, fondi d’investimento, anonime, broker, in cerca di prede, da squartare e rivendere al meglio, in pezzi pregiati. Ma senza scandalo, nessuna polizia è invocata, legge, giurisdizione.
Nel semplice business della strumentazione antivirale, guanti, tute, gel, mascherine, con e senza valvola, usa-e-getta e riutilizzabili, ventilatori, aspiratori, bombole, ossigeno, certificazioni, almeno una dozzina di schemi mafiosi si sono imposti in pochi giorni, con centinaia di operatori. Che altrove si direbbero capimafia: mediatori (broker), trasportatori, incettatori (grossisti), certificatori, falsari, e ladri, in Italia e all’estero. Mafiosi padani, cinesi, turchi, e di altre nazionalità. Le merci sanitarie girano per molti “controlli”: dal Brasile, per esempio, o dalla Cina, passano per Mumbai, Dubai, Canada, itinerari geograficamente bizzarri, evidentemente delle cosche in affari.
Tutto per far crescere, col bisogno, i prezzi, di dieci e perfino cento volte. Senza mettere un centesimo: spendendo le lettere di credito disperate, generose, dello Stato italiano – delle Regioni, della Protezione Civile, della Croce Rossa italiana. Schemi interamente mafiosi – anche le vittime ci sono, e numerose, benché non sparate.
Tutto questo si sa e si dice, ma non si chiamano mafie. Sono il mercato. Che, basta la parola, è salvifico. Ma per proteggersi dal quale centinaia e migliaia di miliardi sono necessari. Un dispendio pazzesco, cento volte, in un solo mese, le azioni secolari di contrasto alla mafia, i dossier pluridecennali, gli arresti tardivi, i processi a babbo morto. 

Sì, ma prima?
Un giovane che si firma Cutri scrive un bel racconto al “Corriere della sera” degli ultimi minuti di vita della nonna, del suo vano girare in motorino in cerca di medicinali inesistenti che la terrebbero in vita, e di tre medici, tre dottoresse, che in vario modo si è trovati accanto in quei minuti come tre apparizioni angeliche. Non mute, verbali. Ma il giusto.
Il giovane si chiama Cutrì in realtà, ma come molti ha abbandonato l’accento. Come Macri, il presidente argentino. Cutrì, Macrì, Cordì, Laganà, Bagalà, Vadalà, Spanò, Sofré, i cognomi con l’accento finale sono di derivazione greca – spesso semplici traduzioni – oppure francese e quindi hanno una storia e un pedigree. Ma identificano l’origine, meridionale, calabrese o salentina, e quindi sono vissuti come una tara.
Complici gli ufficiali settentrionali dello stato civile - quelli del Nord-Ovest, per i quali già le parole piane sono sospette, e i nomi ossitoni sono tronchi, e quindi, a loro sentire, manchevoli - il cognome facilmente si aggiusta, si italianizza. Ma succede come agli ebrei che tra Otto e Novecento, per assimilarsi meglio, e per sfuggire al razzismo, infine feroce, si cambiavano nome. Salvo poi sentirsi apostrofare, dai notai asburgici, o dagli ufficiali dello Stato civile in Germania e in Francia: “Sì, ma prima?” 
Le identità dimezzate o negate sono faticose da gestire, ma perché il Nord le vuole negate?

L’emigrazione naturale, prima del leghismo
Tra le simpatiche storie dei centenari che hanno vinto il coronavirus il “Corriere della sera” ha oggi quella di due fratelli, Michelangelo, 97 anni, e Nino Scutellà, 100. Michelangelo specialmente è vispo: si lamenta, poco, della segregazione, e si occupa leggendo, libri, giornali, eccetera. I due fratelli, che non hanno rinunciato al cognome accentato, sono detti “originari di Santa Giorgia, un piccolo paese alle pendici dell’Aspromonte, nel Reggino”.
Santa Giorgìa, col “gìa” largo, è nome recente per Vorijìa, o Borijìa, toponimo frequente in Grecia - è brezza, venticello. Poche case su un costone che dà su un ruscello. In una valle stretta, ma luogo di grande amenità benché chiuso. Oggi abbandonato – eccetto che per la terza domenica di agosto, festa della Madonna della Catena. Si fatica a vedervi i due Scutellà bambini. Come cambia il mondo in poco tempo.
Anche: dei benefici dell’emigrazione. Arricchisce più che impoverisce? Spesso è necessaria, o naturale, nel corso delle cose – Michelangelo è stato ufficiale di Marina, poi ha messo su casa e famiglia a Cremona. Senza beneficio per il luogo di origine, e anzi in perdita, più spesso che no, di iniziativa e capacità di fare. Ma senza colpa, prima del leghismo.  

Milano
Sarà un caso, ma dall’andamento delle curve del contagio regione per regione giorno per giorno, si vede che il picco dei contagi in sei regioni del Sud, in Abruzzo, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia, Sardegna, e in Liguria, è tra il 26 e il 29 marzo, due settimane dopo la grande fuga da Milano. Fra il 7 e il 9 marzo 100 mila persone, calcola Milano, di sono spostate verso il Sud.

Burioni non basta, il virologo del San Raffaele, scendono in campo anche Gismondo (ospedale Sacco), e lo stesso presidente della regione Lombardia, Fontana, a ingarbugliare le carte. Non a contagiare, non direttamente, ma ci provano. Milano ha proprio la sindrome dell’untore? Efficienza, efficienza, ma niente sotto le chiacchiere?

Nella Lombardia leghista della “sanità modello” la Federazione dei medici di medicina generale prepara azioni legali. La legale della Federazione, Paola Ferrari, nome milanese, preannuncia: “Ciò che si può dire sin d’ora è che in Lombardia c’è stata una sottovalutazione della pandemia e una mancata predisposizione di misure di sicurezza minime, sia per il personale sanitario negli ospedali che per i medici di base”. 
Ma detto in breve, poche righe annegate in un “pastone”.

Merita invece una pagina, lo stesso giorno, nello stesso “ Corriere della sera”, l’ex banchiere Giovanni Bazoli, artefice della privatizzazione sanitaria della Regione, anche tramite il suo protetto Rotelli che a lungo ha fatto per suo conto il padrone del quotidiano: “Nel complesso il sistema lombardo ha retto. La Lombardia ha costruito ospedali di ottimo livello, pubblici e privati”. Anche se concede: “A scapito di una strutturazione sanitaria di base, in grado di assistere anche a casa”.  

Il giorno dopo comunque il “Corriere della sera” trova i colpevoli del mancato cordone sanitario attorno ai focolai d’infezione lombardi. Tre inviati, Imarisio, Ravizza e Sarzanini, riescono a (non) dire che il mancato ordine di chiusura è della burocrazia. Sottintendendo: romana – la burocrazia a Milano è “romana”.  

Un ospedale nuovo a Londra, da 4 mila letti, in una settimana. Uno nuovissimo, mura comprese, a Wuhan in dieci giorni. Uno a Milano, nei locali della (ex) Fiera, in quindici, e non ancora funzionante – inaugurato cinque  sei giorni fa, comincerà a funzionare oggi. Ma basta per annunciare il primato di Milano. Non è sbruffoneria, cioè lo è, ma senza danno per nessuno: è resilienza. E darsi ragione, e andare avanti. I complessi di colpa uccidono.

La maggiore struttura sanitaria lombarda è privata: venti ospedali, di cui tre Ircss (Istituto di Ricerca e Cura a Carattere Scientifico) - tra essi il San Raffaele, dove officia Burioni. Di proprietà della famiglia Rotelli, il cui capostipite, Giuseppe, esponente di primo piano della Dc di Base (sinistra) lombarda, portato da Giovanni Bazoli, dominus di Intesa, fu a lungo il socio di riferimento del “Corriere della sera”.
Oggi il gruppo è presieduto da Angelino Alfano, l’ex delfino di Berlusconi, uomo di primo piano nei governi di destra e sinistra degli anni 2010. La politica è business.


“Nel 1906”, spiega Cosmacini a Ferruccio De Bortoli su “L’Economa”, “12 dei 24 consiglieri di opposizione al Comune di Milano erano medici. La medicina sociale era una versione del socialismo politico. Un esempio preclaro è quello di Anna Kuliscioff, la dottora”. Certo, è passato un secolo, un abisso.

leuzzi@antiit.eu

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