C’è a Milano chi, anche madri giovani, cucina fino a duecento pasti al giorno per le persone povere o in quarantena per il contagio. Nella propria abitazione, con le sole sue forze. È questa la forza della città, la dedizione personale.
“Da
Milano a Enna si moltiplicano le indagini per omicidio colposo plurimo e per
epidemia colposa”, trionfale apre il “Corriere della sera” sulle indagini per
le morti nelle case di riposo. Che sono quasi tutte, le morti, in Lombardia.
Questo invece è l’altro lato della città, la sfacciataggine.
La neo
presidente in petto dell’Eni, Lucia Calvosa, è stata in
passato presidente anche del Banco di San Miniato in Toscana. C’erano
malversazioni, lei le sanzionò, le fu bruciata la macchina. Un “avvertimento”.
Ma non tra Pisa e Firenze (il Banco è di qua e di là), non c’è mafia.
Dei curricula in
rete della presidente designata dell’Eni solo Gianni Dragoni sul “Sole 24 Ore”
ricorda che lo zio le fu ucciso dalle Formazioni Combattenti Comuniste, e che
l’auto le fu bruciata a San Miniato. “Il Fatto Quotidiano”, pur sensibile alle
cronache giudiziarie, non ne fa cenno. Bonaccia? Altrove si direbbe
omertà.
Imprevidenza
e sufficienza
Il
“Corriere della sera” fa una ricostruzione dei primi giorni del contagio sorprendente
per l’imprevidenza e la sufficienza che si potevano rilevare anche guardando le
cose da fuori:
A gennaio
alcuni medici di base del bergamasco segnalano polmoniti insolite alle Asl,
senza riscontro. Il 31 gennaio si decreta l’emergenza, ma senza dire come.
L’unico provvedimento che si prende è il blocco dei voli dalla Cina, ma non
dalla Cina via Zurigo o Francoforte. Il 2 febbraio, alla Rai da Fazio, il
virologo milanese Burioni dice il rischio “pari a zero”. Il 15 febbraio il
governo italiano manda con volo speciale in Cina due tonnellate di mascherine e
tute di protezione. Il 21 febbraio quello che si far à passare come “paziente
zero”, è trattenuto in ospedale un giorno e mezzo senza precauzioni. Il 28
febbraio si divulga la stima della curva epidemica: l’indice Ro (di
contagiosità del virus) è superiore a 2.
Solo l’1
marzo, un mese dopo il decreto dell’emergenza, si stabilisce il ricovero dei contagiati
in Pneumologia e terapia intensiva. E si ordinano i primi
ventilatori meccanici.
Il 23
febbraio 500 sindaci lombardi, quelli del Pd, compresi il sindaco di Milano
Sala e quello di Brescia Gori, chiedono di tenere aperti bar, mercati, centri
commerciali, attività sportive. Quattro giorni dopo il sindaco di Milano Sala
lancia la campagna #milanononsiferma. Lo spalleggia il segretario del Pd,
Nicola Zingaretti, venuto apposta a Milano, che posa per un aperitivo in
compagnia in un locale all’aperto sui Navigli – poi, positivo al virus, starà
in quarantena a casa a Roma. E il nemico (politico) Salvini, che in un video
chiede di “riaprire tutto”, e invita gli stranieri a visitare “il Paese più
bello del mondo”.
Due
settimane dopo, quando i morti sono tanti che non si riesce a inumarli e
nemmeno a incinerarli, bisogna trasportarli con carri militari per destinazioni
ignote, a Bergamo e in val Seriana non si dichiara la zona rossa.
Già dal
28 febbraio la Lombardia sa ufficialmente, con un Ro superiore a due, e che il
sistema ospedaliero rischia il collasso. Lo stesso giorno l’Emilia-Romagna,
infetta dalla bassa lombarda, chiede una deroga per tenere aperti cinema e
teatri. Il Veneto la chiede per le terme. Tutta l’Italia sarà “zona rossa” una
settimana dopo.
Die
Welt e le mafie
“Die
Welt”, il quotidiano liberale (conservatore) tedesco di cui si è contestata la
richiesta a Angela Merkel di non deflettere al vertice europeo di domani dal no
ai coronabond comunitari, è il giornale che nei primi anni 1970 rivelava,
solitario, agli italiani come i liquami e gli scarichi velenosi delle industrie
svizzere e tedesche finivano in Lombardia, grazie a imprenditori compiacenti. Naturalmente
non mafiosi, ma ugualmente micidiali, minacciando con gli sversamenti di
mercurio le falde freatiche, e con gli accumuli la diossina l’aria – come poi
si è dimostrato a Seveso.
Lo
spiegava il corrispondente economico del quotidiano a Milano, Gunther Depas. Questo
il racconto che Astolfo ne fa nel romanzo “La gioia del giorno”, degli eventi
attorno al 1969 – Walser sta per Depas:
“- Nulla
a Milano è come appare - sostiene Gunther Walser, cordiale corrispondente
della Welt. Neanche i milanesi. Luciano, che ha aperto una libreria
anarchica, è sospetto, benché innocuo. Mentre un gruppo cattolico progetta una
casa editrice terzomondista. Coi soldi dell’Ente. Per pubblicare la teologia
della violenza di Marighela, che sarebbe un prete.
“Il
patriottismo è sospeso a Milano: ognuno ha industrioso il conto in Svizzera,
incluso chi vota a sinistra, che è a due passi, dove le banche sono numerose, e
non si fa la coda. Ma Walser teutonico non ci sta. Non accetta che Milano si
prenda gli scarti tossici che le leggi impediscono di disperdere nell’ambiente
in Svizzera e Germania:
“- Questi
veleni inquineranno la falda freatica. – Fiumi di mercurio vede, diossina e
ombre losche: - La merda di Milano finisce nel Ticino, il Lambro, l’Olona,
l’Adda, che finiscono nel Po, e contagerà l’Italia.
“Walser
ha la fissa dell’acqua. Non sa che Milano moriva di peste non è molto, irridendo
gli spagnoli che le negavano le acque putride della tessitura, la coloritura,
la risicoltura, tra i propri funzionari in città al tempo dei Promessi
Sposi annoverando Calderòn. Né che tra Pavia e Vercelli sono già alla
falda i diserbanti e gli antiparassitari del riso, il fatto era notorio
all’epoca del militare, al rubinetto non si poteva bere, un chilo di riso
volendo venti ettolitri d’acqua. Milano è tossica in allegria. Benché heimlich e gemütlich,
ventre gravido di buona madre. L’antica Mediolanum, in mezzo al piano, che il
tedesco ingentilisce in Mailand, terra di maggio:
“- O
terra di mai – Walser ironizza, felice di stare a Milano. Più è felice che il
figlio sia chimico: - È solo italiano l’orgoglio del giudice figlio di giudice,
del primario nipote di primario. – La funzione ereditaria lo esilara: - Il
chirurgo ereditario è fantastico. È Hoffmann: il primogenito generato dal
chirurgo, col bisturi. – E tornando tedesco spiega che la democrazia è venuta
con l’abolizione del maggiorascato e il fedecommesso: - Ma per la borghesia è
titolo di nobiltà la concussione”.
Quando
discriminato era l’italiano
L’immigrazione
in America a cavaliere del 1900 è stata una “invasione” senza precedenti,
seppure con biglietto sul piroscafo e visto d’ingresso. “Durante gli ultimi
dieci anni”, scrisse Josiah Strong nel 1891, “abbiamo sofferto un’invasione
pacifica da parte di un esercito quattro volte il numero supposto dei Goti e
dei Vandali che invasero l’Europa meridionale e sopraffecero Roma”.
La
questione non era, come oggi non è, semplice. “Quando i cittadini del
New England decisero un secolo fa di autorizzare l’immigrazione dalle regioni
più arretrate d’Europa e dagli strati sociali più diseredati, e di lasciarsi sommergere
da questa ondata, fecero e vinsero una scommessa la cui posta era altrettanto
grave si quella che noi ci rifiutiamo di mettere in gioco”, come scrive Lévi-Strauss
in “Tristi Tropici” - scriveva nel 1955.
Strong
era un pastore evangelico molto impegnato nel sociale e molto popolare, ma
inflessibile razzista. Sei anni prima, nel suo libro più famoso “Our Country”,
aveva sostenuto che “gli anglo-sassoni”, essendo “una razza superiore”, avevano
il compito di “cristianizzare e civilizzare” le razze “selvagge”, per il bene
dell’economia americana, e delle “razze minori”. I selvaggi erano gli
indo-americani e i neri, per razze minori intendeva i latini, soprattutto
italiani, e i polacchi, cattolici.
Edward
Ross, un cattedratico influente di Sociologia, che insegnava a Stanford,
punterà anche lui l’immigrazione dall’Italia. Nel 1914, prima della guerra,
scrivendo:”William non ha tanti figli come Tonio perché non ammassa la famiglia
in una stanza, non mangia maccheroni su una nuda tavola, non fa lavorare la
moglie scalza nei campi, non fa raccogliere cipolle ai figli invece di mandarli
a scuola” – molti cenni sono tratti da Daniel Ockrent, “The guarded Gate”, una
ricerca documentaria sulle preclusioni contro cattolici, italiani specialmente,
ed ebrei .
Ross era
un progressista. Sarà sostenitore della rivoluzione bolscevica in Russia e poi
degli interventi pubblici in economia voluti dal presidente della Ricostruzione
dopo il crac del 1929, F.D. Roosevelt. Nel 1937 fece parte della
Commissione Dewey, costituitasi in America negli ambienti intellettuali
socialisti per accertare la veridicità delle accuse di Stalin contro Trockij –
la Commissione processò Trockij in Messico e lo dichiarò innocente. Ross morirà
nel 1951.
All’epoca
Ross era famoso per l’espressione «suicidio di razza», da lui coniata dal 1900:
i differenziali di fertilità tra le donne native protestanti e le immigrate
cattoliche avrebbe portato presto alla fine la società americana. Ross invocava
una legislazione eugenetica per prevenire questo rischio, basata su una
politica demografica a favore delle donne native americane, e sul controllo
delle nascite per gli immigrati, anche con la sterilizzazione dei maschi. Due
anni più tardi il neo eletto presidente Th.Roosevelt, un
pioniere dell’eugenetica, con la New York Zoological Society da lui
fondata nel 1895 con l’avvocato Madison Grant, per il blocco dell’emigrazione
dall’Est e il Sud Europa, e la sterilizzazione degli immigrati maschi,
dichiarava il suicidio di razza “la questione fondamentalmente infinitamente
più importante in questo paese di ogni altra”.
Gli
italiani in particolare Th. Roosevelt diceva “la più fertile e meno
desiderabile popolazione d’Europa”. Ross ce l’aveva con i napoletani, “una
razza degenerata”, con “un’angosciosa frequenza di fronti basse, bocche aperte
e lineamenti sgraziati”. Th. Roosevelt sarà Nobel per la pace nel 1906.
Negli
anni 1910, con le presidenze Wilson, la polemica anti-immigrati non ebbe
scocchi. Ma riprese virulenta subito dopo, negli anni 1920. Un ricco avvocato,
immobiliarista, collezionista d’arte e filantropo, Charles W. Gould, argomentava
nel 1922 in “America. A Family Matter”, a favore della “razza Nordica”, contro
l’immigrazione dall’Italia, contro le donne: “Il matrimonio di un uomo bianco
educato e raffinato con una bella contadina del Sud Italia potrebbe rimandare
indietro i suoi figli, quanto a sviluppo intellettuale, di molte centinaia di
anni” - il libro è ancora in edizione, reperibile online.
Nel 1921
e nel 1925 due nuove leggi introdussero quote nazionali per l’immigrazione,
limitate per i latini. La legge del 1925 con le quote nazionali limitative
resterà in vigore fino agli anni dopo Kennedy, alla presidenza Johnson. Nel
1921 gli immigrati dall’Italia erano stati 222.260, nel 1921 furono ridotti a
2.662 – e su questo cifra si mantennero negli anni successivi.
leuzzi@antiit.eu
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