Nei villaggi ebraici tra Ucraina e Russia, tra
un pogrom e laltro, la vita condannata
degli animali domestici, polli, tacchini, cani, pesci. Storie paradossali,
spiritose, comunque vivaci. Così almeno in traduzione, che vede impegnati ben
due traduttori, Franco Brezza e Haim Burstin, insieme con la curatrice Anna
Linda Callow – Sholem Rabinovitch, in arte Aleykhem, 1859-916, ebreo ucraino
emihrato a New York, scrive in ebraico. Storie umoristiche, e penose. Di
animali maltrattati, oppure trattati bene ma allora per la macellazione.
“Un verme che viva nel rafano pensa che non ci
sia nulla di più dolce”, è la riflessione di filosofia della storia, degli
uomini e degli animali, del cane “Candido” Rabtshik che non si capacita delle
sue disgrazie, ogni volta, contro le migliori attese. Vite da cani, o da
galline. Vite indifese, e quindi troncate, a piacimento. Contro il precetto
biblico, il narratore insiste a ogni piega, che impone “pietà per gli esseri
viventi”.
Sholem Aleykhem, pseudonimo – “la pace sia con
te” – per Rabinovitch, è il narratore della vita nei villaggi ebraici orientali
prima di Joseph Roth: una vita povera, e
anche perseguitata, ma non infelice. Scrittore in russo e ebraico, prima di
passare allo yiddisch, di cui diventerà per quarant’anni il campione, tra Kiev
e Odessa, gli ultimi anni tra America e Svizzera, fino alla morte nel 1915.
Cominciò a quindici anni, raccogliendo gli epiteti usati dalla matrigna.
Sholem Aleykhem, Storie di uomini e animali, Adelphi, pp.115 € 9
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